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OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE
IN OCCASIONE DEL 50° ANNIVERSARIO
DELLA DICHIARAZIONE DI SANTA CHIARA D'ASSISI
PATRONA DELLA TELEVISIONE

Assisi
Domenica, 17 febbraio 2008

 

Eccellenze Reverendissime,
illustri Autorità,
cari fratelli e sorelle!

«Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17,5). La pagina evangelica che l’odierna liturgia offre alla nostra meditazione ci conduce “su un alto monte” e ci fa assistere alla Trasfigurazione di Cristo. Questo evento così straordinario, che occupa un posto centrale nei Vangeli, costituisce il momento della grande svolta del ministero di Gesù, e perciò esso è stato inserito nell’itinerario delle domeniche di Quaresima, dopo quello delle tentazioni nel deserto. Per comprendere appieno il significato della Trasfigurazione – particolarmente approfondito dai Padri della tradizione orientale – dobbiamo considerare quanto è avvenuto prima e san Matteo narra nel capitolo sedicesimo del suo Vangelo. A Cesarea di Filippo Gesù aveva rivolto ai discepoli questa domanda: «La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Alla loro risposta – «alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti» – il Signore aveva aggiunto: «Voi chi dite che io sia?». Ed è a questo punto che Simone Pietro pronuncia la solenne professione di fede: «Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente». E di rimando a lui Gesù: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa». L’Evangelista sottolinea che “da allora” il Signore cominciò a parlare “apertamente” della sua passione, indicando le ben note condizioni per porsi alla sua sequela: rinnegare se stessi, prendere la propria croce e poi seguirlo docilmente. Con il misterioso episodio della Trasfigurazione, il Messia vuole preparare i discepoli all’avvenimento-chiave di tutta la sua missione, e cioè alla sua morte e risurrezione. L’oscurità della passione viene come evocata per contrasto dalla luce gloriosa della Trasfigurazione. Questo avviene anche per noi oggi, in modo che possiamo comprendere il senso vero e profondo della Pasqua verso cui siamo incamminati durante la Quaresima.

Nell’episodio evangelico che stiamo contemplando ci sono due segni che preannunciano la Pasqua e che vorrei sottolineare: la voce dall’alto che proclama «Questi è il mio Figlio prediletto», e la luce che avvolge l’intera scena, ben raffigurata dal celebre dipinto di Raffaello conservato nella Pinacoteca dei Musei Vaticani. Benché sia collocata successivamente, vorrei esaminare innanzitutto la voce divina. Ci sono tre momenti nella vita pubblica di Gesù in cui sentiamo risuonare la parola profetica «Questi è il mio Figlio prediletto». Pensiamo in primo luogo alla scena del Battesimo di Gesù al Giordano, proprio all’inizio del suo ministero pubblico; il secondo momento, circa a metà della sua missione di predicatore itinerante, è quello che oggi è sotto i nostri occhi, sull’alto monte, che per molti commentatori è il Monte Tabor, dove una bella basilica rievoca questa sorprendente pagina evangelica. E poi, alla fine della sua esistenza terrena, nell’ora tragica della morte, a pronunciare queste parole in cui è contenuto il vero segreto di Gesù saranno il centurione romano e le altre guardie, i quali, «visto quel che succedeva – scrive ancora san Matteo – furono presi da grande timore e dicevano: Davvero costui era Figlio di Dio» (cfr Mt 27,54).

Il secondo segno è la luce sfolgorante che brilla nella scena della Trasfigurazione ed avvolge Gesù e i suoi tre discepoli. Molto significativamente il testo greco utilizza la parola “metamorfosi”: ciò pone in evidenza che la Trasfigurazione del Signore rivela che anche noi, suoi discepoli, siamo destinati ad essere “figli della luce”. La Trasfigurazione quindi diventa il segno dell’azione della grazia di Dio, grazia che, se accolta con umile docilità, trasforma, trasfigura la nostra umana fragilità e la nostra debolezza spirituale. Potremmo allora dire, come è stato giustamente osservato, che la voce ci orienta a Cristo, mentre la luce ci trasforma in Lui; la voce è la Sacra Scrittura, mediante la quale Dio continua a parlare nella nostra storia e all’interno della Chiesa. La luce è la grazia che agisce in noi e nel mondo attraverso la fede e i Sacramenti, segni e strumenti efficaci della salvezza. La voce ci indica la strada che dobbiamo percorrere, la luce ci introduce già nella vita eterna e illumina ogni nostra scelta con l’amore infinito di Dio. In sintesi, dunque, la voce è la Verità, la luce è l’Amore. Ritorna in mente, a questo proposito, l’esperienza che l’apostolo Pietro, il quale aveva proclamato la professione di fede nel Cristo, scriverà nella sua seconda Lettera: «Questa voce – egli afferma – noi l’abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte. E così – osserva l’Apostolo – abbiamo conferma migliore della parola dei profeti» (2 Pt 1,18-19).

Nel giorno in cui la liturgia ci invita a contemplare la scena evangelica della Trasfigurazione, noi ci troviamo riuniti per una circostanza davvero singolare: la ricorrenza di un evento che concerne il mondo sofisticato e pervasivo della comunicazione. Ricorre infatti in questi giorni il 50° anniversario della proclamazione di Santa Chiara d’Assisi quale “patrona della televisione”. Sono lieto in questa lieta circostanza di salutare tutti voi qui presenti. In primo luogo saluto il Vescovo di Assisi - Nocera Umbra - Gualdo Tadino, Mons. Domenico Sorrentino, e lo ringrazio per il suo cortese invito a presiedere questa celebrazione. Saluto anche S.E. Mons. Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Un saluto cordiale alle Autorità di questa vostra Città, centro di spiritualità noto in tutto il mondo. Un saluto ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose e a quanti hanno voluto prendere parte a questa Santa Messa. Un pensiero speciale va a quanti rappresentano, a vario titolo, il mondo della televisione e, più in generale, della comunicazione sociale, che riveste nella nostra epoca un’importanza sempre maggiore. Quanta influenza eserciti di fatto la televisione sulla pubblica opinione è noto a tutti. Se ne parla spesso e vale la pena si fermarsi a riflettere sul valore positivo che questo moderno strumento riveste per l’informazione, la formazione e l’evangelizzazione. Al tempo stesso, occorre tener conto anche delle potenzialità negative, degli influssi deleteri che il mezzo televisivo può esercitare quando, appunto, da “mezzo” diventa “padrone”.

Non ci si stancherà mai di ripetere che la televisione, ed ogni altro mezzo di comunicazione, non vanno considerati a priori in modo negativo, come talora si fa con superficialità. Si tratta indubbiamente di un potenziale enorme posto nelle mani dell’uomo, i cui effetti dipendono proprio da come viene impiegato. E’ perciò necessaria, come viene spesso affermato, un’educazione al comunicare e al corretto uso degli strumenti di comunicazione sociale, tenendo presente che un autentico processo comunicativo comporta un duplice movimento: dare e ricevere, ascoltare e rispondere, trasmettere e recepire, e pertanto mai può essere ridotto a una sola dimensione. In particolare, e questo mi sta a cuore sottolineare nella presente circostanza, occorre un’adeguata preparazione per poter comunicare il Vangelo nella nostra cosiddetta civiltà dell’immagine. La Chiesa sa bene che nell’epoca attuale sono necessari apostoli e missionari di Cristo che sappiano utilizzare il linguaggio dei moderni mass media senza però mai intaccare il contenuto intramontabile del Vangelo. Per portare a compimento un tale difficile compito occorre senz’altro competenza professionale e tecnica; ma si richiede anzitutto una vita interiore intensa, uno spirito di contemplazione: i grandi missionari, i predicatori che giungono al cuore della gente sono infatti persone che vivono in profonda unione con Dio. Forse proprio per questo 50 anni or sono, il 14 febbraio 1958, con la Lettera Apostolica Clarius explendescit, il Servo di Dio Papa Pio XII dichiarò Santa Chiara d’Assisi Patrona della nascente televisione. Con questa motivazione: «Nocte quadam natalis Servatoris Iesu Christi Asisii, cum aegrotans in suo coenobio super lectum decumberet, pios concentus, qui in Franciscali templo inter sacros ritus edebantur, audivit quasi praesens adesset, ac praesepe Divini Parvuli vidit» (Ivi: AAS L [1958], 513). Un’esperienza di “tele-visione” mistica, che però non può essere staccata dall’insieme della vita e della figura della prima discepola di Francesco.

Anzitutto il nome stesso, Chiara, evoca luminosità, trasparenza, limpidezza. Da lei i credenti possono imparare a guardare la realtà con gli occhi di Dio e a comunicarla con il cuore di Dio. Anche la comunicazione televisiva può diventare, a queste condizioni, un areopago formidabile di evangelizzazione: chi si accosta al televisore ed ai suoi succedanei contemporanei, ammira un mondo più vasto e complesso di quello in cui vive abitualmente. In effetti, ciò che viene comunicato attraverso la televisione, come pure nel cinema e in internet, veicola un insieme di progetti di vita e di interessi concreti. In questo ambito, che a quel tempo conosceva la rivoluzione televisiva, il Papa Pio XII venne a proporre come protettrice una Santa che, nel suo stesso nome e nella sua esperienza, indicasse un programma e una strada da percorrere: Chiara, cioè una limpidezza di visione e una capacità di percepire in modo responsabile e riflessivo i messaggi della comunicazione televisiva, grazie a un’illuminazione interiore che scaturisce dalla presenza di Dio.

Quanto è importante oggi acquisire questa capacità di discernimento! Torniamo per un istante al brano evangelico della Trasfigurazione: si tratta di una comunicazione intensa e profonda che investe l’intera personalità dei protagonisti. La voce che viene dall’Alto e la luce che avvolge tutti i presenti sono gli elementi di questo evento misterioso, evento di comunicazione potremmo dire totalizzante. A ben vedere, in ogni processo comunicativo entrano i gioco il suono, con le sue varie modalità, e la luce, che si traduce in immagini capaci di impressionare gli occhi e di avvincere il cuore. Questo accade ancor più in televisione, dove giochi di luce e di voci rendono possibile una comunicazione che unisce realtà e fantasia, cronaca e immaginazione. Ecco allora la grande responsabilità che ricade sugli operatori della comunicazione, specialmente di quella audiovisiva e televisiva.

Nel recente Messaggio per la Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali (in programma il prossimo 4 maggio), il Papa Benedetto XVI ha scritto che i media non devono ridursi a «megafono del materialismo economico e del relativismo etico», ma essere «strumenti al servizio di un mondo più giusto e solidale». Egli mette in guardia dai rischi della manipolazione della realtà, dall’asservimento agli interessi dominanti, della ricerca dell’audience a tutti i costi. Ripropone con forza la difesa della verità dell’uomo, fondata su un’etica dell’informazione. Purtroppo, da strumento di condivisione sociale, la televisione è diventata in molti casi – non solo in Europa – veicolo non di verità, ma di un progetto che sottende un pensiero unico e omologante. La dura legge di mercato e la somma di tanti interessi getta oggi nella grande agorà pubblica un insieme di messaggi apparentemente plurale, ma ultimamente accomunati dalla logica del consumismo e del relativismo.

Lo riscontriamo ad ogni latitudine: al nord come al sud, all’ovest come all’est del mondo: la comunicazione di massa tende oggi ad imporre un modello culturale uniforme, non rispettando quei valori etici indispensabili per edificare una pacifica società dove i diritti e i doveri dell’uomo sono fondati sulla sua dignità. Pensiamo alla famiglia, alla vita, all’educazione delle nuove generazioni e ad altre tematiche che toccano il presente e il futuro dell’umanità. «La ricerca e la presentazione della verità sull’uomo – osserva Benedetto XVI nel citato Messaggio per la prossima Giornata delle comunicazioni sociali – costituiscono la vocazione più alta della comunicazione sociale».

Cinquant’anni fa il Papa Pio XII puntualizzava che la Chiesa propone valori e modelli. Lo fa, forte della sua concezione antropologica, della sua tradizione, la quale è informata dalla Rivelazione, e della sua esperienza. In tale ambito, essa in prima istanza non proibisce, bensì propone la propria visione. Lo fa anche additando ai credenti e agli uomini di buona volontà la figura esemplare di Santa Chiara, donna che ha avuto i doni della visione, ha vissuto in grande e lieta povertà, desiderosa soltanto della luce della verità. Ci possiamo chiedere, concludendo, quale sia la perenne lezione che raccogliamo da questa Santa a voi, cittadini di Assisi, molto cara. La riassumerei così: lasciarsi guidare dalla verità che rende liberi. Possa pertanto questo anniversario suscitare o incrementare l’impegno condiviso da parte di tutti coloro che lavorano nel mondo della comunicazione televisiva, perché si riscopra l’eloquenza delle immagini coniugate con le parole, confrontate con la verità dei valori e della ragione. Ci insegni questa umile Santa la forza della verità; interceda affinché la troviamo e la seguiamo; ci sostenga nella fatica di perseguirla, quando l’abbiamo intravista. Continuando la celebrazione eucaristica, preghiamo perché la televisione e i nuovi media, che stanno modificando il volto stesso della comunicazione, possano contribuire a rendere meglio visibili i lineamenti essenziali e irrinunciabili della verità della persona umana.

      

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