DELLA VISITA DI PAPA PAOLO VI A PESCARA OMELIA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE Cattedrale di San Cetteo, Pescara
Venerati fratelli nell'Episcopato e nel sacerdozio! Sono grato al Signore che mi offre l'opportunità di presiedere questa solenne celebrazione, nel 30° anniversario del Congresso Eucaristico Nazionale di Pescara, che si concluse con la storica visita di Papa Paolo VI, di venerata memoria, il 17 settembre 1977. Ringrazio il vostro Arcivescovo, Mons. Tommaso Valentinetti, per il suo gentile invito e per le parole che mi ha rivolto all'inizio della Santa Messa. Un saluto cordiale indirizzo a tutti i Vescovi presenti, con una menzione speciale per Mons. Antonio Iannucci, primo Vescovo di questa Diocesi di Pescara-Penne, che 30 anni or sono organizzò il Congresso Eucaristico e accolse il Sommo Pontefice. Sono grato alle Autorità civili e militari per la loro presenza. A tutti voi, cari fratelli e sorelle in Cristo, convenuti in questa Cattedrale luogo-simbolo dell'unità della Comunità diocesana, giunga il mio saluto più caloroso. Giunga soprattutto il saluto benedicente di Sua Santità Benedetto XVI, che ho l'onore di trasmettere a ciascuno di voi, ad iniziare dal vostro Pastore. Il Papa esprime la sua vicinanza spirituale alle famiglie, ai giovani, ai bambini, agli ammalati, all'intera città di Pescara con un ricordo particolare per quanti si trovano in situazioni di difficoltà e di bisogno materiale e spirituale. Il Santo Padre rivolge il suo pensiero affettuoso a tutti e si unisce spiritualmente all'odierna celebrazione, che non è solo una commemorazione, ma piuttosto una ripresa e una conferma dei contenuti che il Congresso Eucaristico di Pescara offrì alla Chiesa in Italia, e che il suo predecessore Paolo VI sigillò allora con la sua presenza e la sua parola. Ripresa e conferma anche alla luce di una singolare coincidenza: Sua Santità Benedetto XVI ha compiuto la sua prima visita pastorale in Italia a Bari, il 29 maggio 2005, proprio per la conclusione del Congresso Eucaristico Nazionale. E colpisce anche il legame tra i temi dei due Congressi: quello di Pescara era "Il giorno del Signore è la Pasqua settimanale del popolo di Dio"; e quello di Bari è stato "Senza la domenica non possiamo vivere". Come non sottolineare il nesso di continuità tra questi due eventi? A distanza di 28 anni essi mostrano l'importanza e l'attualità del tema della Domenica, come elemento centrale e decisivo della riforma liturgica del Concilio Vaticano II, che l'Episcopato italiano si è impegnato a portare avanti sotto la guida dei Pontefici Romani. Basti qui ricordare il filo rosso che collega la Costituzione conciliare sulla liturgia con la Nota pastorale della CEI Il giorno del Signore, del 1984, con la Lettera apostolica Dies Domini di Giovanni Paolo II e con l'Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis di Benedetto XVI. Tre settimane fa, domenica 9 settembre, il Santo Padre celebrando la Messa nel Duomo di Vienna, durante il suo pellegrinaggio in Austria, nell'omelia si è soffermato proprio sul significato e il valore della Domenica. Egli ha fatto nuovamente riferimento alle parole dei Martiri di Abitene, torturati e uccisi per aver violato il divieto dell'imperatore Diocleziano di celebrare la liturgia cristiana. Al giudice che li interrogava uno di essi rispose: "Sine dominico non possumus". Questa espressione ha un duplice significato: Non possiamo vivere senza il dono del Signore, che è Lui stesso, e ugualmente senza il giorno del Signore, cioè il tempo concreto dell'incontro con Lui nella celebrazione. È molto significativo che questa antichissima testimonianza, risalente addirittura all'anno 304, sia ritornata così attuale ai nostri giorni. È un fatto che fa riflettere. I cristiani del 2000 sentono il bisogno di ritrovare il centro, il nucleo sorgivo della propria identità, ciò "senza cui non possono vivere"; e questa realtà non è "qualcosa", ma "qualcuno", cioè Cristo, che incontrano vivo nel memoriale della sua Pasqua che è l'Eucaristia, e nel giorno che scandisce il ritmo del tempo secondo la fede, cioè la Domenica. La Domenica diventa perciò un simbolo, quasi un sacramento di Cristo. Analogamente a ciò che rappresenta il sabato per gli ebrei, vale a dire un memoriale della creazione e della liberazione dalla schiavitù, così la Domenica è memoriale della Pasqua di Cristo, compimento dell'azione creatrice e redentrice di Dio, Signore del cosmo e della storia. Nei nostri Paesi di antica evangelizzazione, specialmente in Europa, si avverte quasi il bisogno di una riscoperta del cristianesimo, un cristianesimo rivisitato nella sua bellezza e verità originaria. E la Domenica sembra rappresentare un aspetto essenziale, centrale di questo volto originario della nostra fede. Oggi infatti, pur apparendo in crisi il senso del sacro che la domenica in un certo modo simbolizza, rimane tuttavia nelle persone il desiderio, quasi una nostalgia di spazi e tempi in cui ritrovarsi in serenità e verità, per nutrirsi di parole e di gesti che contengano un significato profondo, capace di saziare il cuore di ognuno e al tempo stesso da condividere con gli altri. C'è bisogno di un "sacro" nuovo, adatto ai nostri tempi e al mondo di oggi. Un'esperienza religiosa basata meno sul dovere e più sull'essere, meno sul precetto e più su una necessità interiore. Il contesto attuale, umano e sociale, appare pertanto come un'opportunità per riscoprire il giorno del Signore, un'opportunità per dire anche noi, in modo nuovo: "Senza il dono e il giorno del Signore non possiamo vivere". La domenica è il giorno del Signore, che ci stimola costantemente a porre sempre Lui, Gesù Cristo, al centro delle nostre esistenze personali e comunitarie. A ben vedere si gioca qui anche una scelta di civiltà. In quale mondo vogliamo abitare? Quale mondo vogliamo lasciare ai nostri figli? Un mondo basato sull'avere, sul profitto, o un mondo impostato secondo la logica dell'essere e del condividere? Il messaggio di Cristo non lascia spazio a dubbi e ambiguità: lo abbiamo sentito anche oggi, nel Vangelo dell'uomo ricco e del mendicante Lazzaro (Lc 16, 19-31). Il nome Lazzaro è una abbreviazione di Eleazaro, che vuol dire Dio lo aiuta e l'autore sacro lo ha scelto appositamente quasi a ricordare che il povero è colui che può contare soltanto sull'aiuto divino. Chi vive in funzione di se stesso, chi accumula beni per goderne in modo egoistico non è gradito al Signore, e dopo la morte non entrerà nel Regno della vita. Ed ancora, nella prima Lettura è risuonata la voce del profeta Amos, a denunciare con forza lo scandalo del lusso offensivo di pochi che non si curano della rovina del popolo (cfr Am 6, 1-6). La Parola di Dio è chiara e la domenica è come il "luogo" in cui essa brilla quale lampada che fa luce in noi e nelle nostre comunità. Ogni domenica la Chiesa ci chiama ad ascoltare le Scritture: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro", dice Abramo al ricco dannato, e aggiunge: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi" (Lc 16, 31-32). Se non ci fosse la domenica come potremmo ascoltare insieme la Parola di Dio? E se ascoltassimo veramente la Parola che ci viene proclamata ogni domenica, quante cose cambierebbero nella nostra vita personale, nelle nostre comunità, e anche nella società! Pensiamo per un momento a che cosa sarebbe il mondo senza la "domenica", senza cioè l'ascolto comunitario del Vangelo e la celebrazione dell'Eucaristia! Siamo talmente abituati ad avere questi tesori che rischiamo di non percepire quanto essi siano indispensabili per la salvezza nostra e del mondo. Alla Chiesa è affidato il compito, come scrive san Paolo a Timoteo, di "conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo" (1 Tm 6, 14). E il comandamento, contenuto nella Parola e nell'Eucaristia, non si conserva nascondendolo sotto terra, come fece quel servo pauroso ed ignavo con il talento ricevuto dal Padrone (cfr Mt 25, 18), ma annunciando la Parola e spezzando il Pane della Vita di giorno in giorno, specialmente di domenica in domenica, fino alla fine dei tempi. La domenica è un giorno che funge da ponte tra l'avvenimento-Cristo e il suo ritorno glorioso. Nel momento culminante di ogni celebrazione eucaristica, l'assemblea proclama: "Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell'attesa della tua venuta". L'Eucaristia è la Pasqua della settimana, che attualizza quella di Gesù e ci proietta verso la Pasqua finale. Il Vangelo non offre uno schema univoco di società, ma è lievito capace di purificare, di rinnovare e di far crescere ogni cultura ed ogni società. Questo avviene per mezzo della Parola e dell'Eucaristia. La Parola offre la luce della verità, l'Eucaristia è reale presenza di Cristo che si fa cibo dei credenti. Occorrono entrambe per trasformare il mondo. Gesù Cristo è la Parola e il Pane della Vita, testimone supremo della logica dell'amore. Il suo segno distintivo è lo spezzare il pane, che richiama le sue parole: "non sono venuto per essere servito ma per servire". Coloro che scelgono di partecipare alla Messa domenicale dovrebbero essere persone che credono in questa logica e si impegnano a viverla, ma che, appunto per viverla, sanno di aver bisogno di Lui, del suo Pane, del suo "giorno". Sanno che per vivere sei giorni nel mondo del fare e dell'avere, è necessario immergersi per un settimo giorno nello Spirito dell'essere e del donarsi. Sanno di essere nel mondo ma non del mondo, e che perciò hanno bisogno di quel Pane per vivere, per essere se stessi, per pensare e agire da "battezzati", cioè da persone "immerse" in Dio, nella sua grazia e nella sua fedeltà. Il Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, ma per vivere da battezzati c'è bisogno dell'Eucaristia. Per camminare nella carità e nella luce - direbbero gli apostoli Paolo e Giovanni - bisogna mangiare il pane del cammino, cibo degli angeli, pane dei pellegrini. Per vivere nella ferialità, con le sue fatiche e le sue aridità, c'è bisogno della Domenica. Per attraversare il deserto, occorre fare delle tappe nelle oasi, dove ci sono le sorgenti d'acqua. Una parola vorrei dire infine sull'adorazione eucaristica. Voi sapete quanto questo tema dell'adorazione stia a cuore al Santo Padre. Ne fece cenno anche nel Discorso tenuto al Convegno ecclesiale di Verona, lo scorso ottobre, quando disse: "Decisivo è il nostro essere uniti a Lui, e quindi tra noi, lo stare con Lui per poter andare nel suo nome (cfr Mc 3, 13-15)", e aggiunse: "La nostra vera forza è dunque nutrirci della sua Parola e del suo Corpo, unirci alla sua offerta per noi, adorarlo presente nell'Eucaristia: prima di ogni attività e di ogni nostro programma, infatti, deve esserci l'adorazione, che ci rende davvero liberi e ci dà i criteri per il nostro agire" (L'Osservatore Romano, 20 ottobre 2006, p. 7). Come la logica dello spezzare il pane, anche quella dell'adorare è controcorrente rispetto alla cultura dominante. L'adorazione comporta fermarsi, sostare in silenzio, contemplare il mistero nascosto sotto il velo del pane, dialogare con lo sguardo e con il cuore, ringraziando il Signore Gesù semplicemente perché ha voluto rimanere con noi, e per il modo in cui è rimasto... Questa pratica dell'adorare è quanto mai formativa e, direi, terapeutica per l'uomo di oggi, reso quasi incapace di tutto ciò. Stare in ginocchio davanti al Dio fattosi carne sotto la specie del pane spezzato costituisce un "bagno di verità", un porsi nella giusta posizione rispetto al centro della realtà, cioè Cristo, affermando non con le parole ma con tutto l'essere che crediamo in Lui, che in Lui riponiamo la nostra fiducia, che lo amiamo riconoscendo quanto Egli ci abbia amati e ci ami sempre per primo. "Vivere d'amore", direbbe Santa Teresa di Gesù Bambino: questo è ciò che accade a chi trova nell'Eucaristia il centro e la forma della propria esistenza. Vivere d'amore: per intercessione di Maria Santissima, Donna eucaristica, sia così per ognuno di noi, per tutta la Chiesa, a lode e gloria di Dio e per la salvezza di tutti gli uomini. Amen.
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