The Holy See
back up
Search
riga

 9ª  SESSIONE DELLA CONFERENZA DEI MINISTRI
DELL'ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO SILVANO TOMASI,
OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE
PRESSO L'ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO*

Bali
Mercoledì, 4 dicembre 2013

 

Lotta alla fame per salvare vite umane

 

Signor Presidente,

Anzitutto la mia Delegazione desidera ringraziare il Governo dell’Indonesia per l’efficace organizzazione di questa opportuna e importante conferenza e per la generosa ospitalità del popolo indonesiano.

Signor Presidente,

1. A cinque anni dall’inizio della crisi finanziaria globale l’economia mondiale sta ancora arrancando, nella speranza di ritornare su un cammino di crescita solida e sostenuta. Il tasso di produzione mondiale, che nel 2012 era del 2,2 per cento, nel 2013 è proiettato verso una cifra analoga. Come negli anni passati, i risultati peggiori sono attesi dai Paesi sviluppati, con una crescita approssimativa dell’1 per cento del prodotto interno lordo (pil) (cfr. Unctad, Trade and Development Report). Per i Paesi in via di sviluppo nel 2013 è prevista una crescita tra il 4,5 e il 5 per cento, come nel 2012. Questa crescita è stata favorita più dalla domanda interna che dalle esportazioni, poiché la domanda esterna da parte delle economie sviluppate è rimasta debole. L’attività economica in molti Paesi sviluppati e in diverse economie di mercato emergenti sta ancora soffrendo per l’impatto della crisi economica e finanziaria, come anche a causa dei processi finanziari insostenibili e degli squilibri interni e internazionali che hanno condotto a ciò.

2. L’esperienza e le ricerche economiche dimostrano che le crisi finanziarie hanno un impatto duraturo sull’economia. Non sono colpiti solo i fogli di bilancio delle istituzioni finanziarie, ma ne risentono pesantemente anche quelli del governo e del settore privato. In molte economie avanzate ciò ha prodotto una crescita senza precedenti del debito governativo e impone gravi limiti alle prospettive di crescita future. Per di più, le politiche fiscali restrittive, che spesso vengono messe in atto per far fronte al debito, hanno a loro volta aggravato la condizione economica già precaria di diversi Paesi.

3. Mentre una minoranza sta sperimentando una crescita esponenziale della ricchezza, si sta allargando il divario che separa la grande maggioranza dalla prosperità di cui godono questi pochi fortunati. Tale squilibrio è il risultato di ideologie che difendono l’autonomia assoluta del mercato e della speculazione finanziaria. Di conseguenza, il diritto degli Stati, ai quali è affidata la vigilanza per il bene comune, di esercitare qualsiasi forma di controllo, incontra un vero e proprio rifiuto. È così nata una nuova tirannia, invisibile e spesso virtuale, che impone in modo unilaterale e inesorabile le proprie leggi e le proprie regole. Un aspetto ancor più grave è che talvolta tali politiche sono bloccate a causa di regole per il commercio negoziate presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio o attraverso trattati di libero commercio bilaterali o regionali. Anche i debiti e l’accumulo di interessi rendono difficile per i Paesi realizzare il potenziale delle loro economie e impediscono ai cittadini di godere del loro reale potere d’acquisto. A tutto ciò possiamo aggiungere una diffusa corruzione e un’evasione fiscale fine a se stessa, che hanno assunto dimensioni mondiali. La sete di potere e di possesso non conosce limiti. In questo sistema, che tende a divorare qualsiasi cosa ostacoli l’aumento dei profitti, tutto ciò che è fragile, come l’ambiente, si trova indifeso dinanzi agli interessi di un mercato deificato, che diventano l’unica regola.

4. In questo scenario, la promozione del commercio potrebbe avere un impatto positivo su diverse economie e quindi creare le condizioni per una ripresa più forte e per il ritorno alla crescita pre-crisi, poiché la debole domanda interna può essere sostenuta dalla componente esterna. Ogni decisione economica importante presa in una parte del mondo ha ripercussioni ovunque; di conseguenza, nessun Governo può agire senza tener conto della responsabilità comune. Come abbiamo sperimentato negli ultimi anni, sta diventando sempre più difficile trovare soluzioni locali per i grandi problemi globali che schiacciano le politiche locali con problemi che vanno risolti. Se davvero vogliamo realizzare un’economia mondiale sana, ciò che occorre in questo momento della storia è un modo di interagire più efficace che, con il dovuto rispetto della sovranità di ogni nazione, assicuri il benessere economico di tutti i Paesi e non solo di pochi.

5. Il pacchetto di Bali ha il potenziale per essere un passo fondamentale verso la creazione di qualcosa di nuovo da parte della Organizzazione Mondiale del Commercio, qualcosa che possa portare ad altre nuove opportunità, all’innovazione nel nostro approccio ai negoziati multilaterali. Un trattato equilibrato ed equo per la facilitazione del commercio è chiaramente alla nostra portata. Potrebbe essere il primo trattato commerciale multilaterale prodotto dalla Organizzazione Mondiale del Commercio; inoltre, questo patto di facilitazione del commercio potrebbe costituire lo sviluppo più importante realizzato finora dalla Organizzazione Mondiale del Commercio. È risaputo che ci sono numerose economie di scala che possono essere realizzate in questo ambito. Molte tecniche che fanno risparmiare tempo, come la scannerizzazione dei container, sono disponibili solo in porti a grande volume; inoltre, il valore marginale degli investimenti nella facilitazione del commercio può essere più elevato quando il volume commerciale è più grande, poiché il risparmio sui costi viene esteso a una quantità maggiore di beni. Ciò ha dunque il potenziale di generare un circolo virtuoso, dove una facilitazione del commercio più efficiente stimola il commercio, e a sua volta il commercio migliora la facilitazione del commercio.

6. Un trattato per la facilitazione del commercio, pertanto, è la condizione più vicina al “vantaggio per tutti” che possa esistere nel mondo reale. Ne trarrebbero beneficio sia i Paesi sviluppati, sia quelli in via di sviluppo; e i guadagni sarebbero maggiori per questi ultimi. Secondo alcune stime, un trattato di facilitazione del commercio ridurrebbe i costi del 10 per cento per i Paesi sviluppati, e del 14 per cento per quelli in via di sviluppo. Di fatto, la facilitazione del commercio serve essenzialmente a collegare i Paesi — i loro coltivatori e le loro attività commerciali — con l’economia globale. Questo è molto importante per le attività piccole e medie, che hanno la spinta per avere successo, ma sono prive delle risorse per gestire la burocrazia. Tuttavia, i Paesi in via di sviluppo non devono sostenere da soli i costi dei miglioramenti tecnologici per la facilitazione del commercio. Costringere i Paesi in via di sviluppo a scegliere tra il finanziamento dei programmi fondamentali per l’educazione, l’assistenza sanitaria o il trasporto, o quello della tecnologia per la facilitazione del commercio, è ingiusto. I Paesi sviluppati, che parteciperanno ai benefici, devono anche condividere i costi.

7. Come abbiamo visto negli ultimi tre mesi, è possibile raggiungere un accordo anche su altre questioni di sviluppo, come un meccanismo di monitoraggio per l’attuazione di provvedimenti speciali (e differenziali), e nuove linee guida sulle norme dell’origine e, infine, ma non ultimo, le preoccupazioni di alcuni Paesi in via di sviluppo riguardo alla sicurezza alimentare.

8. L’instabilità dei prezzi del cibo negli ultimi anni ha causato gravi danni agli agricoltori, sia nel nord sia nel sud della terra. La complessità e i costi della gestione di riserve di grano sono ben noti. Tuttavia, la mancanza di assicurazioni contro le carenze del mercato potrebbe produrre costi immensi per gli aiuti d’emergenza. Peggio ancora, una tale crisi potrebbe avere un costo in termini di vite: vite perse a causa della fame, e vite rovinate per diverse generazioni a causa degli effetti della malnutrizione sullo sviluppo fetale.

Negli ultimi anni la Santa Sede ha continuamente espresso la propria preoccupazione riguardo alla sicurezza alimentare, come Papa Francesco nel suo Messaggio per la Giornata mondiale dell’alimentazione, che ha lanciato «(...) un invito a ripensare e rinnovare i nostri sistemi alimentari, in una prospettiva solidale, superando la logica dello sfruttamento selvaggio del creato ed orientando meglio il nostro impegno di coltivare e custodire l’ambiente e le sue risorse per garantire la sicurezza alimentare e per camminare verso una nutrizione sufficiente e sana per tutti». Il «testo sull’azionariato pubblico ai fini della sicurezza alimentare» segue la stessa linea (Doc. jbc/tnc/29) e potrebbe costituire una buona base per i negoziati futuri dell’agenda post-Bali. Invitiamo tutti i delegati a sostenere e a concludere un accordo che possa offrire un accesso più sicuro, stabile ed equo al cibo per i Paesi che ne hanno bisogno.

9. Signor Presidente, la conferenza di Bali si svolge dopo una lunga serie di Conferenze dei ministri fallite. Abbiamo tutti la responsabilità collettiva di far sì che questa sia un successo. Per troppi anni i negoziati multilaterali hanno subito uno stallo a causa di un numero limitato di questioni che stanno, di fatto, impedendo il successo di tutto il pacchetto.

10. Di conseguenza, molti Paesi hanno scelto di liberalizzare il commercio attraverso accordi commerciali regionali o bilaterali. Il numero di tali accordi è aumentato in modo esponenziale negli ultimi 15 anni. Attualmente c’è una chiara tendenza ad allargare gli accordi commerciali regionali per abbracciare mega regioni, come il Partenariato transatlantico su commercio e investimenti o il Partenariato transpacifico. Certamente l’allargamento dei trattati commerciali regionali costituisce un passo in avanti verso un’ulteriore liberalizzazione del commercio, ma dobbiamo tenere presente che questi accordi inevitabilmente sono una minaccia alla volontà di raggiungere un accordo su base veramente multilaterale. Di fatto, stabilendo un accordo commerciale regionale, un Paese riduce gli incentivi ad estendere a livello multilaterale i propri sforzi a favore della liberalizzazione del commercio. Soprattutto, sappiamo che solo il sistema multilaterale è chiaro ed equo e offre garanzie effettive ai Paesi piccoli e poveri, che tendono ad essere penalizzati negli accordi commerciali regionali, dove il sistema è asimmetrico. Tra le concessioni più dannose che i Paesi in via di sviluppo fanno negli accordi regionali e bilaterali vi sono quelle che favoriscono i monopoli sulle medicine salvavita (vedi per esempio: All costs, no benefits: How trips-plus intellectual property rules in the Us-Jordan fta affect access to medicines, Oxfam Briefing Paper n. 102, 21 marzo 2007), che riducono la possibilità di accedervi e di acquistarle, e quelle che danno diritti legali eccessivi agli investitori stranieri, limitando lo spazio delle politiche del Paese per promuovere uno sviluppo sostenibile e inclusivo (vedi per esempio: Unctad, Towards a New Generation of International Investment Policies: Unctad‘s Fresh Approach to Multilateral Investment Policy-Making, iia Issues Note n. 5, luglio 2013).

11. Signor Presidente,

Per concludere, tutti noi dobbiamo essere consapevoli di trovarci a un bivio nei negoziati multilaterali per il commercio e forse nel modellare il futuro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

A questo bivio è possibile imboccare due strade opposte:

12. La prima ci porta a non riuscire a produrre un’agenda post-Bali importante. In tal modo, non perderemo solo un’altra opportunità, ma anche molte offerte di flessibilità, poiché questo pacchetto scomparirà per un periodo di tempo indefinito.

13. In questo scenario, inevitabilmente incominceranno ad essere messi in dubbio il ruolo e la credibilità della stessa Organizzazione Mondiale per il Commercio. Come possiamo chiedere alle persone e alle aziende di credere in una struttura multilaterale che, dopo quasi vent’anni, ancora non ha concluso il primo giro di negoziati? La perdita dell’Organizzazione Mondiale del Commercio quale forum di negoziazione avrebbe certamente un fortissimo impatto sulle economie più piccole e più povere. I Paesi grandi avranno sempre qualche opzione. Giusto o ingiusto che sia, è comunque un dato di fatto. Come ha detto Papa Francesco nella sua Esortazione apostolica: «La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere, non solo per una esigenza pragmatica di ottenere risultati e di ordinare la società, ma per guarirla da una malattia che la rende fragile e indegna e che potrà solo portarla a nuove crisi. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie. Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, (Questo implica “eliminare le cause strutturali delle disfunzioni della economia mondiale”: Benedetto XVI, Discorso al Corpo Diplomatico [8 gennaio 2007]: aas 99 [2007], 73) non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali» (Evangelii gaudium, n. 202).

14. La seconda strada che possiamo imboccare mentre esercitiamo la nostra responsabilità comune, può condurre a uno scenario più promettente. Negli ultimi mesi è stato compiuto qualche progresso riguardo l’agenda di Doha e sono state discusse nuove proposte. È pertanto possibile giungere, attraverso questa conferenza, a una svolta nei discorsi commerciali, di modo che l’Organizzazione Mondiale del commercio possa riacquistare il suo ruolo centrale nell’affrontare nuovi problemi, gestire nuove opportunità e, soprattutto, promuovere un commercio più libero e più equo, non come fine a se stesso, ma come uno tra i tanti strumenti per porre fine alla povertà per tutti.


*L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 283, Lun.-Mart. 09-10/12/2013.

 

top