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XX SESSIONE DEL CONSIGLIO DEI DIRITTI UMANI SUL
«RAPPORTO RELATIVO AI PRINCIPI GUIDA
IN MATERIA DI DEBITO ESTERO E DI DIRITTI UMANI»

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO SILVANO M. TOMASI, OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE
PRESSO L'UFFICIO DELLE NAZIONI UNITE ED
ISTITUZIONI SPECIALIZZATE A GINEVRA

Ginevra
Lunedì, 25 giugno 2012

 

Signora Presidente,

La Santa Sede sostiene con forza l’affermazione del Rapporto che i diritti umani e le regole della giustizia e dell’etica si applicano a tutte le relazioni economiche e sociali, compresi gli obblighi relativi al debito estero. I criteri del diritto umano per la valutazione del debito estero possono essere uno strumento importante per spostare lo sviluppo da una ristretta comprensione “economica” o materiale a una basata sullo sviluppo umano integrale, che sia «volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo» (Paolo VI, Populorum progressio, n. 14). Questo riconosce il «diritto allo sviluppo» (Risoluzione dell’Assemblea generale 41/128 del 4 dicembre 1986) fondato sull’umanità di ogni essere umano dal concepimento fino alla morte naturale, a prescindere da età, nazionalità, razza, religione, etnia, sesso e disabilità. Nello stesso tempo riconosciamo il ruolo che ha svolto e continua a svolgere la corruzione nell’aggravare il problema delle obbligazioni di debito in molti Paesi meno sviluppati.

Un’etica incentrata sulle persone è radicata in una visione della persona umana che valorizza la dignità umana, che è alla base dei diritti umani, poiché tali diritti scaturiscono dal significato stesso dell’essere umani. Ogni giusta attività economica rispetta questa dignità umana.

La ricchezza e il debito devono servire il bene comune. Se si viola la giustizia, la ricchezza e il debito divengono strumenti di sfruttamento, specialmente di coloro che sono poveri ed emarginati. Ma le transazioni economiche ingiuste, e specialmente quelle di sfruttamento, non sono valide e devono essere rese giuste, anche se ognuna delle parti ha acconsentito ai termini legali dello scambio, come può accadere quando i ricchi elargiscono un prestito ai poveri. Da molti anni ormai tutti riconoscono che «il pesante fardello del debito estero (...) compromette le economie di Popoli interi, frenando il loro progresso sociale e politico» (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata mondiale della pace 1998, n. 4).

Il debito estero è soltanto un sintomo della mancanza di giustizia nel flusso di capitale mondiale. «La questione del debito fa parte di un problema più vasto: quello del persistere della povertà, talvolta anche estrema, e dell’emergere di nuove disuguaglianze che accompagnano il processo di globalizzazione. Se l’obiettivo è una globalizzazione senza marginalizzazione, non si può più tollerare un mondo in cui vivono fianco a fianco straricchi e miserabili, nullatenenti privi persino dell’essenziale e gente che sciupa senza ritegno ciò di cui altri hanno disperato bisogno. Simili contrasti sono un affronto alla dignità della persona umana» (ibidem).

Nel valutare, dunque, i prestiti esteri, bisognerà prendere in considerazione: 1) la riduzione delle pratiche di prestito non etiche e 2) un migliore allineamento tra i prestiti esteri e uno sviluppo umano autentico. Se il processo di prestito e l’utilizzo del prestito rispettano entrambi i diritti umani vi è una maggiore possibilità che il denaro proveniente dal prestito stesso promuova lo sviluppo e l’ambiente necessario al godimento dei diritti umani. Molte delle barriere allo sviluppo sorgono perché, nel processo decisionale, non viene dato un peso adeguato ai costi e ai benefici delle attività umane. «I costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani» (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 32) e la conseguente violazione dei diritti della persona.

Se istituzionalizzare l’inclusione dei diritti umani nel calcolo dei costi e dei benefici presenta delle sfide, vorremmo ricordare al Consiglio che ogni progresso passato nei diritti umani e nell’espansione della partecipazione e dell’inclusione ha affrontato la stessa sfida. In poche parole, i rapporti finanziari che aumentano la disuguaglianza e non promuovono la convergenza dei redditi sono «contrari alla giustizia» (cfr. san Tommaso d’Aquino, II, II, QQ 78).

Insieme al Rapporto e alla grande maggioranza degli osservatori obiettivi, la Santa Sede riconosce che i prestiti fatti ai Paesi in via di sviluppo hanno a volte promosso l’ineguaglianza e sono diventati ostacoli allo sviluppo stesso piuttosto che strumenti per promuoverlo. Spesso ciò è dovuto ai cambiamenti nelle circostanze economiche esterne che possono trasformare un accordo di prestito buono e giusto in un ostacolo per lo sviluppo e in un veicolo per lo sfruttamento. Uno di questi cambiamenti nelle circostanze esterne, che il Rapporto affronta e a cui risponde, è relativo alle fluttuazioni nei tassi della valuta.

La Santa Sede sostiene il nuovo principio della trasparenza nei prestiti esteri a tutti i livelli e da parte di tutti gli agenti (i mutuatori, i finanziatori e le agenzie internazionali) al fine di diminuire le possibilità dei gravi errori commessi in passato, quando la corruzione ha portato a prestiti segreti per fini discutibili, sottoscritti da leader politici non interessati al bene comune dei poveri nei Paesi in via di sviluppo, che portano il fardello. Noi sosteniamo questa riforma e incoraggiamo gli sforzi per correggere le ingiustizie dei prestiti passati con delle più aggressive remissioni del debito.

La Santa Sede spera nel proseguimento e nell’accelerazione del «processo di cancellazione e di riduzione del debito dei Paesi più poveri, senza che questo sia condizionato a misure di aggiustamento strutturale, nefaste per le popolazioni più vulnerabili» (Benedetto XVI, Discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, lunedì, 8 gennaio 2007). La Santa Sede sostiene la richiesta del Consiglio dei diritti umani di porre fine alle condizioni relative alla remissione e alla rinegoziazione del debito, e sostiene la sua richiesta di rispettare la sovranità e il diritto di ogni Paese di progettare in modo indipendente le proprie strategie di sviluppo e di non essere costretto da agenzie o Governi esterni a perseguire politiche che sono più nell’interesse delle nazioni che forniscono il prestito piuttosto che del bene comune delle nazioni in via di sviluppo. Inoltre, i programmi per la cancellazione o riduzione del debito non dovrebbero comportare ostacoli insormontabili per futuri prestiti responsabili, che potranno rendersi criticamente necessari per lo sviluppo e la prosperità a lungo termine dei Paesi a rischio.

Una maggiore trasparenza contribuirà anche a impedire l’accumulo di insostenibili livelli di debito da parte delle nazioni in via di sviluppo. Sia nei Paesi in via di sviluppo che in quelli sviluppati la mancanza di trasparenza nell’accumulo del debito ha contribuito all’incertezza economica nel sistema finanziario mondiale. «I principi guida in materia di debito estero e di diritti umani» si muovono nella direzione di una soluzione concreta. Il debito sovrano non può essere visto come un problema esclusivamente economico. Esso colpisce le generazioni future così come le condizioni sociali che permettono il godimento dei diritti umani di un gran numero di persone che hanno il diritto alla solidarietà da parte di tutta la famiglia umana.

  

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