Index

  Back Top Print

XXVII SESSIONE ORDINARIA DEL CONSIGLIO DEI DIRITTI DELL'UOMO

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO SILVANO M. TOMASI,
OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE
PRESSO LE NAZIONI UNITE
E ISTITUZIONI SPECIALIZZATE A GINEVRA*

Ginevra
Mercoledì, 17 settembre 2014

Contro ogni tentativo di marginalizzare le popolazioni autoctone

 

Signor Presidente,

I bisogni sociali, personali e spirituali degli oltre 370 milioni di persone autoctone nel mondo, distribuiti in circa novanta Paesi in tutte le regioni della terra, preoccupano da molto tempo la Santa Sede.

Tra breve, le Nazioni Unite terranno una Conferenza mondiale sui popoli indigeni «per condividere le prospettive e le buone pratiche relativamente alla realizzazione dei diritti delle popolazioni autoctone e perseguire gli obiettivi della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni (Undrip) (cfr. a/res/65/198) risoluzione adottata dall’Assemblea Generale il 21 dicembre 2010. Questo incontro rappresenta un altro passo fondamentale per promuovere un interesse e un rispetto maggiori verso tali comunità e offre un’occasione unica per ribadire la Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni, che fissa gli standard minimi per la loro sopravvivenza, dignità e benessere e promuove i loro diritti, inter alia, all’autodeterminazione; alla terra, al territorio e alle risorse; allo sviluppo economico, sociale e culturale.

Mentre entriamo nel Terzo decennio internazionale dei popoli indigeni del mondo, la Santa Sede suggerisce che tutte le eventuali iniziative debbano essere ispirate e guidate dal principio del rispetto della loro identità e cultura, comprese le tradizioni specifiche, le credenze religiose e la capacità di decidere il proprio sviluppo in cooperazione con i Governi nazionali.

Come evidenziano il Relatore speciale e altri documenti delle Nazioni Unite, purtroppo i diritti umani e le libertà fondamentali delle popolazioni autoctone continuano a essere violati, anche attraverso la discriminazione sistemica e l’esclusione dal potere politico ed economico; la mancanza di un accesso adeguato alla giustizia; la loro eccessiva presenza tra i più poveri, gli analfabeti e i bisognosi; la dislocazione causata da guerre e da disastri ambientali (cfr. Un Desa, «State of the World’s Indigenous Peoples», 2009); e «molestie, persecuzioni, rappresaglie nei confronti di quanti difendono i diritti umani degli indigeni, nonché la loro stigmatizzazione e uccisione» (cfr. Relazione doc. a/hrc/23/32). Di conseguenza, lo sviluppo integrale viene ritardato, se non addirittura negato.

Un caso specifico è quello che riguarda l’interazione tra le compagnie industriali e transnazionali e le popolazioni autoctone. Il Relatore speciale parla, per esempio, di conseguenze negative, perfino devastanti per le popolazioni indigene, causate dall’industria estrattiva. Tali aziende devono andare oltre l’interesse specifico per il profitto economico a breve termine e adottare modelli di sviluppo autentico, che non violino i diritti delle popolazioni autoctone e incoraggino un utilizzo responsabile dell’ambiente.

A meritare attenzione, inoltre, è il problema della definizione e della protezione del folklore per evitare che diventi un bene utilizzabile da chiunque, senza tener conto degli interessi e dei diritti delle comunità in seno alle quali ha avuto origine. Le leggi sulla proprietà e il lavoro intellettuale hanno creato un corpo di requisiti legali e sociali volti alla difesa dei diritti dei singoli autori, compositori ed esecutori. Finora, però, i negoziati non hanno fornito salvaguardie sufficienti per proteggere i diritti derivanti dalle creazioni folkloristiche.

Signor Presidente, è opportuno che questo Consiglio e altri enti delle Nazioni Unite stabiliscano, come segno di rispetto per i diritti delle popolazioni autoctone, la loro inclusione diretta nei processi decisionali relativi alla gestione delle risorse naturali dei loro territori. La Delegazione della Santa Sede esorta a eliminare qualsiasi tentativo di marginalizzare le popolazioni autoctone. Ciò significa, in primo luogo, rispettare i loro territori e i patti stabiliti con loro; occorre inoltre compiere sforzi per rispondere alle loro legittime esigenze sociali, sanitarie e culturali. Infine, non possiamo ignorare il bisogno di riconciliazione tra le popolazioni autoctone e le società nelle quali vivono (cfr. Giovanni Paolo II, Ecclesia in America, n. 64).


*L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n. 216, Lun.-Mart. 22-23/09/2014