"CRISTIANESIMO E SECOLARIZZAZIONE. SFIDE PER LA CHIESA E PER L'EUROPA" PROMOSSO DALL'UNIVERSITÀ EUROPEA DI ROMA E DAL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE DISCORSO INTRODUTTIVO DEL CARD. TARCISIO BERTONE Università Europea di Roma
Venerati e Cari Confratelli nell'episcopato, Sono molto lieto d'introdurre i lavori di questo Congresso internazionale, su: Secolarizzazione e Cristianesimo in Europa, promosso dall'Università Europea di Roma e dal Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il tema è di grande attualità. Come nei fiumi confluiscono e si mescolano acque provenienti da diverse sorgenti, per poi ripartire ed irraggiarsi in terreni assai diversificati, così accade con la problematica odierna. Il rapporto fra secolarizzazione e Cristianesimo è uno snodo centrale, una chiave di lettura emblematica della nostra epoca, ma anche di quelle che l'hanno preceduta. Le modalità in cui tale rapporto è stato declinato nella storia e nei diversi Paesi europei sono diverse, ma tutte hanno influito e continuano a contrassegnare ambiti assai variegati: sociali, culturali e politici. A livello fenomenologico, per secolarizzazione s'intende un processo che caratterizza soprattutto le società occidentali ed è marcato dall'abbandono degli schemi religiosi e di un comportamento di tipo sacrale. Storicamente tale processo è collegato a quello di emancipazione della sfera politica da quella religiosa e ha inteso se stesso come ristabilimento della ragione e di ciò che è ragionevole. Sembrava che, separando i valori dal Cristianesimo, privatizzando la fede e rendendo la morale autonoma dalla religione, si sarebbero poste le basi per costruire un'umanità autenticamente libera e dignitosa. La storia stessa, però, si è incaricata di smentire questi "messianismi senza messia". E a caro prezzo. La visione secolaristica, immanente e chiusa ai valori trascendenti, non ha potuto più nascondere la propria inumanità, proprio perché l'apertura a Dio costituisce una dimensione fondamentale dell'uomo. Con il tempo, infatti, la verità è stata surrogata dall'ideologia, oppure dallo scetticismo e dal nichilismo. Ma tutto ciò, a differenza della verità, non nutre, ma intossica; non illumina l'intelletto, ma lo depista; non alimenta la vita interiore, ma la mortifica o finanche la soffoca; non rafforza i valori, ma li rende più incerti o, addirittura, li svuota. È in riferimento a tale quadro che, in occasione del 50° dei Trattati di Roma, Papa Benedetto XVI ha parlato di "apostasia" dell'Europa da se stessa, prima ancora che da Dio, e del paradosso per cui l'Europa ambisce a porsi come una comunità di valori, ma sempre più spesso contesta che ce ne siano di universali. Durante il suo recente viaggio in Brasile, nel discorso indirizzato all'episcopato latinoamericano, Benedetto XVI ha ricordato che "dove Dio è assente - Dio dal volto umano di Gesù Cristo - questi valori non si mostrano con tutta la loro forza, né si produce un consenso su di essi. Non voglio dire - sottolinea il Papa - che i non credenti non possano vivere una moralità elevata ed esemplare; dico solamente che una società nella quale Dio è assente non trova il consenso necessario sui valori morali e la forza per vivere secondo il modello di questi valori, anche contro i propri interessi" (13 maggio 2007). A fronte di tali difficoltà e smarrimento, si fa strada la consapevolezza secondo la quale occorre rescindere il vincolo che, troppo a lungo, ha unito la secolarizzazione con l'avversione, o per lo meno con il disincanto, nei confronti della religione. Emerge cioè la convinzione che si debba chiudere con il postulato che fa coincidere in modo insindacabile il progresso con l'ideologia secolaristica, e la religione si accredita quale riserva di senso per la società stessa. Del resto, nella storia mondiale ed in quella recente dell'Europa, il Cristianesimo ha dato prova di essere un fattore essenziale di liberazione, dai molteplici riflessi, anche sociali. Non perché abbia svolto direttamente un compito politico, che non gli spetta, ma semplicemente perché è stato coerente con la propria missione religiosa, educando i fedeli ad una libertà più forte dell'oppressione e ad un amore più radicale dell'odio e dell'intolleranza, e quindi ad una coerente testimonianza dei valori costitutivi di ogni persona e di ogni popolo. Benedetto XVI lo ha ribadito anche nella sua prima Enciclica Deus caritas est: "una società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l'adoperarsi per la giustizia lavorando per l'apertura dell'intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente" (n. 28). In breve, si può dire che, per mantenere vivi i valori secolari su cui si fonda, la democrazia inizia oggi a sentire più bisogno della religione, dalla quale, spesso, tali valori sono sorti, prendendone poi le distanze. Si pongono così le premesse per un confronto fecondo fra Cristianesimo e secolarizzazione. E questo è l'augurio che formulo per il Congresso che ho il piacere d'introdurre questa sera. Credo sia particolarmente apprezzabile la volontà degli oratori di non lasciarsi imprigionare in nessun schema precostituito, ma di guardare serenamente avanti, per il bene della Chiesa e della società stessa. Ciò, ovviamente, non nega, ma anzi presuppone una ricognizione oggettiva ed approfondita della situazione, scevra da schemi pessimistici, ma anche libera dai luoghi comuni - per cui, in certe situazioni, pare che l'unico pregiudizio accettabile sia quello anticristiano - e lontana dal politicamente corretto, che per farsi ascoltare in pubblico induce talvolta a fare professione preliminare di laicità, come fosse un distintivo, ovviamente nella sua concezione laicista. Nel limite del possibile, detta ricognizione deve tener conto delle diverse sfaccettature del prisma della secolarizzazione: anzitutto nella storia, nella cultura e nei rapporti fra la Chiesa e la comunità politica. È quanto si cercherà di fare stasera e sono contento che vi si cimentino relatori di straordinario profilo ecclesiale, istituzionale e culturale. Concludo rilevando che, come Cristiani, abbiamo il compito d'essere insieme stranieri e presenti al nostro tempo. Gesù ci ha insegnato che la Chiesa è nel mondo, ma non è del mondo; è cioè straniera e presente al nostro tempo e ad ogni tempo: straniera alle illusioni, allo scetticismo ed al nichilismo in cui spesso si dibatte il mondo secolarizzato, ma presente a tutte le difficoltà che derivano da tali illusioni. Il rischio, infatti, è che, respinto Dio, la verità scompaia e sia surrogata dall'ideologia. Ma il Cristianesimo non resta indifferente a questa sfida, perché esso non è ideologia: è annuncio di una verità trascendente e non possesso di una certezza immanente; valorizza i germi di verità e di bene e nulla impone con la violenza e con la forza, perché il giogo di Cristo è soave e pertanto il Cristiano, come il suo Maestro, deve essere mite ed umile di cuore. Corredato da tali virtù, il Cristiano non si concepisce come il resto un'Europa che scompare, ma come l'avanguardia di una nuova Europa, che - lo ha sottolineato di recente Papa Benedetto XVI - può essere realistica ma non cinica, ricca d'ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo.
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