The Holy See
back up
Search
riga

EVENTO INTERGOVERNATIVO A LIVELLO MINISTERIALE IN OCCASIONE DEL
60° ANNIVERSARIO DELLA CONVENZIONE RELATIVA ALLO STATUS
DEI RIFUGIATI DEL 1951 E DEL 50° ANNIVERSARIO DELLA
CONVENZIONE SULLA RIDUZIONE DELL'APOLIDIA DEL 1961
[GINEVRA, 7-8 DICEMBRE 2011]

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO SILVANO M. TOMASI
OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE
PRESSO L'UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE E
ISTITUZIONI SPECIALIZZATE A GINEVRA

Ginevra
7-8 dicembre 2011

 

Signor Presidente,

I rifugiati hanno sempre fatto parte della storia. Purtroppo, ancora oggi il loro numero e le loro sofferenze continuano a essere una ferita nel tessuto sociale della comunità internazionale. Ognuno dei 33 milioni di individui che attualmente l’UNHCR deve proteggere e assistere continua a sfidare la nostra coscienza. «Un mondo in cui i diritti dell’uomo sono impunemente violati continuerà a produrre rifugiati di ogni tipo» (cfr. Pontificio Consiglio Cor Unum – Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, I rifugiati: una sfida alla solidarietà, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1992). Sradicati dalle guerre, dagli sconvolgimenti politici, dalla pulizia etnica, dalla persecuzione religiosa e da altre violazioni dei diritti umani, i rifugiati sono sia la luce rossa d’allarme lampeggiante che indica profondi fallimenti sociali e politici, sia un appello urgente a porre rimedio alla loro sofferenza. La Santa Sede è lieta di partecipare a queste commemorazioni del 60° anniversario del principale strumento per la tutela dei rifugiati e del 50° anniversario della Convenzione sulla riduzione dell’apolidia del 1961. È un momento speciale per esprimere apprezzamento per il generoso lavoro svolto e per spronare a un rinnovato impegno e alla ricerca di risposte innovative. La Santa Sede è stata tra i primi 26 Paesi partecipanti alla Conferenza dei Plenipotenziari nel luglio 1951, che ha dato vita a una delle convenzioni che ricordiamo oggi. Malgrado la tesa situazione geopolitica dell’epoca, le parti nutrivano la speranza di poter redigere una convenzione che avrebbe reso il mondo un posto migliore, più sicuro e più umano. I loro sforzi ebbero successo e per sessant’anni le persone in fuga dalla persecuzione hanno trovato protezione. La Convenzione relativa allo status dei rifugiati fu un buon documento per quei tempi e venne lasciata aperta a una maggiore inclusione. Gli eventi e i trattati internazionali che sono intercorsi e suggeriscono possibilità che ora permettono di aggiornare e di rendere più realistici gli obiettivi di tutela della Convenzione, in linea con gli sviluppi di questa prima parte del XXI secolo.

Signor Presidente,

Al termine del Dialogo dell’Alto Commissario dello scorso anno, quest’ultimo ha messo in rilievo la mancanza di diritto di «fuggire per salvarsi la vita». La definizione del rifugiato nell’articolo 1 della Convenzione del 1951 prevede la protezione contro la persecuzione. La cultura pubblica e una maggiore consapevolezza dei diritti umani esigono una nuova comprensione della dislocazione forzata per sfuggire a situazioni tragiche equivalenti alla persecuzione, come per esempio i disastri naturali, gli eventi che disturbano gravemente l’ordine pubblico o politiche economiche errate, che pongono una popolazione in condizioni che minacciano la sua esistenza. Una cultura di protezione comporta un’evoluzione dinamica degli standard che, a loro volta, promuoveranno relazioni pacifiche e il bene comune, poiché salvaguardano la dignità e i diritti di ogni persona a rischio.

Inoltre, il diritto di «fuggire per salvarsi la vita» comporta il diritto di entrare in un territorio straniero, tenendo conto allo stesso tempo sia del bene della società che accoglie, sia dei bisogni dei richiedenti asilo. La condivisione dell’onere a questo riguardo non si limita alla fornitura di un sostegno finanziario da parte dei Paesi più ricchi ai Paesi che ospitano numeri consistenti di rifugiati, ma implica anche l’accettazione, da parte loro, di persone che fuggono da conflitti o da disastri, in proporzione analoga a quella degli Stati più poveri. Alcuni fatti recenti hanno mostrato che, nell’accogliere i rifugiati, il divario tra Paesi poveri e Paesi ricchi rimane notevolmente ampio.

Alcune misure a livello regionale hanno promosso il diritto umanitario adottando una comprensione più completa della tutela delle persone dislocate con la forza. L’adozione a livello universale di tali norme sarebbe benefica e incoraggerebbe una nuova mentalità di accoglienza.

Signor Presidente,

L’articolo 4 della Convenzione del 1951 riconosce il diritto universale alla libertà di religione nello stesso modo in cui è concessa ai cittadini dello Stato che accoglie. I successivi trattati sui diritti umani hanno tuttavia riconosciuto che gli Stati non possono imporre restrizioni a tale diritto. Secondo questa Delegazione, l’articolo 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR) dovrebbe essere utilizzato per interpretare e applicare l’articolo 4 e per riconoscere in maniera specifica il diritto della persona a cambiare la propria religione secondo i dettami della sua coscienza.

In modo analogo, i diritti di cui sono titolari i rifugiati, per esempio il diritto alla libertà di movimento e il diritto umano a lavorare per mantenere la propria famiglia, devono essere maggiormente rispettati ed estesi nei prossimi anni. Gli accampamenti, secondo noi, sono ammissibili per un breve periodo di tempo, in una situazione di afflusso. Ma il loro uso come politica permanente e il fatto di rendere quasi impossibile per la maggior parte dei rifugiati l’accesso a un lavoro legale sono due pratiche che dovrebbero essere progressivamente abbandonate.

Signor Presidente,

L’articolo 22 dell’attuale convenzione assicura ai rifugiati lo stesso diritto all’educazione primaria che hanno i cittadini. Oggi questo diritto dovrebbe essere esteso a includere l’educazione secondaria e la formazione professionale. Di fatto, in nessun luogo un bambino può essere preparato a contribuire alla società se la sua educazione termina dopo la scuola primaria. A tale riguardo, rileviamo la particolare necessità di fare in modo che le ragazze e le giovani donne ricevano un’educazione. In primo luogo, andare a scuola è una forma di protezione. Una scuola ben controllata e ben gestita è un deterrente contro la violenza nei confronti delle donne e delle bambine. Inoltre, offrire un’educazione alle ragazze e alle donne serve ad affermare la loro pari dignità e a prevenire la discriminazione e il relegamento a ruoli di secondo piano nella società.

Signor Presidente,

Mentre commemoriamo i sessant’anni della Convenzione sui rifugiati e i cinquant’anni della Convenzione sulla riduzione dell’apolidia, vi sono alcune preoccupazioni che la Delegazione della Santa Sede desidera esprimere come incoraggiamento a proseguire la protezione delle persone sradicate con la forza in linea con le circostanze attuali. L’applicazione pratica di forme adeguate di tutela esige una volontà politica che solo convinzioni profonde di solidarietà e la responsabilità reciproca per il bene comune possono fornire. La tensione dialettica tra la risposta ideale e il pragmatismo esistenziale persisterà. Il cammino verso il futuro, però, esige sia un rinnovato sforzo per eliminare le cause fondamentali del dislocamento forzato, sia una tutela più completa quando questo dislocamento avviene. Il compito travalica la buona volontà del singolo Paese ed esige coerenza e cooperazione. Papa Benedetto XVI esprime la speranza che il concetto di famiglia di nazioni possa acquisire una forza reale. Scrive: «Sentita è pure l’urgenza di trovare forme innovative per attuare il principio di responsabilità di proteggere e per attribuire anche alle Nazioni più povere una voce efficace nelle decisioni comuni. Ciò appare necessario proprio in vista di un ordinamento politico, giuridico ed economico che incrementi ed orienti la collaborazione internazionale verso lo sviluppo di tutti i popoli nella solidarietà. Per il governo dell’economia mondiale [...] e per regolamentare i flussi migratori, urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale [...]. In mancanza di ciò, infatti, il diritto internazionale, nonostante i grandi progressi compiuti nei vari campi, rischierebbe di essere condizionato dagli equilibri di potere tra i Paesi più forti. Lo sviluppo integrale dei popoli e la collaborazione internazionale esigono che venga istituito un grado superiore di ordinamento internazionale di tipo sussidiario per il governo della globalizzazione» (Lettera Enciclica Caritas in veritate, n. 67).

Nell’ambito del dislocamento forzato delle persone, questo approccio etico può aprire un cammino verso un futuro in cui tutti i diritti umani vengano pienamente accordati a tutti i rifugiati e il diritto di ogni essere umano di «fuggire per salvarsi la vita» sia riconosciuto e rispettato.

 

 

top