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CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA
PER I PARTECIPANTI AL CONGRESSO PROMOSSO
 DALL'UNIONE CRISTIANA IMPRENDITORI DIRIGENTI (UCID)
NEL 60° ANNIVERSARIO DI ATTIVITÀ

OMELIA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE

Torino
Sabato, 6 ottobre 2007

 

Eminenze Reverendissime,
Cari fratelli e sorelle nel Signore,

con questa solenne Concelebrazione eucaristica mi unisco volentieri a ciascuno di voi, che saluto con affetto ad iniziare dal vostro Arcivescovo, il Cardinale Severino Poletto, e l'Arcivescovo di Firenze, il Cardinale Ennio Antonelli, Assistente Ecclesiastico dell'UCID, nel rendere grazie al Signore per quanto l'UCID ha compiuto nei trascorsi 60 anni di attività. Mi è soprattutto gradito rinnovare a tutti voi il saluto beneaugurate di Sua Santità Benedetto XVI, il quale si unisce spiritualmente a noi per chiedere a Dio di benedire la vostra Associazione, affinché la sua presenza nella società possa continuare a stimolare e ad imprimere impulso a un nuovo modo di fare impresa all'interno del mondo produttivo ed economico, segnato da costanti e profondi mutamenti.

La parola di Dio, che l'odierna liturgia propone alla nostra meditazione, ci aiuta ad approfondire come debba essere svolta la peculiare missione evangelizzatrice dei fedeli laici, sempre attuale in ogni contesto sociale. Anzi, restiamo quasi sorpresi nel notare quanto le letture bibliche proclamate poc'anzi vengano provvidenzialmente ad illuminare la riflessione di questi giorni concernente l'impegno dei cristiani in campo sociale ed economico. In questa XXVII domenica del tempo ordinario, il Signore ci esorta a coltivare due attitudini nella nostra vita di cristiani: avere fede in Lui ed agire come servi disinteressati nello svolgere la nostra opera nella Chiesa e nella società. Potremmo sintetizzare questi due atteggiamenti in due parole che ricorrono spesso nel nostro linguaggio: fede e servizio.

Fede, innanzitutto. Nella prima Lettura, il profeta Abacuc, che vive nell'epoca triste del tiranno Joachim, re di Giuda (600 anni a.C.), si rivolge a Dio con il cuore accorato, e si lamenta perché attorno c'è troppa ingiustizia e violenza, tante liti e contese, mentre Iddio sembra non intervenire. Egli chiede angosciato: "Perché mi fai vedere l'iniquità e resti spettatore dell'oppressione?" (Ab 1, 2). Perché tu, Dio, non intervieni e perché permetti che i violenti trionfino sui giusti? Questa drammatica richiesta del profeta Abacuc trova eco sulle labbra degli uomini di ogni tempo. La sentiamo levarsi dinanzi alle tragedie e alle ingiustizie umane, dinanzi alla sofferenza degli innocenti e alla violenza dei potenti. Si leva nel nostro cuore quando il mistero del dolore bussa alla porta delle nostre case. Dove sei, Dio, perché e fino a quando, Signore, mi lascerai solo e abbandonato? Alla richiesta del profeta, il Signore risponde con parole rassicuranti: "Ecco soccombe colui che non ha l'animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede" (Ibid. 1, 4). Agli interrogativi umani impregnati di incertezza e di angoscia solo la fede può dare una illuminante risposta.

Dice il Signore: "Il giusto vivrà per la sua fede". Iddio riassume la sua confortante risposta in queste sette parole, che possono diventare per noi una regola di vita. È la fede la forza interiore che alimenta e sostiene la nostra vita; la fede è lampada che illumina i nostri passi fra le tenebre del dubbio, del dolore e delle difficoltà. In mezzo alle ingiustizie e alle violenze, il Signore ci esorta a levare lo sguardo verso l'Alto, a fissare gli occhi verso le realtà invisibili che sono le uniche vere ed eterne. Ci insegna che la fede è fiducia totale in Colui che è capace di sostenerci anche nei momenti drammatici perché la fede alimenta in noi la certezza che è il Signore a guidare gli avvenimenti della storia sapendo trarre il bene anche dal male, scrivendo dritto pur nelle righe storte degli uomini. La fede rende pazienti e aiuta a resistere al male, ed anzi la pazienza e la perseveranza purificano la nostra fede e la rendono sempre più profonda e convinta.

Ma come abbandonarsi totalmente nelle mani di Dio? Nelle scorse domeniche abbiamo ascoltato parole dure e decise di Gesù sul pericolo di usare in modo smodato le ricchezze e sulla necessità di staccare il cuore dai beni di questa terra per fissarlo invece sulle realtà eterne del Paradiso. E questo è possibile, dice il Signore, soltanto riponendo la nostra totale fiducia in Lui. Questa è la fede. Nella pagina evangelica di questa domenica gli Apostoli riconoscono che la loro fede è però ancora debole, incerta e traballante e pertanto gli rivolgono una precisa richiesta: "Aumenta la nostra fede!" (Lc 17, 5). Lo supplicano di accrescere la loro fede perché vorrebbero seguirlo, ma sono spaventati dalle difficoltà; vorrebbero fidarsi di Lui, ma temono la loro incostanza e la loro limitatezza.

Nella domanda degli Apostoli non sono forse contenuti i dubbi e le paure che segnano l'esistenza di tutti i credenti? Chi di noi non è preso talvolta da questi interrogativi esistenziali? E Gesù li rassicura e ci rassicura: non vi preoccupate - Egli ci ripete quest'oggi -, non temete! "Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe" (Lc 17, 6). Per chi ha fede l'impossibile diventa possibile. Il gelso viene citato da Gesù perché ha radici profonde e solide, resistenti anche a venti impetuosi... eppure un "granellino" di fede può sradicarlo e trapiantarlo nel mare. La parola "fede", nella lingua semitica che Gesù usava abitualmente, indica "fermezza e certezza, sicurezza e fiducia". Più che un'idea astratta è qualcosa di assai concreto: e ben la raffigura l'immagine di un bambino che riposa tranquillo tra le braccia della madre. È proprio così: aver fede è lasciarsi abbracciare da Dio in ogni situazione. Il vangelo di oggi pone in evidenza questa fiducia in Dio che scaturisce dal credere che Egli mantiene le sue promesse perché è buono, potente e misericordioso.

Ed eccoci dunque alla seconda parola su cui vogliamo soffermarci a riflettere: il servizio. Nella parabola, che l'evangelista Luca narra quest'oggi, ci viene presentata la figura del servo umile e disinteressato. Viene come fotografata la situazione di allora, quando padroni senza scrupoli sfruttavano i lavoratori senza contratti né orari.

Il Vangelo se male inteso, rischia di turbarci perché l'attenzione di Gesù non si concentra su questi abusi a quel tempo assai diffusi; suo scopo è piuttosto focalizzare il nostro sguardo sull'attitudine del servo per offrirci un insegnamento capace di creare una nuova mentalità. Addita il servo come esempio da seguire, facendoci capire che nella comunità dei suoi discepoli non ci deve essere sfruttamento. In essa tutti, a partire dai responsabili, debbono agire animati dallo spirito di servizio disinteressato e umile.

A questo punto potremmo chiederci che cosa la parola di Dio suggerisce a voi che siete imprenditori nei settori dell'industria, del commercio e in altri campi economico-finanziari. Voi sapete bene il significato del termine utilità: è la capacità di un bene o di un servizio di soddisfare un bisogno umano. Ognuno di voi, all'interno della propria attività professionale cerca di coniugare fede e servizio secondo la logica evangelica. Nelle vostre imprese cercate di tener presenti la funzione sociale e la trasparenza; la promozione dell'uomo e del bene comune orientano le vostre scelte, e cercate di proseguire il vostro cammino contando sull'aiuto divino. Tuttavia, se ci poniamo di fronte all'enormità dei bisogni umani fondamentali insoddisfatti, ai diritti umani non ancora riconosciuti e rispettati (dal diritto alla vita, alla libertà, al lavoro dignitoso), allora con più facilità ci lasciamo mettere in questione dalle parole di Gesù: "Così voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17, 10). Cioè abbiamo fatto solo il nostro dovere.

La nostra capacità di soddisfare i bisogni umani dei nostri fratelli deve essere sempre messa alla prova; la condizione di inutilità - senza l'aiuto di Dio, infatti, soccombiamo di fronte ad ogni impresa - deve potenziare il nostro servizio facendolo diventare sempre più generoso, umile, disinteressato, ma nello stesso tempo sempre più efficace, in forza della fede in Cristo - come abbiamo visto in precedenza -; un servizio che non indugia nell'autocompiacimento, ma che resta sempre aperto alla conquista di nuovi spazi per l'applicazione della dottrina sociale della Chiesa.

San Josémaria Escrivá, un santo dei nostri tempi che ha posto in luce l'importanza per i laici di santificarsi attraverso il lavoro, diceva che la vocazione dei figli di Dio in mezzo al mondo, li spinge a percorrere tutti i cammini della terra per trasformarli in varchi aperti attraverso gli ostacoli; ad essere lievito che fa fermentare la massa (cfr È Gesù che passa, Omelie, pag. 244).

Ecco la vostra vocazione e la missione che la Chiesa vi affida. Vi aiutino a realizzarla fedelmente San Giuseppe, l'umile operaio della casa di Nazareth e Maria, Madre e Serva docile del Signore.

Amen!

 

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