IN OCCASIONE DEL 70° ANNIVERSARIO DELLA NUOVA SEDE DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE Mercoledì, 28 novembre 2007
Eminenze ed Eccellenze Reverendissime E' con particolare piacere che ho accolto l'invito del Rettore Magnifico per ritornare nell'Università del Papa in occasione del settantesimo anniversario di questa nuova Sede che veniva a sostituire, nel 1937, l'antico Istituto Apollinare, continuandone la grande tradizione. Per una felice coincidenza, si uniscono a questa celebrazione anche il quarantesimo di fondazione del Centro di Teologia per Laici della Diocesi di Roma e il trentacinquesimo dell'Istituto Superiore di Scienze Religiose "Ecclesia Mater". Saluto, anzitutto, il Gran Cancelliere dell'Università Sua Eminenza il Cardinale Camillo Ruini e lo ringrazio per le parole di benvenuto che mi ha rivolto. Un sincero ringraziamento al Rettore Magnifico S. Ecc. Mons. Rino Fisichella, che ci ha permesso di ripercorrere un breve tratto di storia, ricordando le parole inaugurali di Papa Pio XI. Un augurio a Mons. Giuseppe Lorizio, Preside dell'Ecclesia Mater perché l'Istituto che dirige possa continuare nella formazione teologica dei laici per un loro impegno sempre più efficace nella Chiesa e nella società. Ricordo, peraltro, che anch’io ho insegnato per 22 anni nel parallelo corso serale di teologia per laici, fondato dall’allora Vescovo Ausiliare di Roma, Monsignor Giovanni Canestri. In una circostanza come questa la mente si riempie di tanti ricordi personali. Non posso dimenticare, infatti, i lunghi anni di insegnamento di Diritto pubblico ecclesiastico nella facoltà di Diritto Canonico dal 1978 al 1991. Scorrono in questo momento dinanzi agli occhi i volti di tanti giovani studenti che nel corso degli anni hanno assunto diverse responsabilità nella vita ecclesiale e sociale. Posso affermare con convinzione che la frequentazione quasi quotidiana è stata per tutti noi una vera palestra di vita. La ricerca, l'insegnamento, lo studio delle scienze filosofiche, teologiche e giuridiche hanno sostenuto generazioni di giovani che con la formazione ricevuta hanno svolto il loro ministero nelle zone più disparate della terra, rendendo visibile l'unità e la cattolicità della Chiesa. Il fatto di ritrovarmi qui dopo diversi anni, incontrando di nuovo alcuni colleghi di un tempo e diversi ex-alunni, mi permette di ringraziare il Signore per questa esperienza di grazia che mi ha fatto vivere. Essa rimane impressa nella mia vita sacerdotale e accademica come un momento bello, gioioso e gratificante. Tra queste mura, inoltre, hanno trovato dimora nel corso dei secoli ex alunni e docenti che hanno segnato la storia della Chiesa. I nomi del servo di Dio Pio XII, del beato Papa Giovanni XXIII e san Josemaría Escrivá de Balaguer sono solo la punta emergente di una lunga schiera di cardinali, vescovi, sacerdoti e laici che con la loro vita hanno dato testimonianza della bellezza e della profondità della fede, mostrando come il genuino esercizio della "carità intellettuale" - per usare l'espressione del beato Antonio Rosmini - può realmente essere una via per la santità e un metodo efficace per rendere vivo il Vangelo presso i nostri contemporanei. Le generazioni di studenti cambiano per l'evolversi della storia e della cultura; il ruolo formativo che l'Università Lateranense possiede, comunque, trova la sua continuità nell'essere radicato in una tradizione viva che assicura spessore speculativo e, soprattutto, capacità di individuare con anticipo le nuove sfide che sono sul tappeto della storia. D'altronde, è ciò che ha affermato Benedetto XVI, proprio da questa stessa aula magna lo scorso anno nella sua visita inaugurale del 21 ottobre: "Nell'Università si formano le nuove generazioni, che attendono una proposta seria, impegnativa e capace di rispondere in nuovi contesti alla perenne domanda sul senso della propria esistenza. Questa attesa non dev'essere delusa. Il contesto contemporaneo sembra dare il primato a un'intelligenza artificiale che diventa sempre più succube della tecnica sperimentale e dimentica in questo modo che ogni scienza deve pur sempre salvaguardare l'uomo e promuovere la sua tensione verso il bene autentico. Sopravvalutare il "fare" oscurando l'"essere" non aiuta a ricomporre l'equilibrio fondamentale di cui ognuno ha bisogno per dare alla propria esistenza un solido fondamento e una valida finalità". La consapevolezza della formazione, quindi, si avverte con particolare urgenza in questi anni che segnano l'inevitabile mutare delle condizioni culturali, da cui derivano comportamenti spesso in netto contrasto con quanto ha segnato la vita di intere generazioni nei decenni precedenti. La memoria del passato deve essere sostegno e provocazione non solo per vivere il presente, ma soprattutto per assicurare ai nostri giovani un futuro carico di senso e di responsabilità. Senza conservazione del passato con la sua tradizione, d'altronde, non potrà mai esserci un vero futuro. Come figlio di san Giovanni Bosco, sento in prima persona l'esigenza della formazione per i giovani. Don Bosco soleva dire che la formazione deve poggiarsi su tre capisaldi: la ragione, la religione e l'amorevolezza: "Ragione e religione - ha scritto nel celebre Trattatello sul sistema preventivo - sono gli strumenti di cui deve costantemente far uso l'educatore, insegnarli, egli stesso praticarli se vuol essere ubbidito ed ottenere il suo fine". Con il sistema preventivo, spiegava don Bosco, l'educatore "rende amico l'allievo (...) in modo che potrà parlare col linguaggio del cuore sia in tempo dell'educazione, sia dopo di essa (...) ovunque vadano questi allievi per lo più sono la consolazione della famiglia, utili cittadini e buoni cristiani". In un'espressione così semplice si nasconde tanta sapienza e lungimiranza; egli ha saputo tenere insieme fede, ragione e amore come strumento concreto del cambiamento e come base di ogni vera pedagogia. Pensando agli studenti che frequentano l'università del Papa, corre quasi l'obbligo di fissare più direttamente la nostra attenzione sull'insegnamento che Benedetto XVI in questi anni ha dedicato a voi giovani in modo particolare. Nel suo primo saluto alla ventesima Giornata mondiale della gioventù a Colonia il 18 agosto del 2005, il Papa vi esortava a "Mettervi in cammino". È questa un'icona importante perché permette di cogliere il senso della vita. Per sua stessa natura l'uomo è in cammino: homo viator, come lo definiva il filosofo Gabriel Marcel. Un cammino, suggerisce il Papa, che deve seguire la stella che indica la meta da raggiungere; questa cometa, presto o tardi, dovrà fermarsi alla grotta di Betlemme. Là si scopre finalmente la presenza di Dio nella nostra storia e nella nostra vita personale. Il mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio, infatti, è il vero centro della nostra fede. Quanta differenza si coglie tra colui che cammina e chi, invece, è un errante. Questi non sa dove andare mentre il cammino deve sempre avere una meta. Conosciamo tanti giovani, purtroppo, che oggi sono degli erranti; sciupano gli anni più belli della loro esistenza, rincorrendo illusioni effimere che non potranno mai dare consistenza alla formazione di una personalità matura. Benedetto XVI, al contrario, provoca a diventare protagonisti della propria vita mediante gesti di genuina libertà. Come non ricordare, in questo frangente, le parole pronnunciate dal Papa - il 18 agosto 2005 - nel discorso di accoglienza presso la Banchina del Poller Rheinwiesen: "Spalancate il vostro cuore a Dio, lasciatevi sorprendere da Cristo! Concedetegli il "diritto di parlarvi". Aprite le porte della vostra libertà al suo amore misericordioso". È davvero bello pensare che Cristo ha un diritto inalienabile di parlare a ciascuno di voi, di venirvi incontro e di sollecitare da ognuno la libera risposta di fede. Per alcuni versi siamo tutti contemporanei di Gesù di Nazaret; egli passa ancora per le nostre strade, visita le nostre città e chiede di potersi fermare a casa nostra. Tutto dipende dalla nostra disponibilità a cogliere la sua presenza e nell'udire la sua voce. Se il frastuono e la frenesia si impossessano di noi, diventa difficile poter scorgere la sua vicinanza e il rischio più grande è quello di svuotarsi e non avere più contenuti che danno spessore alla nostra vita. Non possiamo dimenticare, in questo frangente, quanto Benedetto XVI diceva sulla spianata di Marienfeld a Colonia, ricordandovi un impegno profondo nella fede per far crollare quel senso di frustrazione che spesso avvolge come una spirale la vita conducendola sull'orlo del precipizio. Questo impegno richiede la gioia della scoperta del volto di Cristo. Così si esprimeva il Papa nell'omelia pronunciata a Marienfeld il 21 agosto 2005: "Non di rado la religione diventa quasi un prodotto di consumo. Si sceglie quello che piace e alcuni sanno anche trarne profitto. Ma la religione cercata alla maniera del "fai da te" alla fine non ci aiuta. È comoda, ma nell'ora della crisi ci abbandona a noi stessi. Aiutate gli uomini a scoprire la vera stella che ci indica la strada: Gesù Cristo. Cerchiamo noi stessi di conoscerlo sempre meglio per poter in modo convincente guidare anche gli altri verso di lui". Nella "sua" università queste parole non possono che acquistare un significato del tutto particolare. Conoscere Cristo in "modo convincente" richiede nello stesso tempo la fatica dello studio e la passione per i suoi contenuti. Voi per primi avete la responsabilità di conoscere la persona di Gesù Cristo per poter diventare presso i vostri coetanei testimoni convincenti di aver trovato il senso della vita. Potrebbe apparire fuorviante la richiesta di trovare Cristo con lo studio piuttosto che con l'esperienza e la preghiera. Eppure, nessuno di noi può dimenticare che la fede ha una sua logica e questa impone le sue regole. Come è decisiva la testimonianza coerente e necessaria la preghiera così è determinante la conoscenza. Se non si conosce la persona di Gesù Cristo, diventa difficile poterlo amare; se il suo insegnamento non rimane vivo come si può pensare di vivere da suoi discepoli? Il tempo dell'università, mentre aiuta ad entrare nei meandri delle diverse scienze, contemporaneamente abilita a un approfondimento cosciente di quanto crediamo. Ciò permette di vivere nel mondo da persone libere. Per esercitare la libertà, comunque, è necessario permanere con lo stupore e la meraviglia di chi scopre sempre nuovi orizzonti da indagare perché è affascinato dal mistero. Senza mezzi termini, Benedetto XVI vi invita a seguire questa strada ponendovi quelle domande che consentono di compiere gesti di vera libertà, anche a costo di sacrifici e di rinunce. "Dove trovo - ha detto il Papa il 18 agosto 2005 - i criteri per la mia vita, dove i criteri per collaborare in modo responsabile all'edificazione del presente e del futuro del nostro mondo? Di chi posso fidarmi? A chi affidarmi? Dov'è Colui che può offrirmi la risposta appagante per le attese del cuore?". Queste domande, per nulla ovvie o retoriche, fanno comprendere che il cammino dura tutta la vita. Esso, tuttavia, deve essere indirizzato verso chi ha davvero la risposta coerente e può portare oltre le contraddizioni che albergano in ognuno di noi. Il Papa, comunque, aggiunge un'altra tessera al mosaico che sta componendo sulla proposta per la gioventù. Nella sua omelia per l'Agorà dei Giovani a Loreto, lo scorso 2 settembre, pronunciava una parola fuori moda, eppure mai così attuale e provocatoria: umiltà. Per essere veramente liberi, è necessario saper incarnare l'umiltà. Diceva così il Papa: "Non seguite la via dell'orgoglio, bensì quella dell'umiltà. Andate controcorrente: non ascoltate le voci interessate e suadenti che oggi da molte parti propagandano modelli di vita improntati all'arroganza e alla violenza, alla prepotenza e al successo ad ogni costo, all'apparire e all'avere a scapito dell'essere (...) Siate vigilanti! Siate critici! Non andate dietro all'onda prodotta da questa potente azione di persuasione. Non abbiate paura di preferire le vie "alternative" indicate dall'amore vero: uno stile di vita sobrio e solidale; relazioni affettive sincere e pure; un impegno onesto nello studio e nel lavoro; l'interesse profondo per il bene comune. Non abbiate paura di apparire diversi e di venire criticati per ciò che può sembrare perdente e fuori moda (...) Quella dell'umiltà non è la via della rinuncia, ma del coraggio. Non è l'esito di una sconfitta ma il risultato di una vittoria dell'amore sull'egoismo". Dobbiamo riconoscerlo. Sono parole davvero forti, cariche di un contenuto che oggi difficilmente viene riconosciuto come valido; eppure, ognuno le sente come parole che penetrano nell'intimo, che scuotono e di cui si percepisce la verità, perché sono pronunciate da un testimone che le vive in prima persona. Soprattutto dei giovani universitari come voi dovrebbero sentire l'invito ad essere vigili e critici. La "vigilanza" permette di rimanere sempre attenti allo svolgersi degli eventi; la "critica", da parte sua, obbliga alla riflessione e al ragionamento. Per riprendere un'immagine cara a Papa Giovanni Paolo II, siete chiamati a vivere come le "sentinelle del mattino"; pronti, quindi, a vedere ogni movimento e abili nel saper verificarne l'orientamento. La "vigilanza" della sentinella non si lascia sedurre dalla voce delle sirene, ma sa andare oltre per la forza della volontà. Come ben sappiamo, la "critica" è il frutto di una ragione che pensa e che pone domande per raggiungere la verità. Nessuno si lasci sedurre da teorie deboli che vogliono imporre la sfiducia nel raggiungimento della verità e attraverso un sottile ma prepotente relativismo, inducono a pensare che la verità non esiste. La verità, invece, non solo esiste, ma ne abbiamo bisogno. Certo, in primo luogo non si parla di una verità astratta, ma di quella che tocca la propria esistenza e che viene percepita come determinante per poter vivere in maniera coerente e degna. L'università non è forse il luogo privilegiato per crescere nella conoscenza e per tracciare i sentieri che conducono progressivamente a cogliere la bellezza della verità? Nelle diverse facoltà e nelle discipline che studiate avrete sempre la possibilità di crescere nella vigilanza e nella coscienza critica. Provocate i vostri docenti con le domande che essi stessi vi suscitano e non abbiate timore di impegnare il vostro tempo nello studio e nella ricerca. Questo per voi è il tempo della semina. Certo, vi costa fatica perché i frutti non sono immediati. Dovete crescere con la certezza che quanto acquisite tra queste mura vi sarà utile nel prossimo futuro, quando vi immetterete nel ministero sacerdotale o nella vita professionale. Il richiamo di Papa Benedetto all'umiltà, quindi, ha la sua forza espressiva proprio in questo contesto. È tipico della persona matura, d'altronde, riconoscere che ci sono momenti in cui si deve rimanere nel silenzio per apprendere e altri in cui si deve divenire maestri con la propria testimonianza. L'umiltà, che i decenni passati hanno voluto porre in corner come se si trattasse di qualcosa di irrazionale, è invece la condizione favorevole per esprimere la vera libertà. Essa permette di cogliere il senso reale delle cose, perché le colloca nel loro giusto spazio; una persona umile non potrebbe mai assolutizzare nulla, perché sperimenta il limite e la contraddizione. Tutto ciò che essa porta, invece, è il giusto senso delle cose, per questo si nutre di saggezza e conduce alla pienezza della verità. È in questo senso che siamo chiamati tutti, ma soprattutto voi giovani, a fare nostro il ripetuto invito del Papa a tenere fisso lo sguardo sulla verità. La scoperta scientifica, di cui oggi sentiamo in larga misura la presenza, e la tecnologia che investe con non poca prepotenza i diversi campi della vita personale e sociale, non possono pretendere di dire l'ultima parola sulla felicità dell'uomo. C'è qualcosa che va oltre e che consente di raggiungere spazi importanti per approdare al senso della vita. Le varie ipotesi scientifiche possono affascinare e certamente possono creare progresso se coniugate con i principi etici; eppure, ognuno di noi scopre che questo non basta. Nella vita, per poter essere felici si deve raggiungere la verità che sentiamo come la più importante e questa è quella dell'amore. Nella sua prima enciclica, Benedetto XVI ha dato largo spazio a questo tema. La distinzione importante che ha posto tra eros e agape mostra con tutta la sua forza argomentativa quanto il vero amore richieda un cambio di prospettiva e di mentalità. È necessario, infatti, superare la fase dell'egoismo per diventare capaci di donare se stessi per sempre, senza nulla chiedere in cambio. L'importanza di questo insegnamento diventa sempre più evidente quanto più emergono diverse forme che ne contraddicono la realtà. Risuonano con forza le parole dell'enciclica quando non ha timore di affrontare l'oscuramento di una cultura che non è più in sintonia con la genuina visione dell'amore: "Il modo di glorificare il corpo, a cui oggi assistiamo, è ingannevole. L'eros degradato a puro sesso diventa merce, una semplice cosa che si può comprare e vendere. L'eros diventa merce, ed anzi l'uomo stesso diventa merce (...) L'apparente glorificazione del corpo può ben presto convertirsi in odio verso la corporeità". Se si vive di questa dimensione, presto o tardi subentra la delusione, l'amarezza e l'odio prendono il posto del rispetto e dell'amore. Una cultura che intende crescere nella sfera della corretta relazionalità tra le persone, invece, ha bisogno di ritrovare un senso più profondo dell'amore imprimendo stili di vita che ne permettono il vero riconoscimento. Proprio così afferma Benedetto XVI nella Deus caritas est: "L'amore non è soltanto un sentimento. I sentimenti vanno e vengono. Il sentimento può essere una meravigliosa scintilla iniziale, ma non è la totalità dell'amore (...) È proprio della maturità dell'amore coinvolgere tutte le potenzialità dell'uomo ed includere, per così dire, l'uomo nella sua interezza. L'incontro con le manifestazioni visibili dell'amore di Dio può suscitare in noi il sentimento della gioia, che nasce dall'esperienza dell'essere amati. Ma tale incontro chiama in causa anche la nostra volontà e il nostro intelletto. Il riconoscimento del Dio vivente è una via verso l'amore, e il sì della nostra volontà alla sua unisce intelletto, volontà e sentimento nell'atto totalizzante dell'amore. Questo però è un processo che rimane continuamente in cammino: l'amore non è mai "concluso" e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso". Come si può osservare, ritorna il tema del "cammino", con cui abbiamo iniziato e che mostra l'importanza della crescita costante verso cui siamo indirizzati e che dura tutta la vita. C'è un ultimo aspetto che ritrovo importante nelle catechesi che il Pontefice ha rivolto ai giovani in diverse circostanze. Riguarda il contributo che siede chiamati a dare nella costruzione della società. Il Papa lo ha detto esplicitamente nel corso dell'omelia alla Piana di Montorso il 2 settembre scorso: "Seguire Cristo, cari giovani, comporta lo sforzo costante di dare il proprio contributo all'edificazione di una società più giusta e solidale, dove tutti possono godere dei beni della terra. So che molti di voi si dedicano con generosità a testimoniare la propria fede nei vari ambiti sociali, operando nel volontariato, lavorando alla promozione del bene comune, della pace e della giustizia in ogni comunità". Nel contesto particolare in cui ci troviamo, queste parole hanno un valore programmatico. Si diceva giustamente un tempo: Non scholae sed vitae discimus. Quanto viene qui appreso serve per la vita. Molti di voi si ritroveranno nel ministero sacerdotale e il compito di costruire la società sarà in modo particolare quello di dare il senso di Dio all'uomo di oggi e di permettere l'incontro reale con Lui. Nel suo Gesù di Nazaret, Benedetto XVI ha dato l'impulso per comunicare con un linguaggio nuovo e scientificamente fondato i tratti fondamentali della storia di Gesù Cristo e ha mostrato come la storia stessa acquista un significato diverso nel momento in cui accoglie in sé la persona del Figlio di Dio. Il Papa, comunque, vi dà l'esempio di come sia importante raggiungere chiunque senza escludere nessuno. La Chiesa vive di questa missione universale e quanti sono chiamati a servirla nel sacerdozio e nella vita consacrata devono prepararsi a incontrare tutti, diventando per ognuno lo strumento efficace della grazia. Molti altri studenti saranno impegnati nella vita professionale come laici che devono corrispondere alla loro propria vocazione laicale. Voi sapete che il mondo in tutte le sue articolazioni ha bisogno della vostra testimonianza e della vostra opera specifica che solo voi potete offrire. Sono convinto che studiare qui, nell'università del Papa, vi permetterà di contribuire non poco con la vostra competenza e professionalità all'evangelizzazione del mondo. Come scriveva l'antico autore della Lettera a Diogneto: "Il Signore ha posto i cristiani nel mondo e non è loro lecito abbandonarlo". Serve, pertanto, un "sì" deciso da parte vostra per affrontare con entusiasmo e coraggio il futuro e le sfide che esso riserverà. Carissimi giovani, non deludete il Papa! Vi posso assicurare che confida molto in voi e si aspetta da voi una rinnovata presenza nel mondo, soprattutto tra i vostri coetanei che hanno bisogno di toccare con mano la gioia e la bellezza di credere in Gesù Cristo il Figlio di Dio fatto uomo per la nostra salvezza.
|
|