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VISITA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE A CUBA
IN OCCASIONE DEL DECIMO ANNIVERSARIO
DEL VIAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II

OMELIA DURANTE LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA
NELLA CASA DI RITIRI SPIRITUALI
DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE

Peñalver, La Habana
Martedì, 26 febbraio 2008

 

«Non c'è delusione per coloro che confidano in te» (Dn 3, 40)

Provo una grande gioia nel potermi incontrare con tutti voi in questa casa, dove si respira un clima di pace e che si può considerare il simbolo di una presenza salesiana ininterrotta.

Rivolgo il mio cordiale e fraterno saluto ai fratelli Vescovi, ai Sacerdoti, alle Religiose Figlie di Maria Ausiliatrice e a tutti voi, amati fratelli nel Signore.

La prima lettura che abbiamo ascoltato presenta una supplica commovente al Signore in un momento di estremo bisogno: Azaria, Anania e Misaele sono in mezzo al fuoco, disposti a subire il martirio piuttosto che tradire la loro fede. Sono stati condannati perché si sono rifiutati di adorare una statua di Nabucodonosor. Sostenuti dalla fedeltà a Cristo, preferiscono la morte che li attende piuttosto che divenire servi di un falso dio, che può manifestare il suo potere solo punendoli, ma non salvandoli.

Il cantico di Azaria mostra che Dio non è fonte di disgrazie bensì di salvezza. La preghiera di questi giovani non si rivolge quindi a Colui che infligge il male per placare la sua collera, ma a Colui che promette la salvezza portandola a compimento. Non si sottomettono perciò con impotenza al re straniero in attesa del suo favore, ma, nonostante la disgrazia, ripongono la loro speranza nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Nella loro preghiera di intercessione, questi ragazzi ricordano che la parola data da Dio ai patriarchi si compirà. Le promesse del Signore non verranno meno.

Ciò che accadde a Israele succede al popolo di Dio in tutte le epoche, antiche e moderne, in cui non manca mai chi pretende di occupare il posto che corrisponde a Dio. Spesso l'uomo s'impegna a trasformare in dio colui che è solo opera delle sue mani, «uomo che non può salvare» (Sal 145).

Quando il credente percepisce che l'uomo ha potere per castigare ma non per redimere, per distruggere ma non per creare o ricreare la vita, si sente schiacciato da chi cerca di imporsi per mezzo dell'oppressione e leva la sua voce al Dio vero. E Dio gli mostra che la sua misericordia è eterna e la sua fedeltà dura per sempre.

Se è così, se, nonostante l'iniquità, la bontà divina è perenne, se il nostro peccato mette in risalto la grandezza e la fedeltà di Dio, non subentra qui un abuso della sua misericordia? Per questo, nel passaggio evangelico ascoltato, Pietro pone la domanda importante: È giusto perdonare sempre o si deve porre un limite? Perdonare continuamente non è forse un modo di banalizzare l'ingiuria, di incoraggiare l'ingiustizia e di aprire la porta alla prepotenza?

Gesù risponde a Pietro che non è così, perché il paradigma del perdono è il modo attraverso il quale Dio misericordioso agisce. Il suo perdonare è l'offerta costante del suo amore, il quale chiede di essere contraccambiato dall'uomo e quindi esige una conversione interiore per creare un cuore che ama e si sente amato. In tal modo non si incoraggia l'ingiustizia né vi è posto per la prepotenza, bensì per la fiducia e la benevolenza senza limiti.

In Cristo questa presenza della misericordia divina si è rivelata come definitiva e universale, insegnandoci la necessità di infondere nella vita di ognuno, e nella storia dell'umanità, un desiderio di conversione, senza lasciarsi attanagliare dal peso delle offese né accecare dalle pretese egoistiche e interessate. A tal fine possiamo contare su un novero di testimoni che intercedono per noi.

San Giovanni Bosco fa parte di quella moltitudine di illustri testimoni che ci avvicinano a Gesù. Creando nell'Oratorio una famiglia per accogliere i giovani poveri e abbandonati, comunicò agli altri la grazia che colma i cuori e compì con i giovani la missione di Cristo, il quale concentrò il suo messaggio nel comandamento più importante della Nuova Legge: «che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato» (Gv 15, 12). Don Bosco vive questa reciprocità dell'amore nella sua dedizione ai giovani, come rivela il suo sistema educativo basato sull'amore. Sapeva che «l'educazione è cosa del cuore e solo Dio è il padrone» (Epistolario 4, 209).

Sapete bene, cari Fratelli, che Don Bosco aggiunse la pratica della delicatezza al suo sistema educativo. All'amore paterno e preventivo aggiunse quella gentilezza che invita la persona amata a contraccambiare l'amore, superando tutte le barriere e le mancanze. Così salvò una moltitudine di giovani da un ambiente malsano. Riuscì a far sì che si entusiasmassero per l'ideale della santità, che recuperassero il significato della grazia e del peccato, che si aprissero all'amicizia di Gesù e di Maria.

Questo importante compito non era necessario solo nel suo tempo. So che tutti voi vi state impegnando in esso e che realizzate questa bella opera con impegno e costanza.

San Giovanni Bosco intuì nel mistero della Vergine Immacolata che l'educatore deve amare i suoi discepoli in anticipo, come Dio ha amato la futura Madre di suo figlio. Per questo gli piaceva attribuire a Nostra Signora tutta l'opera dell'Oratorio: «Tutto è stato fatto da Lei», diceva spesso.

Don Bosco sapeva che potevano porre sotto la protezione di Maria, Madre gentile, i bisogni materiali e affettivi dei giovani. Seguendo quell'esempio, anch'io desidero in questo momento affidare alla protezione di Nostra Signora tutto il benemerito lavoro che la famiglia salesiana sta portando avanti in questa bella terra da molti anni.

In tal senso, non può mancare una parola di particolare riconoscenza, che mi consta essere condivisa da innumerevoli persone di questo Paese, per Sor Gesuina Flaminia Lecchi Alborghetti, bergamasca, che, non appena emessa la professione come Figlia di Maria Ausiliatrice nell'agosto del 1930, è venuta in questa nobile Nazione e, da allora, è rimasta qui, servendo con generosità ed esemplare sollecitudine Dio e i suoi fratelli. Mi felicito sinceramente con lei perché ho saputo che presto compirà, Dio volendo, settantotto anni come Missionaria a Cuba e cento anni di età.

Pongo nelle mani di Maria Santissima questa nostra Sorella e tanti altri agenti pastorali che si sono dedicati in modo particolare ad annunciare il Vangelo della carità fra i giovani e fra quanti soffrono.

Che la Vergine, Modello di educatrice, ci aiuti a insegnare a quanti ci circondano il valore della preghiera di intercessione per i bisogni degli altri, del perdono che apre itinerari di pace e di riconciliazione, della pazienza che ama e spera, della concordia che eleva e nobilita i popoli, affinché con questi sentimenti dentro di noi, tutti cresciamo in grazia e in sapienza, come Gesù sotto lo sguardo materno di Maria (cfr Lc 2, 39-40).

Grazie.

 

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