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CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA IN OCCASIONE
DELLA MEMORIA LITURGICA DI SAN GIOVANNI BOSCO
FONDATORE DEI SALESIANI

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE

Cappella di santa Marta del Palazzo del Governatorato
Mercoledì, 31 gennaio 2007

 

Di anno in anno, la liturgia nella festa di Don Bosco, fa risuonare questo invito di San Paolo ai Filippesi: "Fratelli, rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti".

Mi trovavo domenica scorsa a Verona dove ho celebrato la Messa per la Famiglia Salesiana riunita. A loro, come a voi oggi, rivolgo un augurio: quello di poter essere sempre riconosciuti per quello che siamo: cristiani felici, gioiosi. Anche anziani possiamo avere "la faccia del giovane", e questa è vera se sappiamo ispirare fiducia, se l'amorevolezza è nelle parole, nell'espressione del volto e degli occhi, nei gesti, se il dialogo è spontaneo, se la parola data sancisce un'alleanza sincera.

L'esempio di Don Bosco ci sprona in questo senso ed è bene ricordare alcune belle caratteristiche del suo metodo educativo volto a formare "buoni cristiani e onesti cittadini": studio, lavoro, regolata libertà, gioia, civiltà in una tendenziale sintesi di ragione e religione.

Don Bosco voleva per i suoi giovani una formazione integrale. L'educazione - diceva - è cosa del cuore, bisogna che tutti i protagonisti dell'educazione convergano in una comunione di interessi e di obiettivi, per la maturazione di una autentica personalità, umana e cristiana.

Ma don Bosco non si ferma a contemplare il "cielo" dei suoi ragazzi. Egli vive in mezzo a loro e sa, o "sente", che essi non sopportano solo pensieri seri; inoltre, ha modo di sperimentare quanto soffrano la "povertà" e "l'abbandono" e quali siano le loro richieste, più o meno espresse. La sua pedagogia, perciò, non può non assumere il "volto" dei ragazzi di cui si occupa. Necessariamente, dunque, si "umanizza" nei contenuti e nei metodi. La "salvezza eterna" è così ricercata passando attraverso le indispensabili forme della salvezza terrena (vitto, vestito, alloggio, lavoro, professione, socializzazione) e di uno stile su misura della sensibilità giovanile (sicurezza affettiva, serenità, convivenza familiare, gioia).

Avanzando poi verso l'ultimo quarto del secolo trascorso, con lo sviluppo delle varie opere, don Bosco carica di significati sempre più vasti i termini "poveri", "abbandonati", pur rimanendo fedele fino agli ultimi giorni all'originaria scelta preferenziale per la povertà economica, sociale, religiosa. Le sue sollecitudini si estendono idealmente a tutti i giovani colpiti da una qualche "precarietà", anche morale, professionale, culturale, per i quali si rivelano necessarie misure diversificate di accoglienza, assistenza, sostegno, promozione.

Coerentemente, istituzioni e metodi si aprono a una più vasta "disponibilità". E le parole del "padre e maestro dei giovani" vengono ascoltate con crescenti simpatie e consensi dalle categorie più svariate di persone, sensibili al problema dell'educazione della gioventù in un mondo nuovo.

Questa simpatia suscitata ovunque da don Bosco nasce certamente dall'assunzione di criteri di azione educativa largamente condivisi: le tappe della crescita dei giovani non sono un evento transitorio, ma un'esperienza di vita valida in sé e che incide nel futuro; i ragazzi sono e devono essere non solo dei collaboratori attivi della loro educazione, ma degli autentici protagonisti; la gioia e la fatica di dire e di progettare non è un semplice compito o un dovere, ma è soprattutto slancio, inventiva, passione per la vita e per il senso della vita; il rapporto educativo dice coinvolgimento di amicizia, costruzione di comunità, presenza propositiva di valori e di ideali...

Così Umberto Eco scriveva di Don Bosco: "Questo geniale riformatore intravede che la società industriale richiede nuovi modi di aggregazione ed allora inventa una macchina perfetta... la genialità dell'Oratorio gestito su basi minime; prescrive ai suoi frequentatori un codice morale e religioso, ma poi accoglie anche chi non lo segue. In tal senso il progetto di Don Bosco investe tutta la società dell'era industriale, alla quale è mancato il suo "progetto Don Bosco" con la stessa immaginazione, la stessa inventiva organizzativa, sociologica, lo stesso senso dei tempi" (L'Espresso, 15 nov. 1981).

Peraltro, uno dei confondatori del P.C.I. scriveva nel 1920: "Don Bosco! Era un grande, che dovreste cercare di conoscere. Nell'ambito della Chiesa... seppe creare un imponente movimento di educazione, ridando alla Chiesa il contatto con le masse, che essa era venuta perdendo. Per noi che siamo fuori della Chiesa e di ogni chiesa, egli è un eroe, l'eroe dell'educazione preventiva e della scuola-famiglia. I suoi prosecutori possono esserne orgogliosi!" (G. Lombardo Radice, Clericali e massoni di fronte al problema della scuola, Roma, La Voce 1920, p. 62-64, Iª appendice).

Questi autori-scrittori hanno colto il cuore dell'opera di Don Bosco, il suo senso vero: un grande amore ai giovani, tradotto in un servizio alla loro formazione umana e professionale.

Ci sentiamo noi questi prosecutori? O siamo semplicemente e unicamente orgogliosi dell'eredità lasciata da Don Bosco? Ognuno di noi nel posto che occupa, partecipa con la propria vita e con il proprio lavoro al progetto integrale di formazione cristiana delle nuove generazioni. I salesiani nella loro peculiare vocazione trovano nell'ispirazione di Don Bosco, nella sua maniera tipica di concepire l'evangelizzazione come salvezza totale... il loro specifico apostolato, ma anche ogni padre e madre di famiglia trova le linee guida del proprio ruolo di educatore.

È una eredità da non disperdere, anzi da fare sempre più fruttificare nella nostra società tanto bisognosa di valori e di testimoni.

 

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