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 Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move - N° 83, September 2000

 

Un gruppo di Gitani [*] 

Luciana CORETTO

Una cultura secolare, una storia scritta sui volti di uomini dai lineamenti marcati e tramandata nei racconti degli anziani: sono gitani, cittadini del mondo, in giro tra le campagne e le città, per mantenere viva una tradizione fatta di artigianato, di giochi, di commercio.

Nel caldo pomeriggio di giugno in cui la Chiesa commemora la festa dell'Ascensione, alcuni gruppi di gitani si ritrovano nella basilica di san Paolo, per prepararsi a partecipare al Giubileo degli Itineranti, che avrà il suo culmine con la solenne Celebrazione Eucaristica, presieduta dal Santo Padre, in Piazza San Pietro.

Poco più di duecento persone sostano nell'atrio della basilica ostiense, intonando un canto zingaro, prima di varcare in ginocchio la Porta Santa: «sono pellegrini gitani, provenienti dalla Francia», spiega suor Ines Mantovani, francescana missionaria di Maria, che vive nel campo nomadi di Tor Sapienza, a Roma «spesso la gente è diffidente, quando sente parlare di zingari: ma non si può e non si deve generalizzare, in nessun caso! Io vivo con loro, e tra loro la mia evangelizzazione è fatta di presenza, di amicizia, di annuncio e preghiera». Felice di accompagnare il gruppo di pellegrini francesi, suor Ines pone l'accento sulla profonda spiritualità di questa gente e ci invita ad ascoltarli.

 Arcange invece ha cinque figli, ed una viva conoscenza delle scritture: «noi andiamo in giro, per tutto il territorio francese: cambiamo spesso ambiente e incontriamo gente nuova. Nel nostro cammino abbiamo la missione di evangelizzare». Pellegrino nella vita, così come tra le strade di Roma, il fedele gitano si prepara a ricevere il ministero del diaconato: «cerco di vivere intensamente quest'esperienza di fede, perché la forza di questi momenti mi sia vicina quando mi verrà conferito il ministero racconta Arcange Hospicio, mentre stringe tra le braccia il piccolo Isaia. Per me il Giubileo è incontrare Cristo nella fede, incontrare il Santo Padre, e ricevere lo spirito di grazia, quello spirito che è esplosione dentro di noi».

«Ritrovarsi a Roma, con la nostra gente che vive sparsa in tutto il mondo, è un po' come ritrovare le nostre origini e rivivere l'esperienza delle prime comunità cristiane», racconta Bebè Adolphe, che si occupa di coordinare la missione cattolica presso i gitani, «come i primi cristiani, mettiamo in comune i nostri beni, vivendo del ricavato del lavoro di tutti: e così abbiamo fatto anche per venire qui a Roma».

 Profondo conoscitore della cultura zingara, delle lavorazioni in paglia, dell'artigianato nel campo degli strumenti musicali, Bebè ricorda un altro aspetto che accomuna la sua gente alle prime comunità cristiane: «anche per noi Cristo è il primo punto di riferimento, nella vita di tutti i giorni così come nelle grandi difficoltà. Né possiamo dimenticare che anche gli zingari sono stati vittime innocenti delle persecuzioni e dell'Olocausto conclude il pellegrino, ripensando ai racconti che ha ascoltato dai suoi nonni, ma hanno sempre affrontato la morte con dignità, con forza ... con fede».

La preziosa presenza della comunità filippina

Oltre quattromila pellegrini di origine filippina si ritrovano nella basilica di san Paolo nella giornata di giovedì, primo giugno: sono solo una parte dei circa diecimila fedeli filippini che nel giorno del Giubileo dei Migranti incontreranno il Santo Padre in Piazza San Pietro, in rappresentanza dei sette milioni di persone che hanno lasciato le loro isole nel Pacifico, per trasferirsi in ogni parte del globo in cerca di lavoro.

 Servendosi dei nuovi mezzi di comunicazione sociale, su uno schermo posto a lato della statua dell'apostolo delle genti vengono proiettate video ed immagini sui temi del Giubileo, dell'Eucarestia, della Riconciliazione, intervallate da catechesi e conferenze tenute dall'Ordinario Militare per le Filippine, il Vescovo Ramon C. Argüelles.

«Quando sono nelle Filippine, molte persone si professano cristiane per tradizione, vanno a Messa per abitudine, o a volte non partecipano neppure alla Celebrazione Eucaristica. Però quando lasciano il Paese, e si trovano a vivere in culture non cristiane, o scristianizzate, sentono il bisogno forte di vivere la propria fede», afferma il Presule, spiegando la calorosa partecipazione di questi pellegrini. «Una testimonianza è esemplare: quella di molte ragazze che lavorano in Cina, a Taiwan, come collaboratrici domestiche. Sono loro che si prendono cura dei bambini, mentre i genitori lavorano tutto il giorno perché ai loro figli non manchi nulla... di quello che si può comprare! E così capita spesso che la domenica queste ragazze, con il consenso dei genitori, portino i bambini a Messa; poi chiedono il permesso affinché siano battezzati: e i genitori accettano, perché pensano che non ci sia nulla di sbagliato, perché conoscono le ragazze che si occupano dei propri figli, ragazze battezzate, ragazze che stimano. A quel punto iniziano a chiedersi cosa sia il cristianesimo, iniziano ad interessarsi alla fede cattolica, e si accostano ai sacerdoti, ai cappellani, ai missionari. Non sono le ragazze a parlare della fede, non ne sono capaci: piuttosto è la loro testimonianza!».

 E allora ecco il senso di questa catechesi, che precede la Concelebrazione Eucaristica all'altare della confessione: «per questo motivo cerchiamo di dare una formazione catechetica agli immigrati, perché loro non conoscono la religione che professano: sono cattolici per tradizione, per nascita, ma per vivere la fede si deve conoscere le scritture conclude il Vescovo. Il raduno di oggi è l'inizio di un lungo cammino di catechesi, che continuerà nei paesi in cui vivono».

Non sempre è semplice vivere la propria religiosità nei Paesi in cui si emigra e dove i cattolici sono in qualche modo perseguitati: «nel Paese dove ho vissuto per due anni», racconta Enrico Castrillo, che ora lavora in Italia, «era un problema dichiararsi cattolico: innanzitutto cercano di spingerti a convertirti all'Islam, anche offrendoti del denaro. Ma se non rinunci al tuo credo, ti rendono la vita impossibile: hai difficoltà a trovare lavoro, se ti trovano con la Bibbia te la buttano via, sei sospettato per qualsiasi cosa succeda».

Nota:
[*]Cfr. L'osservatore Romano, 2-3 giugno 2000
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