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INTERVENTO DI MONS. ANTOINE CAMILLERI,
SOTTOSEGRETARIO PER I RAPPORTI CON GLI STATI,
IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DI
 "PERSECUTION OF CHRISTIANS REVIEW"

Basilica di San Bartolomeo all'Isola
Lunedì, 15 luglio 2019

 

Sono grato per l’invito e lieto di avere questa opportunità di offrire alcune brevi osservazioni sull’allarmante realtà della persecuzione dei cristiani, una questione che, come la relazione interinale preparata dal Reverendo Philip Montstephen indica, sta diventando sempre più diffusa e urgente. L’iniziativa odierna è un esempio tangibile della crescente preoccupazione riguardo al problema della discriminazione e della persecuzione per motivi religiosi e della determinazione di contribuire a creare maggiore consapevolezza, in particolare sulle tragiche situazioni dei cristiani in numerose parti del mondo, e a sforzarsi di superare ciò che Papa Francesco ha descritto come una «una sorta di genocidio causato dall’indifferenza generale e collettiva» (Saluto all’inizio della Santa Messa per i fedeli di rito armeno, 12 aprile 2015).

È opportuno, sebbene in una circostanza non proprio felice, che la presentazione a Roma di Persecution of Christians Review si stia tenendo in questa basilica dedicata all’apostolo Bartolomeo che, come forse voi sapete, fu egli stesso vittima della persecuzione religiosa e, subendo il martirio a causa della sua fede cristiana, secondo la leggenda, fu scorticato e poi decapitato.

Vorrei anzitutto sottolineare che l’ingiusta discriminazione, la violenza e la persecuzione di qualsiasi essere umano innocente, e specialmente per motivi di religione o credo, sono moralmente inaccettabili e reprensibili. Negli ultimi anni, siamo stati testimoni di attacchi a individui e gruppi di varie tradizioni religiose da parte di terroristi, gruppi estremisti e fanatici religiosi che non hanno rispetto per la vita di quanti hanno credenze diverse dalle loro. Tenendo conto di questa tragica realtà, non possiamo ignorare il fatto che la persecuzione religiosa in un contesto più ampio è sperimentata da un gran numero di comunità religiose, gruppi e individui in numerose parti del mondo. Purtroppo la maggior parte di questi crimini sembra restare impunita e suscitare poco più di un imbarazzante rossore nella comunità internazionale, ricevendo molto spesso scarsa attenzione.

Naturalmente, per la Santa Sede, l’allarmante realtà della persecuzione religiosa è una grave preoccupazione non solo per quei cristiani che soffrono, ma anche per i membri di qualsiasi convinzione religiosa. Tale persecuzione è un attacco alla libertà più fondamentale della persona umana, vale a dire la possibilità di aderire liberamente, e senza timore di essere perseguitati, a una religione. Di certo, la piaga dei cristiani che subiscono tortura e morte è particolarmente dolorosa per quelli tra noi che condividono con loro anche un profondo legame spirituale.

Sebbene il diritto internazionale stipuli che sia dovere primario degli Stati proteggere i propri cittadini, è altresì cruciale riconoscere l’importante responsabilità dei capi religiosi di promuovere una coesistenza pacifica attraverso il dialogo e la comprensione reciproci, di modo che le loro comunità e i loro membri rispettino quanti appartengono a tradizioni religiose diverse piuttosto che fomentare aggressione e violenza. Un buon esempio di questa collaborazione attiva ed esplicita tra capi religiosi si può trovare nella dichiarazione congiunta sulla “fratellanza umana” firmata ad Abu Dhabi lo scorso 4 febbraio da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb. Uno dei molti punti di rilievo elaborati nel testo può offrirci una visione assai precisa — chirurgicamente precisa, se posso dirlo — della attuale realtà della persecuzione per motivi di religione o credo.

Insieme a Papa Francesco e al Grande Imam «dichiariamo — fermamente — che le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste sciagure sono frutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni e anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione che hanno abusato — in alcune fasi della storia — dell’influenza del sentimento religioso sui cuori degli uomini per portali a compiere ciò che non ha nulla a che vedere con la verità della religione, per realizzare fini politici e economici mondani e miopi» (Papa Francesco e Ahamad Al-Tayyeb, Documento sulla fratellanza umana e per la pace mondiale e la convivenza comune, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019 [corsivo aggiunto]).

Lo sguardo sulla «manipolazione politica delle religioni» è qualcosa a cui dovremmo dedicare particolare attenzione. Questa sovversione non dovrebbe essere intesa solo come riferita ad attori non statali, in particolare estremisti e terroristi religiosi, che sfruttano o “politicizzano” la religione al fine di promuovere le loro ideologie. I governi devo chiedersi fino a che punto sono realmente impegnati a difendere la libertà religiosa e a combattere la persecuzione basata sulla religione e il credo. Quanti si astengono dal giustificare tali atti, o addirittura li condannano, eppure “collaborano” politicamente, economicamente, commercialmente, militarmente o in altro modo, o soltanto chiudendo un occhio, con alcuni dei più eclatanti violatori di questa libertà fondamentale?

Inoltre, e sarebbe una negligenza da parte mia non menzionarlo, ci sono, come tutti sappiamo, altre forme di discriminazione e persecuzione religiose che, sebbene forse meno radicali a livello di persecuzione fisica, cionondimeno nuocciono al pieno godimento della libertà di religione e alla pratica o all’espressione di quella convinzione sia in privato sia in pubblico. Mi sto riferendo alla crescente tendenza, persino nelle democrazie consolidate, di criminalizzare o penalizzare i capi religiosi che presentano i principi base della loro fede, specialmente quelli che riguardano gli ambiti della vita, del matrimonio e della famiglia.

Per di più, la crescente tensione sociale, culturale e religiosa attorno al percepito conflitto di diritti, come ha osservato Papa Francesco, «non ha sempre favorito la promozione di rapporti amichevoli tra le Nazioni, poiché si sono affermate nozioni controverse dei diritti umani che contrastano con la cultura di molti Paesi, i quali non si sentono perciò rispettati nelle proprie tradizioni socio-culturali, ma piuttosto trascurati di fronte alle necessità reali che devono affrontare. Vi può essere quindi il rischio — per certi versi paradossale — che, in nome degli stessi diritti umani, si vengano a instaurare moderne forme di colonizzazione ideologica dei più forti e dei più ricchi a danno dei più poveri e dei più deboli. In pari tempo, è bene tenere presente che le tradizioni dei singoli popoli non possono essere invocate come un pretesto per tralasciare il doveroso rispetto dei diritti fondamentali enunciati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo» (Papa Francesco, Discorso ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 8 gennaio 2018).

Il diritto alla libertà religiosa è radicato nella dignità stessa della persona umana, e non è solo un traguardo di una sana cultura politica e giuridica, ma anche una condizione per la ricerca della verità che non s’impone con la forza. In tal modo, le religioni possono fungere da importante fattore per l’unità e la pace in seno alla famiglia umana attraverso la ponderata ricerca del bene comune, che dovrebbe essere alimentato dal dialogo. A tale proposito, mentre si dovrebbero sostenere tutti i mezzi per superare tale persecuzione, includendo la necessità di un dialogo interculturale e interreligioso aperto e onesto, un aspetto ancora più essenziale è l’indispensabile riconoscimento di ogni persona come un concittadino. Da qui deriva il dovere dello Stato di proteggere credenti di ogni, o di nessuna, convinzione religiosa, in quanto uguali cittadini. In tale contesto, il sopracitato documento sulla “fratellanza umana” sottolinea la dimensione basilare del rispettare l’uguale cittadinanza di tutti i membri di una data società, in ogni Stato particolare.

«Il concetto di cittadinanza si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti godono della giustizia. Per questo è necessario impegnarsi per stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità; esso prepara il terreno alle ostilità e alla discordia e sottrae le conquiste e i diritti religiosi e civili di alcuni cittadini discriminandoli» (ocumento sulla fratellanza umana e per la pace mondiale e la convivenza comune, Abu Dhabi, 4 febbraio 2019 [corsivo originale]).

È vero che le costituzioni della maggior parte dei paesi affermano che tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro appartenenza etnica e religiosa e dal sesso, hanno uguali diritti e doveri. Tuttavia, il riemergere di nazionalismi in alcuni paesi, unito all’affermazione aggressiva dell’identità religiosa, può facilmente condurre al fondamentalismo religioso. Persone e gruppi non appartenenti alla maggioranza etnica o al gruppo religioso possono non solo dovere affrontare la discriminazione, ma anche l’emarginazione e la persecuzione. I cittadini appartenenti alla maggioranza potrebbero avere la sensazione che lo Stato è “loro” più che degli altri che non appartengono a quella religione. Di fatto, come il rapporto interinale lascia intendere, in alcune parti del mondo, ci troviamo di fronte a livelli di persecuzione che potrebbero essere considerati come una forma di genocidio, dove la presenza di cristiani si sta sistematicamente cancellando dalle società e dalle culture, anche nelle aree della loro stessa origine. Questa aggressione mirata non è soltanto un attacco alla coesistenza pacifica fondata sul pluralismo religioso, ma anche e più fondamentalmente al concetto essenziale della pari e inviolabile dignità di ogni essere umano.

Il teologo cristiano del secondo secolo, Tertulliano, scrisse che «il sangue dei martiri è il seme dei cristiani» (Tertulliano, Apologeticum, ca. 197). Motivati dal loro amore di Dio, i martiri soccombettero liberamente alla violenza che non s’inflissero da soli, ma che venne per mano dei loro persecutori. La loro sofferenza costituisce un esempio straordinario di integrità di coscienza e di testimonianza di fede, speranza e carità.

Conservare la presenza delle comunità cristiane, in particolare in quelle aree dove non fanno parte del gruppo maggioritario, è molto più che un simbolico; è una forte testimonianza di fede e dimostra che la coesistenza pacifica tra una pluralità di religioni è possibile quando la dignità di ogni persona viene rispettata.