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SANTA MESSA PRESSO IL CENTRO ITALIANO DI SOLIDARIETÀ (CEIS)

OMELIA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE

Sede del Ceis, Roma
Martedì Santo, 3 aprile 2007

 

Nel corso dell'anno liturgico la Chiesa dedica un'intera settimana a commemorare con i riti più intensi e più solenni i giorni della salvezza. All'inizio di questa Messa abbiamo chiesto al Padre Celeste di poter celebrare con fede i misteri della passione del suo Figlio, per gustare la dolcezza del suo perdono. Lo proclameremo anche nel Prefazio: "Contempliamo ormai vicini i giorni della sua Pasqua di morte e risurrezione, che segna la sconfitta dell'antico avversario e l'evento stupendo della nostra redenzione".

I giorni della Settimana Santa ci introdurranno quindi nei "giorni di Cristo", come direbbe sant'Agostino: "Sono i giorni in cui Dio ha compiuto imprese grandi e mirabili, in cui è sorta la fede, che ha sparso per tutto il mondo lo splendore della sua luminosa chiarezza".

Se la Settimana Santa passasse tra la distrazione, se non raccogliesse i cristiani per la venerazione della croce il Venerdì Santo: se non convocasse alla meditazione silenziosa della sepoltura, il Sabato Santo; e se la Veglia pasquale lasciasse indifferenti, avremmo l'indice triste della fede che si spegne impoverendo l'umanità. Ma, pochi o tanti, coloro che vivono intensamente questi giorni sono motivo di speranza; tengono accesa la Luce nel mondo.

Ringraziamo il Signore, di essere in molti qui radunati questa sera. Da parte mia sono grato in maniera particolare a Don Picchi per avermi invitato a celebrare l'Eucaristia in mezzo a voi, che in un modo o nell'altro portate alto il vessillo della solidarietà.

Il Centro che vi raccoglie si identifica proprio con una delle caratteristiche della carità cristiana: la solidarietà. Il CEIS è infatti una di quelle associazioni dove la solidarietà diventa una scuola di vita che educa non a dare semplicemente qualcosa, ma se stessi. L'attenzione alla persona umana nella sua integrità, specie quella che si trova in difficoltà, è l'azione costitutiva del Centro, per il recupero di tutte le potenzialità di coloro che vivono ogni sorta di disagio.

Facciamo dunque in modo che anche questo momento di preghiera, di riflessione sulla Sacra Scrittura e di comunione intorno alla mensa eucaristica, sia un'occasione privilegiata di crescita e di ricostruzione di quella integrità fisica e morale, umana e spirituale, che rende l'uomo libero e felice.

In questo secondo giorno della Settimana Santa, il Vangelo ci racconta un momento drammatico: quello in cui Cristo proferisce la frase: "Uno di voi mi tradirà". Giuda Iscariota, sentendosi chiamato in causa, se ne va per il funesto compimento del suo tradimento, e verso le lacrime amare della disperazione. Riusciamo ad avere pietà anche di lui se ci lasciamo convincere dalla verità dell'amore di Dio per ogni uomo, anche peccatore.

In una delle catechesi del mercoledì Benedetto XVI ha commentato in questo modo la sorte di Giuda Iscariota, che resta pur sempre una figura appartenente al gruppo di coloro che Gesù si era scelti come stretti compagni e collaboratori. "Benché egli si sia poi allontanato per andare a impiccarsi (cfr Mt 27, 5), non spetta a noi misurare il suo gesto, sostituendoci a Dio infinitamente misericordioso e giusto". "In realtà - continua il Papa - "Dio è più grande del nostro cuore", come dice san Giovanni (1 Gv 3, 20). Teniamo quindi presenti due cose. La prima: Gesù rispetta la nostra libertà. La seconda: Gesù aspetta la nostra disponibilità al pentimento ed alla conversione; è ricco di misericordia e di perdono. Del resto, quando pensiamo al ruolo negativo svolto da Giuda dobbiamo inserirlo nella superiore conduzione degli eventi da parte di Dio. Il suo tradimento ha condotto alla morte di Gesù, il quale trasformò questo tremendo supplizio in spazio di amore salvifico e in consegna di sé al Padre (cfr Gal 2, 20; Ef 5, 2.25)" (Udienza generale, 18 ottobre 2006).

Osserviamo l'altro quadro della scena evangelica, quello in cui Simon Pietro, nella sua impulsiva generosità, sembra non accettare l'annuncio della dipartita del Maestro: "Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!", e Gesù: "Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte".

Come poté Simon Pietro superare l'amarezza provata dal suo rinnegamento? La forza gliela diede il "credere all'amore"; credere all'amore di Dio fonte di misericordia. Pur nel turbamento fu capace di dire "sì all'amore, perché esso soltanto, proprio con il suo rischio della sofferenza e della perdita di sé, porta l'uomo a se stesso e lo rende ciò che egli deve essere. Penso che questo sia il vero dramma della storia, cioè che essa nella molteplicità dei fronti, gli uni contrapposti agli altri, alla fine è riconducibile alla formula: sì o no all'amore". Sono parole del Card. Joseph Ratzinger, chiamato da Dio a succedere a Pietro nella guida della Chiesa (cfr Il sale della terra, p. 320).

L'amore acquista forza se vissuto in seno alla comunità dei credenti. Per questo, avvicinandosi i giorni che ricordano l'istituzione dell'Eucaristia, che ci fa Chiesa, comunione dei credenti in Cristo, e del sacerdozio ministeriale che rinnova quotidianamente in maniera sacramentale il sacrificio di Cristo, vorrei esortarvi a perseverare nella partecipazione alla messa domenicale, per attingere forza e per il recupero costante di quelle energie spirituali necessarie per superare le asperità della vita.

Mi ha commosso tempo fa il racconto di una famiglia istriana che, finita l'ultima guerra mondiale, nel 1947 ha vissuto l'indimenticabile odissea dell'esodo dalla natia Pola a Roma. I genitori con cinque figli ben stretti e il sesto in arrivo, con le loro povere cose, stipati sul treno, facevano parte di un popolo in diaspora nella propria patria. Arrivarono a Roma la domenica mattina, sfiniti. "Per prima cosa, ascoltammo la Messa nella basilica del Sacro Cuore, accanto alla stazione - mi dissero - sfollati sì, ma pur sempre cristiani. Per nulla al mondo avremmo perso la Messa domenicale, ed eravamo felici che cominciasse proprio all'ora del nostro arrivo". Quello della Messa domenicale è un appuntamento di fedeltà e di amore.

Vorrei anche citare l'esempio del Cardinale Van Thuân, vietnamita, che ha conosciuto per 13 anni il carcere a motivo della sua fede, che in occasione della predicazione degli Esercizi Spirituali tenuti alla presenza del Santo Padre nel marzo dell'anno 2000, ha raccontato: "Quando nel 1975 sono stato messo in prigione, una domanda angosciosa si è fatta strada in me: "Potrò ancora celebrare l'Eucaristia?"... Al momento in cui è venuto a mancare tutto, l'Eucaristia è stata in cima ai miei pensieri: il pane di vita... Quante volte ho ricordato l'espressione dei martiri di Abitene (sec. IV), che hanno detto: "Sine Dominico non possumus!" - "Non possiamo vivere senza la celebrazione dell'Eucaristia". In tutti i tempi e in modo speciale in tempi di persecuzione, l'Eucaristia è stata il segreto della vita dei cristiani: il cibo dei testimoni, il pane della speranza". "Non potrò mai esprimere la mia grande gioia: ogni giorno, con tre gocce di vino e una goccia d'acqua nel palmo della mano, ho celebrato la Messa. Era questo il mio altare ed era questa la mia cattedrale!... Nel campo di rieducazione, eravamo divisi in gruppi di 50 persone; dormivamo su un letto comune, ciascuno aveva diritto a 50 cm. Siamo riusciti a far sì che ci fossero cinque cattolici con me. Alle 21.30 bisognava spegnere la luce e tutti dovevano andare a dormire. In quel momento mi curvavo sul letto per celebrare la Messa, a memoria, e distribuivo la comunione passando la mano sotto la zanzariera..." (Testimoni della speranza, pp. 165-166; 168 e 170).

Lasciamoci coinvolgere da questi esempi e prendiamo il coraggio delle decisioni che conducono alla vita, alla libertà, all'amore.

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