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SEGMENTO DI ALTO LIVELLO DELLA CONFERENZA
DELLE NAZIONI UNITE SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI COP19/CMP9

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO CELESTINO MIGLIORE,
CAPO DELLA DELEGAZIONE DELLA SANTA SEDE*

Varsavia
Giovedì, 21 novembre 2013

 

Una risposta responsabile ai cambiamenti climatici

 

Signor Presidente,

Questa Conferenza rappresenta un’importante opportunità per la comunità internazionale di dimostrare la sua reale volontà politica di dare una risposta responsabile, credibile e incoraggiante al preoccupante e complesso fenomeno dei cambiamenti climatici.

Il «Rapporto sui cambiamenti climatici 2013 sulle basi scientifiche» mostra un consenso scientifico: il riscaldamento globale è inequivocabile, è estremamente probabile che l’azione umana abbia influenzato il riscaldamento osservato, il riscaldamento e cambiamenti in tutte le componenti del sistema climatico continueranno in futuro.

L’evidenza scientifica sottolinea ancora una volta i grandi rischi e i costi socioeconomici dell’inerzia, come anche l’imperativo etico di agire, poiché la mancanza di azione avrà effetti soprattutto tra i settori più poveri della società, che sono più vulnerabili alle conseguenze dei cambiamenti climatici.

L’attività umana, però, può influenzare i cambiamenti climatici in modo non soltanto negativo, ma anche positivo, a beneficio delle generazioni presenti e future: numerose esperienze in tutto il mondo mostrano che è possibile cogliere opportunità vantaggiose per tutti, laddove la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici vengono realizzati insieme con lo sradicamento della povertà e la promozione di uno sviluppo sostenibile.

Come ama dire Papa Francesco: «La povertà ci chiama a seminare speranza!».

In questa prospettiva è opportuno sottolineare due punti.

Anzitutto è necessaria un’azione seria e ambiziosa. Più aspettiamo, più dovrà essere elevato il livello dell’ambizione.

In secondo luogo, se vogliamo affrontare i cambiamenti climatici in modo efficace, dobbiamo agire tutti insieme, tenendo conto della necessità di mettere in atto una revisione profonda e lungimirante dell’attuale modello di sviluppo, così da correggerne le disfunzioni e le deviazioni. Ciò è necessario a causa non solo dello stato di salute ecologica della terra o delle emergenze ambientali ed energetiche, ma anche dello scandalo della fame e della povertà estrema.

Serve una riflessione seria. Una riflessione che deve riaffermare il ruolo che lo sviluppo economico svolge nel migliorare le misure del benessere ambientale. Inoltre esige che si faccia un bilancio della crisi morale e culturale, i cui sintomi sono ora evidenti in tutto il mondo. È dunque urgente trovare un modo per combinare le capacità tecniche con un solido approccio etico basato sulla dignità umana.

Tra gli elementi importanti di questo orientamento etico vi sono il rispetto della dignità di ogni persona umana, i principi di prudenza e di precauzione, la promozione del bene comune, l’attenzione e la cura per i poveri e per le generazioni future, la modifica degli stili di vita e dei modelli di consumo e di produzione, spesso insostenibili sotto gli aspetti economico, sociale e ambientale, la promozione di uno spirito autentico di solidarietà che possa garantire l’efficacia di ogni attività di cooperazione. Le questioni che riguardano la dignità umana degli individui e dei popoli non possono essere ridotte a meri problemi tecnici. Il cambiamento climatico è una questione di giustizia e di equità.

Signor Presidente,

La Cop-19 rappresenta un passo significativo nel lungo processo volto ad adottare nuove misure comuni vincolanti e budget adeguati per programmi di mitigazione e adattamento efficaci per affrontare la crescente minaccia che i cambiamenti climatici costituiscono per l’umanità.

Il termine per produrre un accordo globale legalmente vincolante è stato più volte posticipato; adesso parliamo del 2015. C’è ancora un cammino lungo e complesso da percorrere in un tempo relativamente breve. Costruendo sulla centralità della persona umana, sulla giustizia sociale e sull’equità, saremo in grado di sviluppare politiche adeguate a tutti i livelli, volte a identificare azioni ambiziose sostenibili che non causino nuovi problemi per le generazioni future.

L’equità deve essere la pietra d’angolo di ogni nuovo accordo. Sebbene vi si faccia spesso riferimento, il concetto di equità nel contesto dei cambiamenti climatici è ancora insufficientemente definito. Equità ha un significato diverso per persone diverse, e di conseguenza i gruppi negozianti spesso non si capiscono anche se usano la stessa parola. Argomenti quali la «responsabilità storica» talvolta prevalgono sulla capacità concreta di ogni Stato di agire al fine di superare la sfida, e anche sul discorso di una cooperazione migliore e più efficace tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo.

Come possiamo, dunque, tradurre l’equità in misure concrete?

Abbiamo dei validi modelli che possono guidarci, come per esempio l’attuazione del regime sull’ozono che ha ottenuto interessanti risultati. Tale processo ha tenuto conto delle preoccupazioni e delle limitazioni economiche dei Paesi in via di sviluppo, ha differenziato gli standard per i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, ha concesso un aiuto finanziario supplementare ai Paesi in via di sviluppo per permettere loro di adeguarsi, ha previsto un trasferimento tecnologico. Sarebbe auspicabile un approccio equo analogo all’azione a favore del clima, poiché solo un accordo basato su principi equi ci aiuterà ad affrontare in modo efficace la sfida dei cambiamenti climatici.

Signor Presidente,

Le soluzioni tecniche sono necessarie, ma non sono sufficienti.

Un nuovo accordo dovrebbe contemplare anche gli aspetti dell’informazione e dell’educazione, al fine di promuovere nei bambini e negli adulti un senso di responsabilità a favore sia della custodia del creato e di modelli di sviluppo sani dal punto di vista ambientale, sia della salvaguardia delle condizioni morali per un’ecologia umana autentica. Il prendersi cura del creato e l’educazione sono inscindibilmente legati a un approccio etico all’economia e allo sviluppo sostenibile. Come possiamo sperare che le generazioni future rispettino l’ambiente naturale se i nostri sistemi educativi e sociali, come anche le nostre leggi, non li aiutano a rispettare se stessi o gli altri?

Parlare della riduzione delle emissioni è inutile se non siamo pronti a cambiare il nostro stile di vita e gli attuali modelli dominanti di consumo e di produzione, spesso insostenibili dal punto di vista sociale, ambientale, economico e morale.

Signor Presidente,

I cambiamenti climatici comportano una responsabilità comune nei confronti dell’intera famiglia umana, specialmente dei poveri e delle generazioni future.

La Santa Sede auspica che le decisioni prese a Varsavia siano guidate dall’imperativo etico di agire.


*L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 280, Ven. 06/12/2013.

 

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