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64ª SESSIONE DEL COMITATO ESECUTIVO DELL'ALTO COMMISSARIATO
DELLE NAZIONI UNITE PER I RIFUGIATI (UNHCR)

INTERVENTO DI S.E. MONS. JOSEPH KALATHIPARAMBIL, SEGRETARIO DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA
PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI

Ginevra
Lunedì, 30 settembre 2013

 

Più solidarietà con i profughi siriani

 

Signora Presidente,

Con oltre 2,1 milioni di rifugiati, la situazione umanitaria in Siria e nei paesi limitrofi sta diventando ogni giorno più precaria. Il 97 percento dei profughi siriani è ospitato dai paesi confinanti, mentre solo il tre percento (60.000) ha cercato rifugio in paesi europei. Queste statistiche fanno riflettere. I paesi vicini mantengono aperte le proprie frontiere, sebbene l’arrivo dei rifugiati imponga un onere immenso alle loro infrastrutture, economie e società.

Il massiccio esodo di rifugiati, tuttora in corso, rischia di spingere i paesi ospitanti ai limiti del collasso o di farli cedere alla tentazione di chiudere le frontiere. Queste società sono sotto pressione e la situazione attuale può portare a tensioni. All’ospitalità e alla protezione che offrono tali generosi paesi deve abbinarsi una corrispondente espressione di condivisione degli oneri e delle responsabilità da parte della comunità internazionale. Tale condivisione implica dare un contributo addirittura più grande rispetto alla vasta assistenza umanitaria già offerta. I contributi finanziari, per quanto generosi e consistenti, sono insufficienti se confrontati con la vastità dei problemi. Con soli 60.000 rifugiati siriani ammessi in Europa (esclusa la Turchia), è lecito mettere in dubbio l’idea della condivisione degli oneri e delle responsabilità. Le crisi del passato che hanno prodotto numeri importanti di rifugiati, come per esempio i conflitti nei Balcani, mostrano un maggiore impegno a favore del reinsediamento e della protezione. C’è da augurarsi che non proviamo stanchezza nel condividere oneri e responsabilità.

Sarebbe di grande aiuto se i paesi più ricchi aumentassero in modo consistente l’asilo e il reinsediamento, o se almeno offrissero protezione temporanea insieme a benessere sociale. Tale approccio significherebbe un passo avanti, poiché offrirebbe alle persone la possibilità di crearsi una nuova casa e di iniziare la vita con rinnovata speranza.

Signora Presidente,

Nell’emergenza attuale è anche apparso evidente che occorre un finanziamento adeguato dello sviluppo per mantenere stabili le economie dei paesi confinanti con la Siria e per migliorarne le infrastrutture e i servizi pubblici eccessivamente sollecitati. Di fatto, sono proprio la piaga dei rifugiati e delle persone forzatamente dislocate e il livello di stress dei paesi che li hanno accolti ad esigere che le infrastrutture sociali ed economiche vengano risanate e rafforzate, affinché possano assorbire l’urto della crisi.

Pertanto, la solidarietà con le persone e le famiglie costrette a fuggire dalle proprie case e con i paesi che le accolgono darà espressione alla convinzione che siamo un’unica famiglia umana, quali che siano le nostre differenze nazionali, razziali, etniche, economiche ed ideologiche, e la consapevolezza che dipendiamo gli uni dagli altri. Siamo i custodi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, ovunque viviamo. Salvando vite, restituendo dignità umana, offrendo speranza e sviluppando risposte positive da parte della società, le convinzioni etiche fondamentali delle comunità di fede, in particolare la nostra visione cristiana, diventano uno strumento efficace di protezione. La solidarietà è necessaria: permette ai rifugiati di guardare al futuro con una prospettiva rinnovata.

Soprattutto, occorre trovare — e di fatto si può raggiungere — una soluzione al conflitto in corso e alle sofferenze che ne conseguono, ma solo attraverso negoziati pacifici, attraverso un processo di dialogo e di riconciliazione. Tale processo è giustamente necessario se ricordiamo le sofferenze causate da questa immane tragedia e ci lasciamo coinvolgere da esse.

Come ha detto Papa Francesco: “esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro che rende insensibile il cuore, vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione: guarda al dolore del tuo fratello — penso ai bambini: soltanto a quelli... — guarda al dolore del tuo fratello, e non aggiungere altro dolore, ferma la tua mano, ricostruisci l’armonia che si è spezzata; e questo non con lo scontro, ma con l’incontro! Finisca il rumore delle armi!” (Veglia di preghiera per la pace, 7 settembre 2013).

Grazie, Signora Presidente.


*L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 233, Ven. 11/06/2013.

 

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