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DIBATTITO APERTO SUL MEDIO ORIENTE
SVOLTOSI AL CONSIGLIO DI SICUREZZA

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO FRANCIS ASSISI CHULLIKATT, OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE
PRESSO L'ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE

New York
23 luglio 2013

 

Signora Presidente,

mi permetta di congratularmi con lei per avere assunto la presidenza del Consiglio di Sicurezza e di ringraziarla per avere convocato questa assemblea.

Signora Presidente,

la Santa Sede ha ripetutamente espresso la propria urgente preoccupazione per la pace e il benessere di tutti i popoli del Medio Oriente, a prescindere dalla loro etnia o religione. Papa Francesco, nel suo primo messaggio Urbi et Orbi in occasione della Pasqua, il 31 marzo di quest’anno, ha fatto un appello per la «pace per il Medio Oriente, in particolare tra Israeliani e Palestinesi, che faticano a trovare la strada della concordia, affinché riprendano con coraggio e disponibilità i negoziati per porre fine a un conflitto che dura ormai da troppo tempo. Pace... soprattutto, per l’amata Siria, per la sua popolazione ferita dal conflitto e per i numerosi profughi, che attendono aiuto e consolazione. Quanto sangue è stato versato! E quante sofferenze dovranno essere ancora inflitte prima che si riesca a trovare una soluzione politica alla crisi?».

Signora Presidente,

data l’estrema gravità di ciò che sta accadendo in Siria, specialmente negli ultimi mesi, la mia delegazione desidera concentrare oggi le proprie osservazioni sull’insopportabile sofferenza della sua gente.

Tutto il mondo è rimasto sconvolto dal sempre maggior numero di statistiche che descrivono la terribile situazione umanitaria in Siria. La tragedia di questa situazione intollerabile ci richiede misure immediate per assistere circa 1,8 milioni di profughi (quasi il 10 per cento della popolazione della Siria) che ora cercano pace, sicurezza e salvezza in Libano, Giordania, Iraq, Turchia ed Egitto. Inoltre, ci sono più di 4 milioni di p.i.d. (persone internamente dislocate), che costituiscono quasi il 18 per cento della popolazione. 6,8 milioni di vittime di questo conflitto richiedono urgente assistenza umanitaria, metà di essi sono bambini. Più di quattro milioni di persone hanno perso la propria casa. Inoltre, le sfide affrontate dai Paesi vicini nell’assistere e proteggere i profughi sembrano favorire un’ulteriore destabilizzazione politica nella regione. Innumerevoli persone sono rimaste ferite e hanno bisogno di cure mediche che, a causa dei danni alle infrastrutture, sta diventando sempre più difficile fornire. Medicinali di cui si ha molto bisogno non sono disponibili per coloro che soffrono di malattie croniche e dolorose. E naturalmente, la cifra più triste di tutte è il crescente tasso di mortalità, quasi 5.000 al mese dallo scorso marzo. Di questo passo, potrebbero esserci più di 100.000 morti entro agosto.

Signora Presidente,

dal punto di vista politico, questo conflitto distruttivo viene soltanto esacerbato da influenze esterne e da gruppi estremisti che lo vedono come un’opportunità di guadagni politici o ideologici piuttosto che come uno sconvolgente disastro che sta travolgendo la Siria. Le tragedie e le uccisioni di gruppi e di individui sono state largamente documentate e giustamente condannate. Oggi, mentre si riconosce che il conflitto ha ripercussioni negative per tutti, la mia delegazione vorrebbe portare all’attenzione della comunità internazionale l’impatto devastante che il conflitto ha sulla popolazione cristiana della Siria, una popolazione che nelle sue varie tradizioni è presente nel Paese da 2000 anni.

In questi giorni la comunità cristiana affronta numerose sfide per la propria sopravvivenza nella regione. Da una parte i cristiani affrontano gruppi estremisti ideologicamente orientati che tentano di sradicarli dalla regione e, dall’altra, essendo lasciati a se stessi, si trovano in uno stato di continua insicurezza per le famiglie e le proprie case. L’assassinio del sacerdote François Murad è soltanto uno dei tanti terribili atti in una lunga serie di rapimenti di cristiani, compresi vescovi e preti, e di raccapriccianti uccisioni di civili innocenti. I cristiani hanno anche assistito alla distruzione di più di 60 chiese e istituzioni affiliate. In molti casi hanno dovuto cercare, in circostanze pericolose e potenzialmente letali, modi e mezzi per salvaguardare i loro preziosi oggetti sacri e gli inestimabili manoscritti e manufatti che testimoniano della loro tradizione e cultura bimillenaria, una vera eredità mondiale di fondamentale valore universale per l’intera umanità.

Signora Presidente,

Queste osservazioni pertinenti non indicano una mancanza di preoccupazione da parte della Santa Sede per la sofferenza che affligge ogni cittadino siriano, a prescindere dalla sua religione o etnia. Piuttosto, sono un’espressione appropriata della sollecitudine della Santa Sede nei confronti dell’intera famiglia cristiana e di quella che dovrebbe essere la seria apprensione del mondo intero per il destino trascurato di tante migliaia di vittime, comprese quelle cristiane, oltre a quelle di altre minoranze etniche e religiose, che si trovano, in modo spietato, a essere bersagli in quel conflitto, non per loro colpa, e adesso, al centro di un fuoco incrociato, stanno lottando per la sopravvivenza. La mia delegazione è convinta che non possa esservi progresso sociale e giustizia se non si concede alle minoranze religiose ed etniche il loro posto di diritto come membri pieni della società.

Signora Presidente,

Il persistente rifiuto da entrambe le parti in questo conflitto di intraprendere un dialogo politico significativo per costruire una Siria riconciliata è solo un presagio di altre morti, di altra paura, odio e distruzione. Come è stato riaffermato molte volte in questa Camera e in altri fora internazionali, non può esserci una soluzione militare al conflitto siriano! Nonostante questo, le parti del conflitto manifestano, con totale impunità, la propria determinazione a versare ancora altro sangue, a fornire ancora altre armi e a distruggere altre vite prima di essere portate al tavolo dei negoziati.

La guerra non può più essere considerata un mezzo per risolvere i conflitti. Tuttavia la guerra, quando accade, può essere vinta solo attraverso la pace; sì, la pace ottenuta attraverso i negoziati, il dialogo e la riconciliazione. È speranza della mia delegazione, dunque, che la comunità internazionale possa trovare il coraggio di riconciliare le proprie differenze e mostrare la determinazione politica necessaria a preparare la strada verso la molto attesa Seconda Conferenza di Ginevra, in modo da aiutare tutte le parti coinvolte nel conflitto a riscoprire l’indispensabile via del dialogo in vista del raggiungimento di una soluzione concordata e negoziata. «Questo dialogo richiede anche alle parti coinvolte la capacità di mettersi in discussione e di contrastare in modo efficace situazioni di ingiustizia o dominazione che danno adito a sentimenti di ostilità o di odio tra le genti» (Giovanni Paolo II, Discorso all’Ambasciatore Siba Nasses di Siria presso la Santa Sede, 15 maggio 2003).

La mia Delegazione raccomanda ogni sforzo volto a questo fine e chiede a tutte le parti che detengano una responsabilità di desistere dall’impedire una risoluzione negoziata di questo conflitto, ormai troppo a lungo rimandata. La pace in Siria ci rende tutti vincitori, mentre persistere nel conflitto ci renderebbe certamente soltanto dei perdenti.

 

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