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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 81, December 1999

Migranti e Rifugiati nel Mondo Oggi*

S. E. Mons.Stephen Fumio HAMAO
Presidente del Pontificio Consiglio 

Nella Lettera Apostolica Octogesima Adveniens, a proposito dellÂ’impegno politico, Paolo VI afferma: La politica è una maniera esigente di vivere l'impegno al servizio degli altri. Ciascuno esamini se stesso per vedere quello che finora ha fatto e quello che deve fare. Non basta ricordare i principi affermare, le intenzioni, sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche. Queste parole non avranno alcun peso reale, se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità, e da un'azione effettiva

Vivere nel proprio paese è un diritto primario

Chi si impegna nel campo della promozione della dignità umana, non può ignorare il dramma delle migrazioni moderne. Esse sono espressione dellÂ’intreccio di molteplici cause, in cui, assieme ad elementi naturali e congiunturali, troviamo, come componente, anche un forte tasso di responsabilità. Ed è proprio la presenza di questa componente che, se da una parte ne rende più complessa la ricerca, dallÂ’altra alimenta la fiducia e lÂ’impegno a rimuoverle. E in questa prospettiva che il Papa invita a guardare alle cause che fanno da spinta al vasto e inarrestabile movimento delle migrazioni oggi. “LÂ’attuale squilibrio economico e sociale che alimenta le correnti migratorie oggi, non va visto come una fatalità ma come una sfida al senso di responsabilità del genere umano (Messaggio Giornata Migrante 1995).

Per affrontare una tale sfida, oltre che le cause, è importante conoscere anche alcuni punti chiave dellÂ’insegnamento della Chiesa che sono alla base delle motivazioni che spingono i cristiani ad impegnarsi in unÂ’azione di solidarietà per queste categorie di persone.

Trasferendo i diritti dellÂ’uomo in campo migratorio, non possiamo ignorare il primo di essi: il diritto di ogni uomo ad avere una patria, quale punto di riferimento per la dimensione della sua vita sociale, culturale e spirituale.

Le modalità delle odierne migrazioni ci dicono che un tale diritto non sarà mai effettivo se non si tengono costantemente sotto controllo i fattori che provocano lÂ’esilio e spingono ad abbandonare il proprio paese. Questi vanno ricercati ed individuati sia nei paesi in via di sviluppo o dÂ’emigrazione come in quelli industrializzati o dÂ’immigrazione. Nei paesi di provenienza, tali fattori sono oggi i conflitti interni, le guerre, i regimi dittatoriali e autoritari, la cattiva amministrazione, lÂ’iniqua distribuzione delle risorse economiche, la politica agricola incoerente, i prezzi ingiusti, la manipolazione della proprietà fondiaria e dei beni economici da parte delle categorie dominanti, lÂ’industrializzazione irrazionale, i salari di miseria, la corruzione dilagante.

La situazione prodotta dai fattori interni è aggravata dallÂ’attuale sistema economico e finanziario, manipolato dal Nord industrializzato a danno del Sud. Ne consegue la marginalizzazione economica e finanziaria di molte regioni e lÂ’impoverimento di interi popoli.

Da qui la crescita dei movimenti migratori che trascinano con sé non solo persone povere e senza qualifica ma anche persone fornite di una formazione superiore, ma che in mancanza di impiego nel paese di origine, sono costrette a cercarne uno altrove. Si tratta, di fatto, di una vera fuga di cervelli che indebolisce ulteriormente il potenziale di sviluppo di tali paesi.

EÂ’ importante agire durevolmente su queste cause. Si tratta di una sfida che va accettata con la determinazione e la consapevolezza che la posta in palio è la costruzione di un mondo in cui ogni uomo, senza eccezione di razza, di religione e di nazionalità, possa vivere, nel suo paese, una vita pienamente umana, libera dalla schiavitù da altri uomini e dallÂ’incubo di cadere vittima di una natura non adeguatamente incontrollata.

La stabilità politica, lÂ’impostazione delle relazioni internazionali su criteri di maggiore equità, e la lotta contro il sottosviluppo, sono la premessa perché lÂ’uomo possa vivere nella sua patria.

Quello di vivere nel proprio paese è un diritto primario. Altro diritto, che si pone in alternativa a questo, nel caso in cui non si realizzano le condizioni per poterlo effettivamente godere, è quello di emigrare.

La geografia delle migrazioni e della fame

I movimenti migratori sono sempre esistiti, anche in misura superiore a quella attuale, e lÂ’accoglienza nel paese di arrivo non è stata sempre scontata. Lo spostamento di popolazioni è diventato un fenomeno mondiale. Tutti i continenti ne sono coinvolti e quasi tutti i paesi toccati. La geografia delle migrazioni può essere sintetizzata in queste cifre arrotondate. Totale migranti nel mondo: 119, di cui 44% nei paesi industrializzati e 56% nei paesi in via di sviluppo. La distribuzione per continenti: Africa, 15 milioni; Asia 43, milioni: America latina 7 milioni; America del Nord, 24 milioni; Europa, 25 milioni; Oceania, 5 milioni.

I paesi occidentali di tradizione immigratoria hanno delle reazioni di fastidio e di chiusura come se la decisione di abbandonare il loro paese da parte di quegli uomini e donne sia unÂ’opzione dettata da avidità consumistica. Vero è che la situazione, in cui quelle persone vengono a trovarsi nei loro paesi, è tale da non consentire altra àncora di salvezza che la fuga. EÂ’ un aspetto delle attuali migrazioni che non deve essere ignorato.

La dichiarazione Universale dei Diritti dellÂ’Uomo allÂ’art. 13,2 riconosce ad “ogni persona il diritto di lasciare qualsiasi paese, compreso il proprio e di farvi ritorno”, senza però nulla dire circa il diritto di entrare in altro paese diverso dal proprio. Il diritto di lasciare il proprio paese, per vivere in un altro, pone gravi problemi di coscienza ai cittadini in generale e ai cristiani in particolare. La Chiesa difende il diritto dellÂ’uomo ad emigrare (Catechismo della Chiesa Cattolica) N. 2242) ma è ben lontana dal favorirne lÂ’esercizio. Tiene presente tuttavia che, come diceva Giovanni XXIII la migrazione pur essendo un male, a volte è un male necessario.

EÂ’ indispensabile riflettere seriamente sulla geografia della fame nel mondo, perché la solidarietà prenda il sopravvento sulla ricerca del profitto e su quelle leggi di mercato che non tengono conto dei diritti umani inalienabili.

La miseria guadagna terreno. La parte della popolazione mondiale che gode dell'80% delle ricchezze esistenti diventa sempre più piccola In Africa il prodotto interno lordo per abitante è di 900 dollari lÂ’anno, in Asia 1.200, mentre in Europa si avvicina a 18.000. Il peso del debito estero resta asfissiante. La proporzione del prodotto interno lordo fra l'Europa e lÂ’Africa è di 20 a 1. Il diritto allo sviluppo di miliardi di uomini è semplicemente ignorato. Nei paesi del Sud, 1,3 miliardi di persone vivono con meno di un dollaro al giorno.

Si deve sottolineare il principio della destinazione universale dei beni, richiamato con forza al Concilio Vaticano. II “Dio ha destinato la terra e tutto ciò che essa contiene allÂ’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, di modo che i beni della creazione devono equamente affluire nelle mani di tutti secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità” (GS, 69). Il testo prosegue ricordando che "gli uomini hanno lÂ’obbligo di aiutare i poveri, e non solo con il loro superfluo”; e che i Padri della Chiesa insegnavano che colui che si trova nellÂ’estrema necessità, ha il diritto di procurarsi lÂ’indispensabile dalle ricchezze altrui.

Le dittature, i conflitti armati, le guerre civili ed etniche gettano sulla strada milioni di rifugiati e di sfollati. In Africa il 10% della popolazione vive in permanente ricerca di un rifugio. Ed è il continente, questo, che accoglie il numero più alto di rifugiati e di sfollati: 11 milioni contro i 5 milioni e mezzo dellÂ’Europa, su un totale di 22 milioni. Da aggiungere poi gli stessi conflitti, che provocano il fenomeno dei rifugiati sono, a loro volta, provocati dalla povertà, che è allÂ’origine del grande esodo delle migrazioni. E cioè, disuguaglianza nella possibilità di partecipazione politica, nelle risorse economiche (terra, acqua, minerali ecc.),. nel reddito e nelle possibilità di lavoro, nella situazione sociale (accesso ai servizi, alla scuola, alla sanità ecc. ).

La solidarietà espressione della destinazione universale dei beni.

Oggi il problema delle migrazioni è diventato più difficile e complesso per diversi motivi, il primo dei quali è proprio il fatto che la migrazione regolare va riducendosi enormemente. Essa va perdendo la connotazione di risorsa che lo storia le aveva accreditato.

Oggi si tende a parlare, soprattutto nel campo economico, di globalizzazione, come di un obiettivo dai contorni ampi e definitivi, da raggiungersi da tutti in tutti gli ambiti del vivere sociale. Con riferimento alle migrazione quel modello di sviluppo viene pensato ed attuato come alternativo alle migrazioni stesse. Infatti, la creazione del lavoro nei paesi in via di sviluppo attraverso la delocalizzazione delle imprese attuata dalla libertà del movimento del capitale, dovrebbe eliminare in tempi relativamente brevi, la pressione migratoria.

Si tratta però di un proposito i cui risultati stentano ad emergere. Di fatto il volume degli investimenti rappresentano una goccia dÂ’acqua nel mare delle disoccupazione. I salari praticati da tali imprese sono ben lontani dal supplire ai vantaggi della migrazione. L'emigrato migliora la sua condizione non perché ottiene un qualsiasi lavoro a qualsiasi salario, ma perché il suo lavoro viene pagato con il salario praticato dal mercato del lavoro nei paesi industrializzati. Con la soppressione della migrazione viene eliminato anche quellÂ’unico canale che i paesi poveri hanno di entrare nel circuito di sviluppo dei paesi industrializzati.

Non si capisce poi che logica sia quella per la quale il capitale ha il diritto di andare a cercare lÂ’altra componente della produzione (il lavoro) là dove trova più conveniente, cioè nei paesi in via di sviluppo dove i salari sono moto bassi, mentre al lavoro è negato uguale diritto di andare a cercare il capitale dove trova più conveniente, per esempio, nei paesi industrializzati dove i salari sono più alti. Perché non globalizzare anche la solidarietà, quale espressione della destinazione universale dei beni? Come osservava Giovanni Paolo Secondo nel suo discorso rivolto ai partecipanti al IV Congresso della pastorale per i migranti e rifugiati svoltosi in Vaticano nellÂ’ottobre scorso, di fatto, quel modello di sviluppo, oltre che contribuire a irrigidire la chiusura delle frontiere, consente ai paesi industrializzati ad utilizzare il lavoro del potenziale migrante, nel suo paese di origine senza, sopportarne il peso e il prezzo della presenza nei propri paesi.

Nei paesi dellÂ’Asia la logica della globalizzazione ha preso, con riferimento alla migrazione, una connotazione diversa: quella di manodopera di trasferimento da un'economia ad un'altra con contratto a termine. Per averne un'idea è sufficiente accennare ad un caso emblematico, quello di Taiwan, il paese di più intensa immigrazione. In esso si sono trasferite numerose fabbriche di multinazionali, che preparano dei semilavorati che assorbono un alto tasso di manodopera. Questa, prevalentemente femminile, viene reclutata dai paesi della regione, secondo quote diversificate loro assegnate. Il contratto è rigidamente annuale. Di ricongiungimento familiare non si parla neppure. Alla scadenza dell'anno si deve tornare a casa senza speranza di potere ripetere l'esperienza nello stesso paese. Siccome però le spese dell'espatrio sono talmente alte da costituire un vero investimento, che non è possibile ammortizzare con le entrate di un tempo così breve, alla scadenza del contratto i migranti si danno alla latitanza. Vi rimangono 3-4 anni. Non si profila nessuna prospettiva di sanatoria. Quando decidono di tornare a casa, tali illegali si "arrendono" alla polizia che le tiene in prigione il tempo necessario per lÂ’espletamento delle pratiche di espulsione. Di fatto, molte delle donne riescono a tornare ancora in nello stesso paese sotto falso nome, quello di una sorella o della cognata di cui utilizzano il passaporto. Naturalmente, con tutte le complicazioni del caso.

Uno degli aspetti più vistosi e più gravi delle migrazioni odierne è il forte tasso di illegalità. Ed è proprio un tale fenomeno che desta preoccupazione, soprattutto per la carica di espansione con cui si presenta, fino a ingenerare nella popolazione dei paesi di arrivo, la sensazione di vivere come in una città in stato di assedio. EÂ’ certo un fenomeno in quietante. Ma non pare fuori luogo chiamare in causa anche la politica migratoria praticata dai paesi industrializzati che irrigidiscono la politica di esclusione delle migrazioni mentre le condizioni di vita dei popoli in via di sviluppo si fanno più drammatiche. Si sa inoltre che per molti paesi in via di sviluppo le rimesse effettuate dai loro emigrati, rappresentano per la bilancia dei pagamenti, un apporto in valuta straniera notevole, a volte addirittura superiore al totale delle loro esportazioni e servizi. Come potrebbero essi sopportare un taglio così drastico? Non pare neppure fuori, in questo contesto, un'osservazione espressa del Santo Padre nel Messaggio del Giornata del Migrante del 1992: "Anche se i Paesi sviluppati non sono sempre in grado di assorbire l'intero numero di coloro che si avviano all'emigrazione, tuttavia va rilevato che il criterio per determinare la soglia della sopportabilità non può essere solo quello della semplice difesa del proprio benessere, senza tenere conto delle necessità di chi è drammaticamente costretto a chiedere ospitalità". E poi un interrogativo: è eticamente accettabile respingere il migrante lavoratore e, contemporaneamente, rifiutare, di fatto, con tariffe doganali esorbitanti, anche il prodotto in cui egli ha investito il suo lavoro svolto in patria?

La povertà di cui la migrazione di massa è figlia, non richiede soluzioni che tranquillizzano, ma risposte che permettono di superarla. LÂ’uomo è il cammino della Chiesa; ma deve diventarlo anche per lÂ’economia, la cultura e la politica. Quando ciò non avviene la crisi si acuisce, lÂ’insicurezza aumenta, le violazioni dei diritti umani si moltiplicano, i valori vengono meno e la paura e lÂ’inquietudine dominano.

La Chiesa, esperta in umanità, non ha mai smesso di motivare le istituzioni, nazionali, regioni e soprannazionali a contribuire allÂ’umanizzazione della società.

Il progresso è tale solo quando si trasforma in sviluppo di tutti gli uomini e la ricchezza non viene separata dalla solidarietà, dalla condivisione dei beni e dallÂ’austerità. Lo sviluppo ha una necessaria dimensione economica, poiché deve fornire al maggiore numero possibile degli abitanti del mondo la disponibilità di beni indispensabili per sussistere, tuttavia non esso si esaurisce in tale dimensione.

In questa sollecitudine e conseguimento di questo proposito dello Sviluppo umano sostenibile, devono incontrarsi gli uomini di buona volontà. Essi cercano di fare sì che il terzo Millennio che sta per sorgere porti lÂ’impronta della giustizia, della verità e della pace.

Note:
[*] Conferenza tenuta il 10 novembre 1999 all'Assiociazione Internazionale Carità Politica
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