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INTERVENTO DELLA SANTA SEDE
AL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELLE NAZIONI UNITE
SUL RUOLO DEI GIOVANI NELL'AFFRONTARE L'ESTREMISMO VIOLENTO E NEL PROMUOVERE LA PACE

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO BERNARDITO AUZA,
NUNZIO APOSTOLICO, OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE
PRESSO LE NAZIONI UNITE*

New York
Giovedì, 23 aprile 2015

 

Altezza Reale,

Per cominciare, mi permetta di congratularmi con la Giordania per la sua presidenza in questo mese e, in particolare, per aver programmato questo dibattito sul ruolo dei giovani nell’affrontare l’estremismo violento e nel promuovere la pace.

La crescente globalizzazione e l’interconnettività tecnologica hanno portato molti benefici al mondo attuale, ma hanno anche prodotto sfide nuove ed emergenti. I giovani nel mondo possono utilizzare internet e i mezzi di comunicazione sociale per entrare in contatto, fare amicizia e conoscere le grandi culture e tradizioni di altri popoli in ogni parte del mondo. Purtroppo, questi grandi progressi tecnologici possono anche essere manipolati per diffondere messaggi di odio e di violenza. Il dibattito odierno ci permette di esaminare più in profondità come questi messaggi dannosi stiano trovando un nuovo pubblico e in che modo gli Stati possano lavorare insieme per far fronte alla sfida.

Il fenomeno dei giovani che rispondono al reclutamento di chi li incita a impegnarsi nell’estremismo violento si sviluppa in un contesto di disillusione e di occasioni mancate, di crisi d’identità socio-culturale e di mancata integrazione, di alienazione e di insoddisfazione, di fratture intergenerazionali e famiglie disgregate.

Un passo fondamentale per far fronte alla radicalizzazione dei giovani è quello di lavorare con la famiglia e sostenerla nei suoi sforzi di educare i bambini e i giovani ai valori del dialogo e del rispetto degli altri, per renderli meglio equipaggiati a resistere a quelle che a prima vista potrebbero apparire chiamate attraenti a una “causa più alta” e all’“avventura” con i gruppi estremisti. La famiglia è il primo educatore dei bambini. Se gli Stati desiderano davvero raggiungere i giovani prima che siano esposti a ideologie estremiste, dovrebbero accordare «gli aiuti appropriati ai genitori [...] nell’esercizio della responsabilità che incombe loro di allevare il fanciullo» (Convenzione sui diritti del fanciullo, art. 18, 2).

Studi e fatti dimostrano che alcuni Governi tendono a evitare discorsi franchi e costruttivi sulla questione della radicalizzazione. Nascondere il problema, però, è controproducente. Favorire il dibattito pubblico, d’altro canto, può incoraggiare i giovani a ventilare le loro frustrazioni prima di soccombere a ideologie estremiste e aiutare gli Stati ad articolare politiche adeguate. Non portare il problema nel dibattito pubblico può significare disinteresse, paura o entrambe le cose, mentre incoraggiare la discussione di solito aiuta a promuovere la fiducia collettiva e una conoscenza reciproca più profonda tra le diverse componenti etniche o razziali e religiose della società. Questo dialogo può portare alla formulazione di politiche governative, delle quali tutti i membri della società possono reclamare la proprietà collettiva, nonché offrire ai giovani informazioni convincenti contrarie alla propaganda estremista.

Di fatto, una politica pubblica equilibrata svolge un ruolo fondamentale nel facilitare una solida integrazione degli immigranti nella società come cittadini. Le politiche che scoraggiano percezioni xenofobe o razziste sono fortemente necessarie e contribuiscono al rispetto di sani valori religiosi e socio-culturali.

La religione costituisce un elemento forte di questi sistemi di valori. Le politiche e l’educazione che cercano di minimizzare o di eliminare la componente della fede dell’identità individuale e collettiva possono lasciare i giovani disorientati, alienati, emarginati o esclusi e propensi ad ascoltare il messaggio di gruppi estremisti. Non c’è alcun dubbio che le parole a effetto e gli slogan usati dai gruppi estremisti per reclutare i giovani spesso contengono valori religiosi e socio-culturali distorti.

Anche la disoccupazione e la disperazione sono motivo della vulnerabilità di tanti giovani dinanzi alla propaganda e alle manipolazioni dei reclutatori estremisti. Mani e menti inattive sono altamente vulnerabili dinanzi alle ideologie estreme. Pertanto, le disuguaglianze economiche globali, come pure l’emarginazione e l’esclusione dallo sviluppo alle quali portano, non sono solo una grande preoccupazione sociale ed economica, ma possono anche diventare una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. Quindi, realizzare la giustizia sociale è indispensabile per contrastare il fenomeno dei giovani che si uniscono a organizzazioni estremiste.

Altezza Reale,

Nella nostra lotta contro le ideologie estremiste e nei nostri sforzi per promuovere una cultura di pace, i giovani stessi sono una risorsa molto preziosa. Possiamo contrastare i reclutatori estremisti promuovendo voci fidate e rispettate tra i coetanei, nelle stesse piattaforme che essi usano per reclutare nuovi membri, come i mezzi di comunicazione sociale.

I leader e le organizzazioni confessionali devono condannare i messaggi di odio in nome della religione e dare ai giovani quella formazione religiosa che favorisce la comprensione e il rispetto tra popoli di confessioni differenti. Le persone di fede hanno la grande responsabilità di condannare quanti cercano di scindere la fede dalla ragione e di usare la fede per giustificare la violenza. Come ha sottolineato Papa Francesco durante la sua visita in Albania il 21 settembre 2014, nessuno deve pensare di potersi fare «scudo di Dio mentre progetta e compie atti di violenza e sopraffazione!».

Grazie, Altezza Reale.


* L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n. 103 08/05/2015.