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CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA IN OCCASIONE
DEL 1650° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA
DI SANT'AGOSTINO, VESCOVO DI IPPONA

OMELIA DEL CARDINALE ANGELO SODANO

Basilica romana di sant'Agostino in Campo Marzio
Venerdì, 12 novembre 2004

 

Venerati Concelebranti,
Signori Ambasciatori e distinte Autorità.
Onorevoli Senatori e Deputati, miei fratelli,

La Roma cristiana ha accolto fra le sue mura le spoglie mortali di un grande figlio della terra africana, da sempre intimamente legata ai destini dell'Urbe.

Domani ricorderemo quel lontano 13 novembre del 354, allorquando Agostino veniva alla luce, in un piccolo borgo, qual era in quel tempo Tagaste, nell'attuale Algeria. Da allora il nome di quel bell'angolo del Mediterraneo è entrato nella storia della Chiesa, così come nel cammino della civiltà cristiana.

1. Alla ricerca della verità

Le vicende terrene di Agostino d'Ippona vi sono ben note. La Provvidenza Divina lo condusse dapprima dalla sua terra natale verso il centro intellettuale di Cartagine, nell'attuale Tunisia e poi in quest'Urbe, meta agognata di tanti studiosi del tempo. Seguì poi l'esperienza folgorante di Milano, ove il Signore l'attendeva al varco, così come aveva fatto con Paolo sulla via di Damasco. Strumento nelle mani della Provvidenza fu allora il grande Vescovo Ambrogio che dalla sua Cattedra episcopale indicava la strada da percorrere a chi andava in cerca di un senso per la propria vita e per il corso della civiltà umana.

Venne poi per Agostino il giorno del Battesimo, nella solennità di Pasqua del 387, fra la gioia della madre Monica e dei suoi compagni di studio. Ed il filosofo di Ippona, ormai trentatreenne, potrà così iniziare una vita nuova, tutta spesa a proclamare al mondo quella verità, che ormai aveva trovato.

2. Il fascino di Roma

Oggi Roma ha aperto le sue porte per accogliere le spoglie mortali di quest'insigne Padre della Chiesa. In un primo tempo, il suo corpo aveva trovato una degna sepoltura nella sua Cattedrale, in quella Basilica della Pace, ove egli tante volte aveva predicato.

Venne poi la necessità di sottrarlo alle devastazioni di orde barbariche, che s'erano riversate sulle coste africane. Fu così che l'urna del nostro santo venne dapprima trasportata in Sardegna e poi di là, due secoli dopo, per evitare altre profanazioni da parte dei Saraceni, fu trasferita a Pavia, devotamente accolta dal re dei Longobardi, Liutprando. Questi anzi volle che l'insigne reliquia riposasse nella Chiesa di s. Pietro in Ciel d'Oro, ove ancor oggi essa è venerata dal popolo cristiano.

In Paradiso il nostro santo oggi gioirà nel vedere riunita intorno ai suoi resti mortali la comunità cristiana di quella  Roma,  che  egli  tanto  aveva amato.

Qui egli aveva conosciuto la sapienza umana di tanti suoi maestri. Qui poi si era aperto a ricevere quella sapienza cristiana, che gli proverrà abbondante dal Vangelo di Cristo. A questa Roma il Vescovo Agostino sempre poi guardò nel corso della sua vita apostolica, ben sapendo che qui v'era la Sede di Pietro e la Cattedra di verità per ogni figlio della Chiesa. A tale proposito ancor oggi rimane proverbiale quella risposta concisa che egli diede a chi sollevava delle difficoltà per ricevere le decisioni del Papa Zosimo nella controversia con Pelagio:  "Roma locuta est, causa finita est!", Roma ha parlato e la questione è quindi finita! (Cfr Serm. 131, c. 10, n. 10:  PL 38, 734).

3. La Città di Dio

Dirigendomi ora in modo particolare a coloro che hanno delle responsabilità per l'ordinato sviluppo della nostra società, mi sembra opportuno accennare ad una delle opere più attuali del nostro santo, e cioè al suo trattato de Civitate Dei, la Città di Dio.

Lì Agostino ci traccia una visione realistica della storia umana Essa è vista come l'opera dell'uomo che, da una parte, può compiere grandi cose con l'aiuto della Grazia, ma, d'altra parte, può anche giungere a perpetrare le peggiori nefandezze, se si lascia guidare dalle forze del male.

Per Agostino la prima chiave per comprendere la storia è appunto questo mistero della libertà umana, che può aprirsi alla luce della verità ed al calore della bontà, ma che può anche chiudersi in se stessa, rifiutando Dio. L'intuizione di Agostino del resto era nel solco del prologo del Vangelo di s. Giovanni che oggi è stato proclamato in questa santa Messa: "La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'anno accolta... Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto" (Gv 1, 5-11).

Sempre impressionante è a tale proposito la celebre frase del filosofo di Ippona nel libro XIV del De Civitate Dei, ove parla dei due amori che hanno costruito le due città, la Città di Dio, che è Gerusalemme, e la città del male, che è Babilonia.

"Due amori hanno costruito le due città:  l'amore terreno di se stessi fino al disprezzo di Dio e l'amore celeste di Dio fino al disprezzo di se stessi" (Ibidem, XIV, 28:  CCL 48, 451).

Per Agostino c'è però una chiave ulteriore per capire il groviglio della storia umana: è la chiave della Provvidenza Divina, che sa volgere al bene anche le follie degli uomini, come già aveva proclamato, del resto, l'Apostolo Paolo, dicendo ai cristiani perseguitati dall'Imperatore romano che "Dio dirige tutto per il bene di coloro che Egli ama" (Rom 8, 28).

4. La missione del cristiano

Il nostro santo Vescovo ricordava poi ai cristiani che per la costruzione della "Città di Dio" ognuno era chiamato a dare il suo contributo, trafficando i talenti che il Signore gli aveva dato.

Oggi, più che parlare di una città da costruire dall'esterno, si preferisce talora insistere su di un'azione all'interno di ogni società, immettendovi quel lievito evangelico che può permeare ogni realtà umana È però lo stesso impegno, anche  se  talora  i  metodi possono variare.

In realtà, il termine di "città" noi oggi potremmo tradurlo meglio con quello di "società", o di "civiltà", che indica più ampiamente la realtà sociale in cui un cittadino è chiamato ad operare.

In tale contesto il cristiano vive gomito a gomito con uomini di altro orientamento di vita. Anche se animato da un grande spirito di comprensione per tutti, il discepolo di Cristo sa però di aver ricevuto un mandato di annunziare il Vangelo ad ogni creatura, anzi ad ogni nazione della terra (Mt 28, 19). È un mandato che talora obbliga ad andare contro corrente.

In alcuni momenti può anche sorgere la tentazione di occultare la propria fede, ma il cristiano subito ricorda le parole ammonitrici del suo Maestro: "Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di li si vergognerà il Signore, quando verrà nella sua gloria" (cfr Lc 9, 26).

Agostino ben sapeva come fosse difficile la presenza del cristiano nella vita pubblica, data la diffidenza che egli aveva verso i grandi Imperi del tempo, che sovente si erano macchiati dei più grandi delitti ed avevano cercato di negare la libertà dei cristiani di professare pubblicamente la loro fede. Il nostro Santo chiamava però tutti ad operare nella società del suo tempo invitando a confidare nella Provvidenza Divina. "Sarebbe inconcepibile - egli scriveva nel De Civitate Dei - che Dio abbia voluto lasciare i regni umani al di fuori delle leggi della Provvidenza" (Ibidem, V, 11 e 19: CCL 47, 142).

5. Nel cuore d'ogni civiltà

Strumento della Provvidenza Divina per animare cristianamente ogni civiltà è appunto ogni cristiano, chiamato da Cristo ad essere nel mondo come il lievito della parabola evangelica.

Chi non ricorda la bella pagina del Vangelo, là ove Cristo ci ha detto: "Il Regno dei cieli è simile al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina, perché tutta si fermenti" (Mt 13, 33)?

Ogni cristiano è chiamato a portare la sua parte di lievito nella realtà umana. Così nella famiglia, così nella scuola, così nelle istituzioni nazionali ed in quelle internazionali. Così cerca di fare la Chiesa intera:  in realtà è lei quella donna misteriosa descrittaci da Cristo, come tutta intenta ad immettere nella farina quel lievito che la trasformerà e darà poi sapore al pane quotidiano.

6. Lo stile del cristiano

Appunto per poter portare in ogni realtà umana il fermento del Vangelo, il cristiano deve essere paziente ed affrettare poi con la preghiera l'opera della Grazia.

Certo, il cristiano deve essere fiero della sua fede, come scriveva s. Agostino: "Siate fieri della verità, però senza superbia", o letteralmente, nel bel latino ciceroniano del nostro Santo: "Sine superbia de veritate praesumite" (Contra litteras Petiliani, 1, 29, 31: PL 43, 259).

Importante è, quindi, anche il richiamo all'umiltà del cristiano, che deve comprendere, amare ed aiutare ogni uomo creato da Dio a sua immagine e somiglianza.

Inutile poi per il nostro Santo è la recriminazione acida contro la nequizia dei tempi. Vi è nelle opere di Agostino una frase impressionante a tale riguardo: "Viviamo bene ed allora i tempi sono buoni. I tempi siamo noi:  quali noi siamo, tali sono i tempi" (Sermo 80: PL 38, 498).

In ogni caso, se il cristiano deve soffrire per la propria fede, il nostro Santo ricordava le parole che S. Pietro aveva inviato, qui da Roma, ai fedeli perseguitati dell'Asia Minore: "Se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca, glorifichi anzi Dio per questo nome", "Ut christianus non erubescat" (1Pt 4, 16).

7. Il futuro della civiltà

Con la loro testimonianza, i discepoli del Signore sono chiamati anche oggi ad essere artefici di una civiltà aperta ai valori del Vangelo ed anzi animata da tali fermenti di vita nuova.

Il termine di civiltà indica oggi uno stile alto di vita che caratterizza un determinato popolo, nei suoi rapporti con la natura, con gli altri uomini e con Dio. Come ogni realtà umana, anche una civiltà è fragile e può degenerare con la perdita soprattutto del suo valore più importante, qual'è il rapporto con Dio. Può addirittura nascere un'antropologia che rifiuta Dio. È stata, questa, del resto la tragedia di varie civiltà, che hanno cercato di costruire una città terrena senza Dio.

La condizione di fragilità a cui è esposta ogni civiltà obbliga, quindi, anche i cristiani ad essere attivi nelle società in cui vivono.

Se la civiltà vuol dire "perfezione dell'uomo", il cristianesimo è chiamato a configurare tale perfezione. Ciò è già avvenuto in passato, in varie forme, e ciò deve essere anche oggi. È vero che talora vi sono stati tentativi di creare una civiltà senza Cristo. Ma ne abbiamo visto le terribili conseguenze.

Nel solco del magistero di s. Agostino, come degli altri grandi Padri della Chiesa, si è inserito in questi ultimi tempi il magistero del Papa Giovanni Paolo II, che ha richiamato i cristiani d'oggi al loro impegno di questo vero servizio al prossimo anche in forza dell'amore che dobbiamo avere verso di lui.

"La carità si farà allora necessariamente servizio alla cultura, alla politica, all'economia, alla famiglia, perché dappertutto vengano rispettati i principi fondamentali dai quali dipende il destino dell'essere umano ed il futuro della civiltà" (Novo Millennio ineunte, n. 51).

8. Conclusione

Cari amici, dall'urna che contiene i resti mortali di s. Agostino, Vescovo e Dottore della Chiesa, giunga ancora una volta un messaggio di vita a questa città di Roma che egli tanto aveva amato. Quando nel 410 le orde di Alarico passarono il Tevere e saccheggiarono l'Urbe, Agostino pianse amaramente. Celebre rimase anche il discorso tenuto in quella circostanza, il De excidio Urbis, "Sulla distruzione dell'Urbe". Oggi dal cielo egli potrà vedere una città piena di vita, in ricerca affannosa di nuove mete.

Sempre latente è però il pericolo di chiuderci ai valori spirituali e di dimenticare la parola del Signore che ci ammonisce dicendo: "A che servirà all'uomo guadagnare anche il mondo intero se poi perde la propria anima?" (Mt 17, 26). S. Agostino ci ricordi sempre il vero significato della nostra vita e ci ottenga dal Signore la grazia di lavorare con impegno perché la "Città dell'uomo" corrisponda sempre più al piano della "Città di Dio".

           

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