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OMELIA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE
IN OCCASIONE DEL MEETING ORGANIZZATO
DALLA PIA UNIONE DEL TRANSITO DI SAN GIUSEPPE, GUANELLIANI

Sabato, 26 gennaio 2008

 

Cari fratelli e sorelle!

“L’arte di accompagnare all’incontro con la morte”. Ho riflettuto a lungo su queste parole: esse formano il tema del vostro meeting organizzato dalla Pia Unione del Transito di San Giuseppe, che praticamente si conclude con questa concelebrazione. La morte è una realtà che tocca tutti gli uomini senza alcuna eccezione, e alla quale però si è poco portati a pensare. Scrive Francesco Petrarca: “Alla morte in un punto si arriva o con le brune o con le bianche chiome” (Canzoniere, II). Talvolta si vive come se non si dovesse mai morire! Osserva argutamente Pascal: “Gli uomini non avendo nessun rimedio contro la morte, hanno stabilito per essere felici di non pensarci mai” (Pensées, 168). Specialmente oggi, in questa nostra società si cerca in tanti modi di esorcizzarla, e invece dobbiamo imparare a guardarla con serenità, dobbiamo soprattutto prepararci ad incontrarla. Iniziative come la vostra hanno il pregio di offrire utili spunti per meditare sul senso e sull’ineluttabilità della morte; al tempo stesso, indicano come preparare noi stessi e in che modo accompagnare i nostri cari a quest’incontro ben sapendo, come è stato scritto, che “la lunga abitudine del vivere non ci allena a morire”.

“L’arte di accompagnare all’incontro con la morte” risulta allora essere un prezioso servizio di carità, un servizio pastorale di enorme importanza perché spesso, troppo spesso, nel momento finale della vita ci si ritrova soli, e quanti circondano il morente fanno fatica a trovare parole e modi adatti per accettare questo doloroso evento e per sostenere chi si accinge a compiere il misterioso passaggio verso l’eternità. Ritengo pertanto che siano provvidenziali iniziative ed incontri come il vostro meeting, che si inserisce nell’attività meritoria che svolge la Pia Unione del Transito di San Giuseppe. Vi ringrazio per questo singolare apostolato, mentre saluto con affetto tutti voi qui presenti. In primo luogo saluto con deferenza don Alfonso Crippa, Superiore Generale dei Servi della Carità, don Mario Carrera, Direttore della Pia Unione nata dal cuore del Beato Luigi Guanella e i suoi collaboratori insieme alla folta schiera degli iscritti alla Pia Unione. Mi è soprattutto gradito trasmettere il saluto benedicente di Sua Santità Benedetto XVI a voi, cari fratelli e sorelle, e in special modo ai cari Guanelliani che celebrano il centenario di fondazione della congregazione. Qui, a Roma, come in altre parti dell’Italia e del mondo, essi svolgono un apprezzato e generoso apostolato di carità a beneficio di tanti poveri e sofferenti.

Vediamo ora come le Letture bibliche dell’odierna liturgia della Terza Domenica del Tempo Ordinario presentano un insegnamento che illumina i temi trattati nei due giorni del vostro meeting. Il brano evangelico ci riporta agli inizi pieni di luce e di gioia del ministero pubblico di Gesù, che avviene a Cafarnao, “nel territorio di Zabulon e di Neftali”, in quella “Galilea delle genti” di cui parla Isaia nella prima Lettura. Proprio in quella terra di frontiera, dove coabitavano ebrei e pagani, dove viveva una popolazione formata in gran parte da stranieri, poveri ed emarginati, il Messia compie il primo annuncio evangelico proclamando: “Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino” (Mt. 4,17). L’invito alla conversione, più che essere un richiamo di tipo morale, risuona come annuncio di liberazione e di gioia. E’ una buona notizia: convertitevi – dice Gesù – perchè il regno (e ben comprendevano il senso di questa sua proclamazione coloro che lo ascoltavano) è vicino, anzi il verbo greco engiken significa “è arrivato, si è avvicinato”. La buona notizia è Lui, il Cristo che si proclamerà luce che scaccia le tenebre, vita che sconfigge la morte. Si compie dunque in Cristo l’antica profezia che Egli stesso ha appena citato: “Il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce; su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte una luce si è levata” (Mt 4, 15-16). Parole di speranza e di consolazione per il popolo ebreo e per quanti erano oppressi e deportati; parole che risuonano di grande consolazione anche per noi che, come amavano affermare i cristiani della prima generazione, siamo cittadini del cielo e pellegrini sulla terra.

Tutti sappiamo che tappa conclusiva di questo nostro pellegrinaggio è la morte, dinanzi alla quale è difficile non sentirsi impotenti e in preda allo scoraggiamento. La certezza della morte, che talvolta pare l’unica certezza, ci provoca ad interrogarci sul senso della vita e sul futuro che ci attende. Come superare dunque lo scoglio drammatico della paura della morte? Questo infatti suscita spesso un senso di abbattimento profondo, talora persino di disperazione: si brancola nelle tenebre, si invoca una luce che accenda la speranza. Cogliamo anche nel testo evangelico odierno una risposta a questa domanda esistenziale: l’evangelista Matteo ci dice che, con il suo ministero pubblico, iniziato nella terra un tempo coperta dalle tenebre dell’oppressione e della sofferenza, Gesù è venuto a portare la luce. Anzi, in seguito Gesù affermerà con decisione di essere Lui stesso la luce: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv.8,12). Gesù è la luce che ha vinto le tenebre del peccato e della morte e “morendo ha dato la vita al mondo”, come il sacerdote ripete ogni volta nella celebrazione eucaristica prima della Comunione. Cristo ha conosciuto il travaglio della sofferenza, anche Lui è morto, ma con la sua resurrezione ha sconfitto per sempre il potere della morte. E’ questa la certezza che deve sempre abitare il nostro cuore, la “grande luce” che possiamo vedere pur essendo immersi nelle tenebre dell’esperienza umana, mentre dimoriamo “in terra e ombra di morte”.

Sorge a questo punto spontanea dal nostro cuore l’invocazione che abbiamo ripetuto al Salmo responsoriale: “Il Signore è mia luce e mia salvezza”. Se Gesù Cristo è luce vera che illumina la nostra esistenza, noi non siamo più abbandonati al fluttuare degli eventi, ma siamo inseriti, per il Battesimo, in una nuova realtà, nella vita che è già eterna. La morte allora, pur continuando ad essere un “enigma”, non può più causarci smarrimento, o peggio un senso di terrore. Sappiamo che Gesù è la nostra salvezza, e possiamo confidare in Lui nella misura in cui lo accogliamo nella nostra vita e ci sforziamo di seguirlo fedelmente. Gesù diventa la nostra speranza “affidabile” – come afferma Papa Benedetto XVI nella sua recente Enciclica Spe salvi, – in virtù della quale possiamo affrontare anche “un presente faticoso”(cfr n.1), e non lasciarci spaventare dall’incognita pur dolorosa del morire.

Alla morte occorre tuttavia prepararsi. E’ quanto avete sottolineato nel vostro meeting, ed è ciò che quotidianamente invita a fare, con il suo apostolato di preghiera e di conforto, la Pia Unione fondata dal beato Guanella e da lui affidata alla speciale protezione di san Giuseppe. Suo scopo è infatti: “ottenere, per l’intercessione di San Giuseppe, Patrono dei Moribondi, la grazia di una santa morte agli agonizzanti di tutto il mondo, introducendo la pietosa usanza di correre in soccorso ai morenti”. Non posso non sottolineare come un apostolo della carità, quale è stato il beato Luigi Guanella, sempre attento alle necessità dei bisognosi, abbia avvertito quale urgenza di carità il soccorso da dare ai morenti e la preghiera per ottenere agli agonizzanti “la grazia di una santa morte”. Un atto di carità che è al tempo stesso materiale e spirituale: mentre da una parte si sostiene il morente ci si preoccupa della salvezza eterna della sua anima. Fu proprio a partire da tale consapevolezza che don Guanella lanciò un “crociata” di assistenza spirituale e materiale a chi muore ispirandosi al pio transito di San Giuseppe, che, nelle tele di tante chiese, viene rappresentato sul letto di morte con accanto il figlio Gesù e la sposa Maria.

Fino ad alcuni anni or sono era abbastanza normale che vicino a chi moriva, oltre alla presenza di parenti e amici, ci fosse un sacerdote. A nome della comunità cristiana, egli accompagnava il morente negli ultimi istanti con la preghiera e l’amministrazione dei Sacramenti. Oggi il fenomeno dilagante della secolarizzazione ha notevolmente modificato il quadro culturale e religioso, di conseguenza anche i riti del morire, sia in ospedale come in casa, sono cambiati. Ma la persona che affronta il difficile passaggio dalla vita alla morte resta sempre la stessa, bisognosa di sostegno e di conforto. Occorre allora che, al suo fianco, ci siano persone capaci di aiutarla in questa fase ultima e più delicata del suo cammino terreno. E’ importante per tutti accomiatarsi da questo mondo riconciliati e sereni, dicendo addio ai propri cari e pronti ad accettare con fiduciosa rassegnazione l’istante del morire.

Il mistero della morte ci riporta naturalmente al Cristo sul Calvario e alla commovente scena della deposizione del Signore dalla croce: la Madre tiene tra le sua braccia il Figlio morto. Pensiamo a quante espressioni artistiche ha ricevuto questo momento culminante della vicenda terrena di Gesù! In qualunque chiesa, in ogni luogo cristiano troviamo il Crocifisso. Chiunque entra nella Basilica Vaticana sosta commosso ed orante dinanzi ad una delle più celebri rappresentazioni della deposizione di Cristo morto, la “Pietà” di Michelangelo. Fermiamoci a contemplare nel Crocifisso e nella Pietà il mistero della morte e del dolore per la morte. Sentiamo risuonare nel cuore le ultime parole di Gesù morente: “Tutto è compiuto”, che stanno ad indicare come la morte sia stato il compimento della missione di salvezza che il Padre gli aveva affidato. Anche per noi, cari fratelli e sorelle, giungerà il momento, quando il Signore vorrà, in cui dovremo pronunciare il nostro “consummatum est”. Ci conceda Iddio di poter dire anche noi, in quel momento “tremendo e glorioso”, “tutto è compiuto”, abbiamo cioè portato a termine il compito che la Provvidenza divina ci ha affidato. Perchè ciò avvenga dobbiamo vivere protesi verso la vita che non muore, coltivando la speranza dell’eternità, e aderendo a quanto la fede ci propone circa le verità ultime: la vita dopo la morte, il giudizio finale, il paradiso e l’inferno, la risurrezione dei morti. Non va dato purtroppo per scontato che tutti i cristiani professino, e, ancor più vivano, queste verità di fede! La caduta del senso religioso e l’indebolimento della fede sono legati anche al fatto che l’idea stessa di morte è sempre più rimossa e tenuta lontana dalla propria consapevolezza. Occorre invece familiarizzare con il pensiero concreto della propria morte per poter interrogarsi su come sarà la vita dopo di essa e sulla risurrezione che ci attende.

Concludiamo fissando lo sguardo sul Crocifisso, sulla “Pietà”, e ancor più sulla rappresentazione del pio transito di san Giuseppe, che vediamo in questa bella e grande chiesa. Ha scritto Giovanni Paolo II: “Coloro che nell’ultima tappa della vita si sentono sostenuti da persone sinceramente credenti possono più facilmente confidare che Cristo li attenda veramente nella nuova vita dopo la morte” (Cfr Enc. Evangelium vitae, 67). E inoltre ricordiamo le magnifiche parole scritte da Paolo VI nel suo Testamento: «Sento che la Chiesa mi circonda: o santa Chiesa, una e cattolica ed apostolica, ricevi col mio benedicente saluto il mio supremo atto d’amore» (30.6.1965).

Cari fratelli e sorelle, il credente non è certo un “artista” del morire, ma come accoglie la vita dalle mani di Dio, si prepara a morire con la stessa fiduciosa speranza in Colui che per amore gli ha donato di vivere. D’altra parte, l’agonia è una lezione di vita feconda per chi accompagna il morente, soprattutto se si tratta di una persona cara, anzi, è un momento privilegiato di riflessione, di preghiera e di profonda solidarietà. Per intercessione della Madonna e di san Giuseppe, ci conceda il Signore di essere annunciatori e testimoni fedeli del “vangelo della vita”. Ci aiuti a difendere ed amare la vita sempre, fino all’ultimo suo respiro; ci aiuti ad accogliere la morte con serenità e fiducia; ci aiuti ad accompagnare quanti il Signore porrà sul nostro cammino nel loro passaggio alla vita eterna. Amen!

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