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  SECRETARIA STATUS*

Mutuae Notae cum Adnexis I et II inter Rempublicam Italicam et Sanctam Sedem
constituentes conventionem technicam explicativam et exsecutivam Pactionis
emendativae Concordati Lateranensis diei XVIII Februarii MCMLXXXIV et
subsequentis Protocolli diei XV Novembris MCMLXXXIV

(Viguit a die XXX Aprilis MCMXCVII)

NOTA VERBALE

N. 2152/97/RS

La Segreteria di Stato - Sezione per i Rapporti con gli Stati porge distinti ossequi all'Ecc.ma Ambasciata d'Italia e si onora di far riferimento all'attività della Commissione Paritetica Italia-Santa Sede, che fu istituita, a suo tempo, per la soluzione di alcune questioni interpretative ed applicative delle norme relative ai beni e agli enti ecclesiastici di cui al Protocollo del 15 novembre 1984, e che ha concluso i propri lavori in data 24 febbraio 1997 sottoscrivendo il « Documento Conclusivo » e la « Relazione Finale », qui uniti in fotocopia (allegati N. 1 e N. 2).

Qualora il Governo italiano concordi, la presente Nota Verbale con i predetti allegati che ne fanno parte integrante e la relativa Nota di risposta dell'Ambasciata d'Italia costituiscono un'Intesa tecnica interpretativa ed esecutiva, tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana, dell'Accordo modificativo del Concordato lateranense del 18 febbraio 1984 e del successivo Protocollo del 15 novembre 1984.

Detta intesa entrerà in vigore alla data di risposta della predetta Missione Diplomatica. 

La Segreteria di Stato - Sezione per i Rapporti con gli Stati - profitta volentieri della circostanza per rinnovare all'Ecc.ma Ambasciata d'Italia i sensi della sua più alta e distinta considerazione.

Dal Vaticano, 10 aprile 1997

JEAN-LOUIS TAURAN
Segretario per i Rapporti con gli Stati

Allegato n. 1
alla Nota verbale n. 2152/97/RS del 10 aprile 1997

DOCUMENTO CONCLUSIVO

I

La Commissione paritetica istituita su richiesta della Santa Sede (nota della Segreteria di Stato del 5 ottobre 1995) accolta dal Governo della Repubblica italiana (nota del Presidente del Consiglio dei Ministri del 13 novembre 1995) ai sensi dell'articolo 14 dell'Accordo del 18 febbraio 1984, (richiamato dall'art. 3 del Protocollo del 15 novembre 1984) ha esaminato alcune questioni di interpretazione e di applicazione delle norme per la disciplina della materia degli enti e beni ecclesiastici approvate con il Protocollo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede del 15 novembre 1984 cit. La Commissione paritetica ha raggiunto un'amichevole soluzione delle questioni che le sono state sottoposte, riconoscendo che le norme approvate con il Protocollo del 15 novembre 1984 devono essere interpretate ed applicate, in conformità al loro testo ed alle intenzioni delle parti stipulanti, secondo le precisazioni di seguito indicate:

II

EDILIZIA DI CULTO

Le norme approvate con il Protocollo del 15 novembre 1984, nella parte in cui dispongono l'abrogazione di leggi statali concernenti il finanziamento dell'edilizia di culto (articolo 74), riguardano la cessazione del finanziamento previsto dalle leggi 18 dicembre 1952, n. 2522 nonché 18 aprile 1962, n. 168 e successive modificazioni e integrazioni.

Le norme predette, pertanto, non hanno effetti sulle leggi dello Stato, delle Regioni ordinarie e speciali e delle Province autonome che prevedono finanziamenti a favore dell'edilizia di culto per la realizzazione di interessi pubblici (tutela e promozione del patrimonio storico-artistico, interventi conseguenti a calamità naturali, interventi connessi alle esigenze religiose della popolazione, etc.).

Le medesime norme non pongono altresì divieti a iniziative a sostegno dell'edilizia di culto da parte dei Comuni per il soddisfacimento di esigenze locali, ai sensi dell'articolo 9 della legge 8 giugno 1990, n. 142 e successive modificazioni e integrazioni.

III

ENTI ECCLESIASTICI CIVILMENTE RICONOSCIUTI

Le norme approvate con il Protocollo del 15 novembre 1984, nella parte relativa agli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti recano una disciplina che presenta carattere di specialità rispetto a quella del codice civile in materia di persone giuridiche.

In particolare, ai sensi dell'articolo 1 delle norme predette e in conformità a quanto già disposto dall'articolo 7, comma 2, dell'Accordo del 18 febbraio 1984, gli enti ecclesiastici sono riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili nel rispetto delle loro caratteristiche originarie stabilite dalle norme del diritto canonico.

Non sono pertanto applicabili agli enti ecclesiastici le norme dettate dal codice civile in tema di costituzione, struttura, amministrazione ed estinzione delle persone giuridiche private. Non può dunque richiedersi ad essi, ad esempio, la costituzione per atto pubblico, il possesso in ogni caso dello statuto, né la conformità del medesimo, ove l'ente ne sia dotato, alle prescrizioni riguardanti le persone giuridiche private.

L'Amministrazione che esamina le domande di riconoscimento degli enti ecclesiastici agli effetti civili verifica la sussistenza dei requisiti previsti dalle norme per le diverse categorie di enti. In particolare l'Amministrazione accerta, salvo che per gli enti di cui all'articolo 2, primo comma, delle norme citate, che il fine di religione o di culto sia costitutivo ed essenziale: a tal fine gli enti ecclesiastici debbono produrre gli elementi occorrenti quali risultano dalla documentazione di regola rilasciata dall'autorità ecclesiastica, comprese le norme statutarie, ove ne siano dotati ai sensi del diritto canonico.

Resta quindi esclusa la richiesta di requisiti ulteriori rispetto a quelli che, secondo le norme citate, costituiscono oggetto di accertamento o valutazione ai fini del riconoscimento degli enti ecclesiastici agli effetti civili, nonché di documenti non attinenti ai requisiti medesimi.

Gli altri elementi previsti dall'articolo 5 delle norme predette - ad esempio il patrimonio sono necessari soltanto al fine dell'iscrizione dell'ente civilmente riconosciuto nel registro delle persone giuridiche.

Roma, 24 febbraio 1997

Allegato N. 2
alla Nota verbale n. 2152/97/RS del 10 aprile 1997

RELAZIONE DELLA
COMMISSIONE PARITETICA ITALIA - SANTA SEDE
ISTITUITA PER LA SOLUZIONE DI QUESTIONI
INTERPRETATIVE ED APPLICATIVE DELLE NORME
RELATIVE AI BENI E AGLI ENTI ECCLESIASTICI APPROVATE
CON IL
PROTOCOLLO DEL 15 NOVEMBRE 1984

I

Con nota del 5 ottobre 1995 la Segreteria di Stato della Santa Sede, pur dando atto al Governo italiano dell'attuazione positiva e costruttiva che si era offerta, fino ad allora, all'Accordo del 18 febbraio 1984 di revisione del Concordato lateranense e al successivo Protocollo del 15 novembre dello stesso anno, osservava che, in materia di edifici di culto e di enti ecclesiastici, erano venute manifestandosi, nell'ordinamento italiano, talune linee interpretative ed applicative sulle quali la Santa Sede riteneva di non poter convenire.

Con riferimento agli edifici di culto la Santa Sede osservava che doveva ritenersi in contrasto con la nuova disciplina pattizia (e con l'attuazione che alla stessa era stata offerta nell'ordinamento statale) l'orientamento interpretativo che aveva condotto a negare la operatività, nell'ordinamento italiano, a disposizioni rivolte a finanziare l'edilizia del culto cattolico distrutta o danneggiata da calamità naturali. Non poteva condividersi, inoltre, l'affermazione secondo cui, in conseguenza del nuovo assetto pattizio, doveva considerarsi venuta meno la potestà delle Regioni di provvedere al sostegno dell'edilizia di culto sia pure nell'ambito di iniziative preordinate alla cura di interessi pubblici regionali.

Con riguardo poi agli enti ecclesiastici la Santa Sede lamentava che l'Amministrazione italiana, in più occasioni, avesse, ai fini del riconoscimento, richiesto il possesso, per gli enti medesimi, di requisiti concernenti le persone giuridiche disciplinate dal codice civile e di acquisire documenti non necessari (ad esempio quelli relativi ai mezzi finanziari dell'ente).

La nota concludeva chiedendo al Governo italiano - in applicazione dell'articolo 14 dell'Accordo del 18 febbraio 1984, richiamato dall'articolo 3 del Protocollo del 15 novembre 1984 la costituzione di una Commissione paritetica per la ricerca di un'amichevole soluzione delle questioni indicate.

Con nota del 13 novembre 1995, indirizzata alla Segreteria di Stato, il Presidente del Consiglio dei Ministri dichiarava di concordare sulla istituzione di una Commissione paritetica incaricata, ai sensi dell'articolo 14 dell'Accordo del 18 febbraio 1984 (e dell'art. 3 del Protocollo), di ricercare un'amichevole soluzione in ordine alle difficoltà interpretative e applicative rappresentate dalla Santa Sede.

Con successiva nota verbale del 18 novembre 1995 il Governo italiano comunicava alla Santa Sede che la Commissione paritetica, per la parte italiana, sarebbe stata composta dai signori:

Dott. Alberto De Roberto, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato (Capo del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri alla data di istituzione della Commissione), Presidente.
Prof. Umberto Leanza, Professore nell'Università di Roma Tor Vergata
- Capo del Contenzioso diplomatico del Ministero degli affari esteri, Componente.
Prof. Alberto Roccella, Professore nell'Università di Milano, Componente.
Dott.ssa Anna Nardini, Funzionario del Dipartimento degli Affari Giuridici e Legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Segretario.

Con nota verbale del 21 dicembre 1995 la Santa Sede comunicava che la Commissione, per la parte vaticana, risultava così composta:

S.E. Mons. Attilio Nicora, Vescovo di Verona, incaricato dalla Conferenza Episcopale Italiana per i problemi di attuazione dell'Accordo di revisione del Concordato, Presidente.
Mons. Agostino De Angelis, Capo dell'Ufficio Giuridico del Vicariato di Roma, Componente. Dott. Cesare Testa, Responsabile dell'Organizzazione dell'Istituto Centrale per il Sostentamento del Clero, Componente
Mons. Luigi Trivero, Direttore dell'Ufficio per i problemi giuridici della Conferenza Episcopale Italiana, Segretario.

La Commissione paritetica si insediava in Roma il 16 maggio 1996.

Dopo aver dato atto della propria competenza a pronunciarsi sulle questioni sottopostele, la Commissione procedeva, nella stessa seduta, ad una generale ricognizione dei punti in contestazione.

Nelle successive riunioni (tenute a Roma nei giorni 29 maggio, 19 e 20 giugno, 12 luglio, 23 settembre, 11 ottobre; a Verona il 31 ottobre; di nuovo, a Roma il 28 novembre, il 6 e il 12 dicembre 1996, il 20 gennaio, il 13 e il 14 febbraio 1997) si provvedeva ai necessari approfondimenti.

In data 24 febbraio 1997 la Commissione paritetica ha terminato i suoi lavori e sottoscritto, in Roma, nella sala della Biblioteca Chigiana di Palazzo Chigi, la presente relazione e l'annesso documento conclusivo:, su ogni punto ed aspetto di entrambi i documenti le Parti hanno raggiunto un amichevole, completo accordo.

La presente relazione viene articolata - come la diversità della materia richiede in due distinte parti: la prima dedicata alle questioni concernenti gli edifici di culto, la seconda relativa agli enti ecclesiastici.

II

Vanno esaminate per prime le questioni concernenti l'edilizia di culto.

Per una migliore comprensione delle problematiche poste è utile ricordare che le nuove norme pattizie in materia di edilizia di culto si inseriscono all'interno di una disciplina di non agevole ricostruzione anche perché frutto di stratificazioni normative non sempre rispondenti ad un disegno unitario.

A partire dal secondo dopoguerra, alla originaria norma che prevedeva l'accollo obbligatorio sui Comuni delle spese occorrenti alla « conservazione degli edifici serventi al culto pubblico nel caso di insufficienza di altri mezzi per provvedervi « (articolo 91, lettera I, del R.D. 3 marzo 1934, n. 383), erano venute aggiungendosi ulteriori disposizioni rivolte ad assicurare un più ampio e incisivo sostegno all'edilizia di culto.

In via di larga approssimazione le norme via via inserite nell'ordinamento italiano nella materia possono essere raccolte nei seguenti due gruppi:

a) norme attributive di aiuti all'edilizia di culto al solo fine di favorire il perseguimento degli obiettivi di carattere religioso curati dalla Chiesa cattolica;

b) norme miranti ad offrire, invece, sostegno a interessi dello Stato italiano suscettibili di venire soddisfatti attraverso interventi disposti a favore dell'edilizia di culto.

Nel primo gruppo si collocano la legge 18 dicembre 1952, n. 2522 e la successiva legge 18 aprile 1962, n. 168 contemplanti, entrambe, l'erogazione di contributi finanziari statali per la costruzione di edifici del culto cattolico.

Si inseriscono, invece, nel secondo gruppo i provvedimenti legislativi con i quali si è accordato sostegno all'edilizia di culto di interesse storico, monumentale, artistico (legge 21 dicembre 1961, n. 1552; legge 14 marzo 1968, n. 292, ecc.).

Nello stesso novero vanno pure ricondotte le numerose leggi con le quali si è prevista la ricostruzione e riparazione dell'edilizia di culto colpita da eventi calamitosi di carattere straordinario (D.L.C.P.S. 27 giugno 1946, n. 35, ratificato, con modificazioni, dalla legge 10 agosto 1950, n. 784, concernente la riparazione e ricostruzione degli edifici di culto cattolico danneggiati e distrutti dalla guerra; legge n. 168 del 1962 cit. nella parte in cui prevede la riparazione degli edifici distrutti dal terremoto del 1908; D.L. 13 maggio 1976, n. 227, convertito dalla legge 29 maggio 1976, n. 336, relativa al terremoto del Friuli).

Pure nel secondo gruppo si pone la particolare disciplina di sostegno dell'edilizia di culto che ha preso avvio con la introduzione dell'articolo 44 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, rivolta a ricondurre tra le opere di urbanizzazione secondaria « le chiese e gli altri edifici per servizi religiosi ».

La detta normativa è rivolta a far gravare, sia pure in parte, sui lottizzanti (legge 6 agosto 1967, n. 765) e, dopo la introduzione in via generale della concessione edilizia onerosa (legge 28 gennaio 1977, n. 10), su tutti i soggetti che svolgano attività di trasformazione del suolo, gli oneri di urbanizzazione (e, perciò, anche quelli relativi all'edilizia di culto ricadente tra le opere di urbanizzazione secondaria).

Si accorda, così, sostegno all'edilizia di culto (e non solo a quella del culto cattolico), per assicurare le infrastrutture necessarie alla vita della comunità territoriale (scuole, impianti sportivi, centri sociali, chiese ed altri edifici per servizi religiosi, etc.).

Il Protocollo del 15 novembre 1984 ha fatto venire meno ogni sostegno finanziario statale a favore dell'edilizia di culto ove l'aiuto stesso non risulti in funzione della realizzazione di interessi dello Stato italiano (soppressione dei sostegni di cui alla lettera a).

Una soluzione che trova spiegazione nel fatto che alla realizzazione e manutenzione dell'edilizia di culto - quando l'obiettivo perseguito è solo quello di carattere specificamente confessionale è, ormai, chiamata direttamente la Chiesa cattolica che può avvalersi, oggi, a questi fini, anche della quota dell'otto per mille del gettito dell'IRPEF attribuitole sulla base delle scelte espresse dai contribuenti.

La soppressione di ogni sostegno pubblico, in questa ipotesi, risulta testualmente sancita dall'articolo 74 della legge 20 maggio 1985, n. 222, che dispone in esecuzione del Protocollo del 15 novembre 1984 - l'abrogazione delle leggi n. 2522 del 1952 e n. 168 del 1962 (leggi che prevedono il concorso statale ai fini della costruzione di nuove chiese del culto cattolico) e di ogni altra disposizione incompatibile.

Naturalmente, all'abrogazione delle disposizioni ora riferite si accompagna pure il divieto per lo Stato italiano di dare vita, in avvenire, a discipline che ricalchino quella espunta dalla nuova normativa pattizia.

Nulla dispongono, invece, le norme pattizie per quanto attiene agli aiuti alla edilizia di culto tendenti a consentire la realizzazione di interessi anche dello Stato italiano nella pluralità delle sue articolazioni (v. lettera b).

Un silenzio da interpretare quale indifferenza del Protocollo del 1984 per tali forme d'intervento, lasciate così alle libere, unilaterali determinazioni dell'ordinamento italiano.

Debbono, conseguentemente, ritenersi non influenzate dalla disciplina pattizia (e dalle disposizioni con le quali alla stessa si è data attuazione) le norme che prevedono aiuti, nell'interesse pubblico, all'edilizia di culto.

Al regime d'indifferenza della disciplina pattizia per gli interventi da ultimo ricordati (sostegno dell'edilizia di culto per il soddisfacimento di pubblici interessi) deroga solo l'art. 53 delle norme approvate con il Protocollo nel punto in cui contempla il mantenimento in vita della vigente normativa in tema di utilizzazione a favore dell'edilizia di culto - in percentuali da definirsi con legge regionale - dei contributi di concessione edilizia.

In questo caso le Parti contraenti hanno inteso, in sede di Protocollo - in deroga al generale principio secondo cui gli aiuti, nell'interesse pubblico, all'edilizia di culto dipendono solo da decisioni unilaterali dello Stato italiano - vincolare quest'ultimo a tener ferma l'attuale disciplina che pone a carico, sia pure in parte, della mano pubblica gli oneri per le infrastrutture religiose occorrenti agli insediamenti territoriali.

Alla stregua dei principi sopra enunciati diviene agevole offrire risposta ai quesiti proposti.

Le norme fin qui in vigore, recanti finanziamenti a favore dell'edilizia di culto, distrutta o danneggiata da eventi calamitosi di carattere straordinario, non possono ritenersi in contrasto con la nuova disciplina pattizia.

Trattasi, infatti, di sostegni accordati alla edilizia di culto non per finalità di carattere confessionale ma, nell'interesse pubblico, per porre riparo, in tutto o in parte, ai danni provocati da eventi naturali.

È da riconoscere ovviamente al legislatore italiano la facoltà di dar vita, in via unilaterale, anche in avvenire, a nuovi interventi a favore dell'edilizia di culto danneggiata o distrutta da siffatti eventi.

È, pure, da ammettere che le Regioni possano offrire sostegno finanziario all'edilizia di culto per la realizzazione di interessi pubblici ricadenti nelle competenze regionali.

Le leggi delle Regioni che, prima e dopo la disciplina pattizia, hanno previsto il finanziamento, con tali obiettivi, dell'edilizia di culto non possono perciò considerarsi abrogate o costituzionalmente illegittime.

Va considerato, a questo riguardo, da un lato, che nessun divieto risulta posto dalle norme approvate con il Protocollo a sostegni offerti nell'interesse pubblico all'edilizia di culto dalla Repubblica italiana e dalle istituzioni in cui essa si articola (ad es. le Regioni) e, dall'altro, che risultano pienamente ipotizzabili - nella logica del riparto costituzionale - aiuti accordati alla edilizia di culto in aree di competenza regionale (urbanistica, turismo etc.) per la realizzazione di interessi pubblici affidati alle Regioni.

Le stesse norme approvate con il Protocollo prevedono, d'altra parte, espressamente (all'art. 53 secondo comma) l'ipotesi di edifici di culto e di pertinenti opere parrocchiali costruiti con contributi regionali (oltre che comunali), stabilendo che tali edifici non possono essere sottratti alla loro destinazione, neppure per effetto di alienazione, se non sono decorsi venti anni dall'erogazione del contributo.

È appena il caso di soggiungere che, anche nella vigenza della nuova disciplina, deve ritenersi consentito ai Comuni - oggi investiti di tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione e il territorio comunale (articolo 9 della legge 8 giugno 1990, n. 142) - la facoltà di assumere iniziative per l'edilizia di culto rivolte a soddisfare specifici interessi locali.

III

Per quanto attiene agli enti ecclesiastici, la Santa Sede lamenta, sostanzialmente, che l'Amministrazione italiana abbia, in più di una occasione, richiesto per il riconoscimento degli enti ecclesiastici il possesso di requisiti che sono propri delle persone giuridiche espresse dall'ordinamento italiano, senza considerare che gli enti ecclesiastici sono istituzioni che sorgono nell'ordinamento canonico conservando, in quello italiano, gli originari caratteri.

Rileva, anzitutto, la Commissione paritetica che la Repubblica italiana si è impegnata, con l'art. 7, comma 2, dell'Accordo del 18 febbraio 1984, a riconoscere agli effetti civili gli enti ecclesiastici « eretti o approvati secondo le norme del diritto canonico ».

Ciò significa che la Repubblica italiana è tenuta, ai sensi della norma ora ricordata, ad accogliere nel proprio ordinamento gli enti ecclesiastici, ai quali accorda il riconoscimento, con le caratteristiche che agli stessi ineriscono nell'ordinamento di provenienza (sempreché risultino presenti le specifiche condizioni poste dalla disciplina pattizia).

Il che comporta che non possono ritenersi applicabili agli enti ecclesiastici le norme del codice civile in tema di costituzione, struttura, amministrazione ed estinzione delle persone giuridiche private.

Per le stesse ragioni deve ritenersi non consentito all'Amministrazione italiana pretendere l'esibizione in forma di atto pubblico dello statuto dell'ente ecclesiastico e di assoggettare ad « approvazione » le norme statutarie in occasione del riconoscimento.

È evidente che una siffatta linea finirebbe per condurre con disconoscimento della fondamentale regola pattizia che vuole l'ente ecclesiastico recepito con i suoi originari caratteri - ad una vera e propria « rifondazione » dello stesso nell'ordinamento italiano.

Sempre con riferimento alle questioni che sono state proposte va osservato che, ai fini del riconoscimento degli enti ecclesiastici, l'Amministrazione italiana è chiamata, in relazione agli enti di cui all'art. 2, secondo comma, della legge n. 222 del 1985, ad accertare la sussistenza del fine di religione o di culto quale fine costitutivo ed essenziale dell'ente: una verifica che, seppur sprovvista di momenti di vera e propria discrezionalità, può condurre, in talune ipotesi, a valutazioni di qualche complessità in considerazione della difficoltà di stabilire, in presenza di una pluralità di fini perseguiti dall'ente, se quello di religione o di culto è effettivamente il fine costitutivo ed essenziale.

Gli enti interessati dovranno produrre - per consentire all'Amministrazione italiana di effettuare tale accertamento ogni documento utile (e in primo luogo le norme statutarie ove il diritto canonico ne prescriva il possesso).

A tale adempimento non sono, invece, tenuti gli enti che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti religiosi ed i seminari, in relazione ai quali il fine di religione o di culto è presunto juris et de jure (art. 2, primo comma, della legge n. 222 del 1985).

In questa logica, correttamente, il secondo comma, lett. d), dell'art. 2 del d.P.R. 13 febbraio 1987, n. 33 impone all'ente interessato di allegare all'istanza di riconoscimento i documenti (provenienti, di regola, da autorità ecclesiastiche) da cui risultino i fini dello stesso.

Il Prefetto potrà acquisire eventuali ulteriori elementi, in vista dell'accertamento del fine, con richiesta rivolta all'ente, all'autorità ecclesiastica o ad organi della pubblica amministrazione (art. 4 d.P.R. 13 febbraio 1987, n. 33).

Si conviene, pure, con la Santa Sede nell'assunto secondo cui l'ente ecclesiastico può esimersi dall'esibire prescrizioni formalmente racchiuse nello statuto ma prive di rilievo ai fini del riconoscimento (ad esempio disposizioni concernenti le pratiche religiose, il regime degli appartenenti alla istituzione etc.).

La Commissione paritetica concorda in ordine all'insussistenza di una normativa pattizia che imponga, in via generale, ai fini del riconoscimento, di conferire rilievo come talora si è preteso da parte italiana - alle risorse patrimoniali di cui dispone l'ente ecclesiastico.

Una valutazione a questo riguardo risulta prevista solo nei confronti degli istituti religiosi di diritto diocesano, delle chiese aperte al culto pubblico e delle fondazioni di culto.

La legge n. 222 del 1985 stabilisce infatti che gli istituti religiosi di diritto diocesano debbono disporre di risorse che garantiscano la loro stabilità (art. 8); le chiese aperte al culto pubblico di mezzi sufficienti per la manutenzione e l'officiatura (art. 11); le fondazioni di culto dei mezzi occorrenti per il raggiungimento dei loro fini (art. 12).

Agli effetti, peraltro, della iscrizione nel registro delle persone giuridiche (un adempimento da eseguire a riconoscimento avvenuto a tutela dei terzi che entrano in rapporto con l'istituzione) ogni ente ecclesiastico dovrà insieme agli altri elementi di cui agli articoli 33 e 34 del codice civile - indicare il proprio patrimonio.

Rileva la Commissione paritetica che una parte almeno delle incomprensioni manifestatesi nella materia trae origine dalla presenza, nell'ordinamento italiano, della norma regolamentare (art. 2, lett. e del d.P.R. n. 33 del 1987), che ha imposto - in occasione della presentazione della domanda di riconoscimento - la produzione di documenti rilevanti, invece, solo agli effetti della iscrizione nel registro delle persone giuridiche.

Non possono, pertanto, non avanzarsi riserve in ordine alla conformità alla normativa pattizia in tema di riconoscimento della citata disposizione regolamentare nel tratto in cui richiede la produzione, in allegato alla domanda di riconoscimento, di ogni « documentazione » rilevante ai fini dell'iscrizione nel registro predetto.

Roma, 24 febbraio 1997.

NOTA VERBALE

L'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede presenta i suoi complimenti all'Eccellentissima Segreteria di Stato Sezione per i Rapporti con gli Sta ti - ed ha l'onore di riferirsi alla sua Nota Verbale n. 2152/97/RS del 10 aprile 1997, del seguente tenore:

« La Segreteria di Stato Sezione per i Rapporti con gli Stati porge distinti ossequi all'Ecc.ma Ambasciata d'Italia e si onora di fare riferimento all'attività della Commissione Paritetica Italia-Santa Sede, che fu istituita, a suo tempo, per la soluzione di alcune questioni interpretative ed applicative delle norme relative ai beni ed agli enti ecclesiastici di cui al Protocollo del 15 novembre 1984, e che ha concluso i propri lavori in data 24 febbraio 1997 sottoscrivendo il « Documento Conclusivo » e la « Relazione Finale », qui uniti in fotocopia (allegati n. 1 e n. 2).

Qualora il Governo italiano concordi, la presente Nota Verbale con i predetti allegati che ne fanno parte integrante e la relativa Nota di risposta dell'Ambasciata d'Italia costituiscono un'Intesa tecnica interpretativa ed esecutiva, tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana, dell'Accordo modificativo del Concordato Lateranense del 18 febbraio 1984 e del successivo Protocollo del 15 novembre 1984.

Detta Intesa entrerà in vigore alla data di risposta della predetta Missione Diplomatica.

La Segreteria di Stato Sezione per i Rapporti con gli Stati profitta volentieri della circostanza per rinnovare all'Ecc.ma Ambasciata d'Italia i sensi della sua più alta e distinta considerazione ».

L'Ambasciata d'Italia ha l'onore di informare che il Governo italiano è d'accordo in merito al contenuto della Nota sopradescritta.

L'Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede si avvale dell'occasione per rinnovare all'Eccellentissima Segreteria di Stato gli atti della sua più alta considerazione.

Roma, 30 aprile 1997.

BRUNO BOTTAI
Ambasciatore d'Italia


*A.A.S., vol. XC (1998), n. 9, pp. 697-709

 

© Copyright 1997 - Libreria Editrice Vaticana

 

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