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ORDINAZIONI EPISCOPALI DI
MONS. LÉON KALENGA BADIKEBELE, P. FRANS DANEELS E
MONS. JUAN IGNACIO ARRIETA OCHOA DE CHINCHETRU

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE

Basilica Vaticana
Giovedì, 1° maggio 2008

 

Signori Cardinali,
venerati Confratelli nell’Episcopato e nel sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Nell’Esortazione post-sinodale Pastores Gregis sul Vescovo, servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo”, il Servo di Dio Giovanni Paolo II scriveva che “per mezzo dei Vescovi e dei presbiteri che li assistono, il Signore Gesù Cristo, pur sedendo alla destra di Dio Padre, continua ad essere presente in mezzo ai credenti… e nello stesso tempo dirige il popolo del Nuovo Testamento nella sua peregrinazione verso l’eterna beatitudine” (n. 6). In tale prospettiva, che l’odierna solennità dell’Ascensione richiama con forza, assume un eloquente significato il rito di ordinazione di questi tre presbiteri, elevati dal Santo Padre alla dignità episcopale: Mons. Léon Kalenga Badikebele, Arcivescovo titolare di Magneto e Nunzio Apostolico in Ghana, il Rev.mo P. Frans Daneels, O. Praem, Vescovo titolare di Bita e Segretario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, Mons. Juan Ignacio Arrieta Ochoa De Chinchetru, Vescovo titolare di Civitate e Segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi. A ciascuno di essi rinnoviamo i nostri auguri mentre, insieme con loro, ringraziamo il Signore che ancora una volta rivela la sua misericordia compiendo “grandi cose” a favore della sua Chiesa. La Parola di Dio proclamata poco fa aiuta questi tre nuovi Vescovi, successori degli apostoli, e con loro tutti noi, a comprendere ancor meglio come vivere la missione che il Signore ha lasciato ai suoi nel giorno dell’Ascensione.

 Nella prima Lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, l’Autore sacro racconta che Gesù, nei quaranta giorni dopo la risurrezione, si mostrò agli occhi dei discepoli e si fece udire da loro, spiegando le cose del regno di Dio (cfr At 1,3). Aggiunge una terza espressione, con la quale intende documentare la convivenza e la comunione di quei giorni, un’espressione strana per noi e che, alla lettera, significa: «Il Signore aveva mangiato il sale con loro» (cfr At 1,4). Il sale era il dono prezioso con cui si accoglievano gli ospiti e, quindi, era espressione di vera ospitalità. Sarebbe meglio allora tradurre: Egli li accolse nella sua ospitalità, una ospitalità non solo esteriore, ma vera condivisione di vita. Il sale è pure simbolo di purificazione, di medicina; è condimento ed è mezzo di conservazione che agisce contro la corruzione, contro la morte.

L’intenzione allora appare chiara: Gesù aveva reso percepibile il suo mistero alla sensibilità e al cuore dei discepoli: essi non conoscevano più Gesù solamente dall’esterno, ma il suo messaggio cominciava a vivere dentro di loro. La sua presenza sarebbe stata caratterizzata da intima condivisione di vita e consolazione, guarigione e salvezza eterna. Per questo l’Ascensione fu per essi motivo di grande gioia. Era, sì, l’ultima apparizione del Maestro risorto e gli Apostoli sapevano che non lo avrebbero più rivisto in questo mondo. Sapevano però che non sarebbero più stati soli perché Gesù li aveva rassicurati. «Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo» (Mt 28,20):così dice infatti prima di salire al cielo. Lo riferisce san Matteo proprio alla fine del suo Vangelo come abbiamo ascoltato poco fa. Da quel momento iniziò dunque un rapporto diverso degli Apostoli con il loro Signore, una familiarità interiore e fedele. Anzi proprio il coltivare quest’amicizia profonda sarebbe stata la condizione indispensabile per portare a compimento il mandato missionario che Egli aveva ad essi affidato.

Essere suoi veri amici, restare in contatto costante e profondo con Lui: ecco dunque ciò che questa sera Gesù chiede a ciascuno di voi, cari Ordinandi, perché attraverso di voi operi la potenza del suo amore. Egli vi chiede la fedeltà dell’amore!

In un momento così importante per la vostra esistenza noi tutti vi circondiamo con la nostra preghiera. Caro Mons. Léon, caro Padre Frans e caro Mons. Juan Ignacio, vorrei in primo luogo farmi interprete della vicinanza spirituale del Santo Padre Benedetto XVI e volentieri vi partecipo la sua paterna benedizione. Al saluto affettuoso di Sua Santità unisco il mio, quello dei Cardinali e dei Vescovi presenti, dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose che vi circondano, come pure delle autorità e delle personalità, dei parenti e degli amici giunti da tante parti del mondo per manifestarvi la loro stima ed affetto. Potremmo dire che l’odierna nostra assemblea liturgica, in questa Basilica centro del mondo cattolico, per la diversità dei Paesi di provenienza dei presenti e delle lingue e culture rappresentate, manifesta anche visibilmente l’unità e la cattolicità della Chiesa e della Curia Romana, il cui compito è cooperare al ministero del Papa per il bene dell’intero Popolo di Dio. Della comunione e della cattolicità della Chiesa continuerete ad essere, cari Ordinandi, araldi e custodi nelle diverse mansioni che il Successore di Pietro vi ha affidato al servizio della Santa Sede.

Fortes in fide” è il motto che tu, caro Mons. Léon, hai scelto quasi a sottolineare che il tuo ministero episcopale sarà totalmente proteso alla difesa della fede cattolica e alla diffusione del Vangelo. L’annuncio di Cristo risuonò per la prima volta nella tua patria, la Repubblica Democratica del Congo, nel secolo XV e si consolidò poi con l’arrivo di altri missionari alla fine del 1800. Ed a Gesù Cristo tu hai dedicato l’intera tua vita con l’ordinazione presbiterale, il 5 settembre del 1982. Entrato poi, all’inizio del 1990, nel servizio diplomatico della Santa Sede, hai avviato una nuova esperienza pastorale lavorando con alacre dedizione per la Chiesa nelle Nunziature Apostoliche in Haiti, in Guatemala, in Zambia, in Brasile, in Egitto, in Zimbabwe e in Giappone. Veramente vasta è l’esperienza umana e apostolica che hai potuto acquisire e sono certo che ti sarà assai utile per svolgere nel migliore dei modi la nuova missione che il Santo Padre ti affida, quella di suo Rappresentante presso la Chiesa, le Autorità e l’amata Nazione di quella che, fin dal secolo XV, era conosciuta come la Costa d’Oro.

Tu sai quanto a Sua Santità stia a cuore l’Africa, il tuo continente; quanto promettente sia lo sviluppo della Chiesa nel Paese dove tra poco ti recherai. Ma sai pure quanti problemi economici e sfide sociali e religiose incombano sulle popolazioni africane. A te il compito di far sentire ai Vescovi, alle comunità cristiane e al popolo del Ghana l’amorevole vicinanza del Successore di Pietro e cooperare al processo di evangelizzazione e di promozione umana in Africa. Ti aiuti il Signore ad essere “un ponte” di speranza e di amore tra Dio e quanti incontrerai nel tuo quotidiano servizio pastorale e diplomatico.

Mi rivolgo ora a te, caro Padre Frans, che hai consacrato la tua esistenza a Dio entrando nel fiore dei tuoi anni nell’Abbazia premostratense di Averbode, in Belgio, tua terra natale. Alla scuola di san Norberto, che ebbe grande ossequio e venerazione verso i Pontefici del suo tempo (furono ben 5 lungo l’arco della sua vita: Pasquale II, Gelasio II, Callisto II, Onorio II che approvò la sua fondazione e Innocenzo II, che egli difese, insieme a san Bernardo, contro l’antipapa) anche tu hai servito e continui a servire fedelmente la Chiesa e il suo Sommo Pastore. Ordinato sacerdote nel 1966, hai approfondito gli studi di Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma svolgendo poi un apprezzato ministero pastorale nella comunità parrocchiale di Averbode e nell’Arcidiocesi di Mechelen-Brussel. A Roma, dove nel 1982 sei stato chiamato a ricoprire l’ufficio di Procuratore Generale del tuo Ordine, hai avuto modo di dedicarti ancor più alle questioni giuridiche sia come professore invitato della Gregoriana, sia come Consultore della Pontificia Commissione per l’Interpretazione del Diritto Canonico e della Commissione Disciplinare della Curia Romana, sia soprattutto come Referendario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, poi come Promotore sostituto di Giustizia ed in seguito come Promotore titolare del medesimo Supremo Tribunale. A motivo della tua esperienza acquisita lungo anni di fedele servizio, il mese scorso Sua Santità ti ha voluto nominare Segretario di questo stesso Tribunale, succedendo a S.E. Mons. Velasio De Paolis, C.S., chiamato a presiedere la Prefettura degli Affari economici della Santa Sede. Il Sommo Pontefice ha inteso in pari tempo elevarti alla dignità episcopale affidandoti la sede titolare di Bita nella Mauritiana Cesariense.

 “Spiritus tuus deducat me”: è questo il motto che hai scelto come tuo futuro orientamento. Lo Spirito di Cristo che animò san Noberto ti sostenga nel servizio che continuerai a rendere alla Santa Sede in un settore delicato e importante quello appunto dell’amministrazione della giustizia ecclesiastica.

Nell’ambito del diritto continuerai ad operare anche tu, caro Mons.Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru, Segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, che il Santo Padre ha voluto elevare alla pienezza del Sacerdozio assegnandoti la sede titolare di Civitate. Quando dalla tua terra d’origine, la Spagna (sei nato a Vittoria, città dei Paesi Baschi nel 1951) sei venuto a Roma per completare tra il 1973 e il 1976 gli studi teologici, hai incontrato san Josemaría Escrivá, e ti sei posto alla sua scuola per seguire fedelmente Cristo e servire con amore docile la sua Chiesa. Ordinato sacerdote nel 1977 per la Prelatura dell’Opus Dei, hai svolto attività pastorali rivolte a giovani, dedicandoti con passione allo studio del diritto. Decano-fondatore della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università della Santa Croce, sei stato in seguito Preside-fondatore dell’Istituto di Diritto Canonico S. Pio X di Venezia e direttore di riviste e collane specializzate nel ramo scientifico al quale hai dedicato la tua passione ecclesiale. Vorrei inoltre far cenno al contributo che hai offerto alla Consociatio Internationalis Iuris Canonici in qualità di Vice Presidente e a numerosi congressi internazionali. Non posso poi non citare la collaborazione da te prestata a diversi uffici e dicasteri della Curia Roma: alla Penitenzieria Apostolica come Prelato canonista, al Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi, a quello per la Famiglia e alla Congregazione per il Clero come consultore o consulente; al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica come Referendario e come Giudice del Tribunale ecclesiastico dello Stato Città del Vaticano.

Proseguirai il tuo servizio nella Curia Romana confidando nella materna protezione di Maria come dice il tuo stemma: “Sub tuum praesidium” e con quello spirito apostolico che san Josemaría pone in luce in una sua omelia proprio per la festa dell’Ascensione: “La grande missione che riceviamo con il Battesimo – egli dice - è la corredenzione. La carità di Cristo ci spinge a caricare su di noi parte del compito di riscattare le anime” (E’ Gesù che passa, n. 120).

Cari Ordinandi, nel suo recente viaggio apostolico negli Stati Uniti il Papa Benedetto XVI ha ricordato ai Vescovi che il segreto della loro azione pastorale è “una concentrazione più chiara sull’imitazione di Cristo nella santità di vita”. Ed ha aggiunto che “quando i fedeli sanno che il loro pastore è uomo che prega e dedica la propria vita al loro servizio rispondono con quel calore ed affetto che nutre e sostiene la vita dell’intera comunità”. Queste indicazioni sono preziose per tutti i Vescovi, successori degli apostoli, che, uniti dall’ “affetto collegiale”, condividono insieme la sollecitudine per le Chiese particolari e per la Chiesa universale.

Torniamo così all’inizio delle mie riflessioni. Primo impegno di ogni vescovo, successore degli Apostoli, non può che essere imitare Cristo e mantenere con Lui una indefettibile familiarità, quella familiarità che la Scrittura descrive, come sopra dicevo, con l’immagine del «mangiare insieme il sale». Chi vi incontra, cari Ordinandi, senta che il vostro cuore appartiene a Cristo che è presente e operante innanzitutto nell’Eucaristia, dove offre il suo sacrificio redentore agli uomini di ogni tempo e di ogni luogo come pane di vita e bevanda di salvezza; presente ed operante nel suo Vangelo, come luce e forza dei passi del nostro cammino; presente e operante – come Egli stesso proclama – in tutti coloro che, poveri e bisognosi, chiedono a ciascuno di noi il dono dell’amore che si pone a servire (cfr Mt 25,31-45). Questo amore non venga mai meno e non si affievolisca malgrado le difficoltà e le manchevolezze della vita. Non abbiate paura! La vostra forza e, insieme, la vostra gioia vi verranno, secondo la promessa di Gesù, “dallo Spirito Santo che scenderà su di voi» (At 1,8).

Cari fratelli e sorelle, il rito di ordinazione di questi tre nuovi Vescovi si tiene all’inizio del mese di maggio particolarmente dedicato a Maria, in un giorno in cui la devozione popolare ricorda anche san Giuseppe. Imploriamo l’intercessione della santa Famiglia di Nazaret, invochiamo i santi Norberto e Josemaría Escrivá ed i beati martiri Maria Clementina Anwarite Nengapeta e Isidoro Bakanja perché ottengano per i tre ordinandi di essere santi Pastori del Popolo di Dio. Preghiamo anche perché tutti noi, che facciamo loro corona, possiamo sempre seguiamo fedelmente Cristo, speranza del mondo. Amen!

      

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