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CONVEGNO PER IL 50° ANNIVERSARIO CONFERENZA DEL CARD. TARCISIO BERTONE, Pontificia Università Gregoriana
EUGENIO PACELLI
Premessa Desidero innanzi tutto ringraziare i due magnifici rettori della Gregoriana e della Lateranense ÂÂ il nostro ospite di questa mattina, il reverendo padre Ghirlanda, e lÂÂarcivescovo Fisichella ÂÂ per lÂÂinvito a introdurre questo convegno, importante e molto opportuno, sullÂÂeredità del magistero di Pio XII. Come premessa ai lavori che affronteranno questo tema, ancora poco studiato, si colloca bene un panorama sullÂÂopera di Eugenio Pacelli come cardinale segretario di Stato di Pio XI e camerlengo di Santa Romana Chiesa, e personalmente sono lieto e onorato di poterlo delineare nella veste di suo attuale successore in questi medesimi incarichi. Rievocherò così, sia pure per sommi capi, il servizio del cardinale Pacelli avendo ben presente due fatti, verso i quali allargherò lo sguardo: lÂÂopera del porporato romano è lÂÂultima tappa di un itinerario che è stato al servizio della Santa Sede, della Chiesa universale e di ogni persona umana, senza alcuna distinzione, e questo cammino è poi culminato in un pontificato fuori dellÂÂordinario, iniziato alla vigilia della più spaventosa guerra che lÂÂumanità abbia conosciuto e che nei fatti si è rivelato unÂÂopera di pace. Di quella pace che è frutto della giustizia, opus iustitiae pax, come recita il motto di Pacelli riprendendo la radice del suo nome di famiglia. E molti sono, finalmente, i segnali che il dibattito sulla sua figura e sulla sua opera ÂÂ controverso al punto da divenire un vero e proprio caso storiografico ÂÂ si sta facendo da qualche tempo più sereno ed equilibrato nel riconoscere la rilevanza e la grandezza del suo pontificato, al di là di polemiche strumentali, sempre meno comprensibili e soprattutto che con la storia hanno ben poco a che fare. Diplomatico a Roma e in Germania Nato a Roma il 2 marzo 1876 da una famiglia della piccola nobiltà pontificia e ordinato sacerdote il 2 aprile 1899, il giovane Pacelli entrò al servizio della Santa Sede nel 1901, nello scorcio del pontificato di Leone XIII, iniziando un percorso brillante che lÂÂavrebbe portato ai vertici della diplomazia pontificia già prima dello scoppio della guerra. Scelto dal cardinale Pietro Gasparri come segretario della commissione per la redazione del codice di diritto canonico nel 1904 ed entrato lÂÂanno successivo nella Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari, da Pio X ne fu nominato sottosegretario nel 1911, segretario aggiunto nel 1912 e segretario nel 1914, proprio alla vigilia del conflitto. In questi ruoli di crescente responsabilità, monsignor Pacelli si occupò in particolare della rottura delle relazioni diplomatiche con la Francia e fu poi protagonista di due difficili missioni durante la catastrofe bellica, in ripetuti ma inutili tentativi di mediazione svolti dalla Santa Sede, che da oltre un quarantennio era sempre più attiva ÂÂ come è ben documentato e studiato ÂÂ ÂÂalle frontiere della paceÂÂ. Nel 1917 monsignor Pacelli fu nominato nunzio pontificio a Monaco di Baviera da Benedetto XV, che il 13 maggio di quellÂÂanno volle conferirgli personalmente nella Cappella Sistina la consacrazione episcopale. In questa veste, come unico rappresentante pontificio nei territori tedeschi, incontrò il Kaiser per sondare le reali intenzioni della Germania. LÂÂincontro con Guglielmo II fu solenne ma senza esito, e venne subito descritto dal diplomatico pontificio in un lucido rapporto al segretario di Stato, che dal 1914 era Gasparri: ÂÂIntrodotto davanti al Kaiser (ÂÂ ) gli esposi, conformemente alle istruzioni ricevute, le ansiose preoccupazioni del Santo Padre per il prolungamento della guerra, la crescita degli odi e lÂÂaccumularsi delle rovine materiali e morali che rappresentano il suicidio dellÂÂEuropa civile e fanno arretrare di molti secoli il cammino dellÂÂumanità (ÂÂ ) Sua Maestà mi ascoltò con unÂÂattenzione rispettosa e grave. Dirò, tuttavia, in tutta franchezza che nel suo modo di fissare lungamente lo sguardo sul suo interlocutore, nei suoi gesti, nella sua voce, egli mi è apparso (non saprei dire se è la sua natura o se è la conseguenza di questi tre lunghi e angosciosi anni di guerra) come esaltato e non del tutto normale. Mi rispose che la Germania non aveva provocato questa guerra, ma che essa era stata costretta a difendersi contro gli scopi distruttori dellÂÂInghilterra, la cui potenza belligerante (a questo punto lÂÂimperatore lanciò un vigoroso pugno in aria) doveva essere schiacciataÂÂ. Cinque anni più tardi, una diversa e meno credibile versione dellÂÂincontro affidata dal sovrano ormai detronizzato alle sue memorie veniva smentita dalla Santa Sede. Alla disastrosa situazione del Paese la rappresentanza pontificia fece fronte anche con quella che è stata definita ÂÂdiplomazia dellÂÂassistenzaÂÂ, di cui Pacelli fu protagonista nel quadro ben più ampio di unÂÂattività umanitaria dispiegata dalla Santa Sede sin dal 1915 in favore dei prigionieri di guerra. Testimone dello sfacelo successivo al conflitto, il nunzio a Monaco ÂÂ che dal 1920 ebbe affidata anche la nunziatura a Berlino, mentre dal conclave del 1922 era uscito eletto Pio XI ÂÂ vide con lucidità i pericoli della nuova situazione, provocati dal tracollo dellÂÂimpero guglielmino, dalle responsabilità delle potenze vincitrici nei confronti della Germania, dalle prove di rivoluzione comunista, dai rischi di una possibile alleanza militare russo-germanica ostile ai Paesi occidentali, dalla crescita del nazionalismo tedesco, pur di radice protestante, anche tra i cattolici e dalla diffusione del movimento hitleriano. Per questo monsignor Pacelli sostenne la Repubblica di Weimar, la collaborazione tra il Zentrum cattolico e i socialisti, lÂÂunità statale del Paese e si adoperò per accordi concordatari, riuscendo a concluderli con la Baviera nel 1924 e con la Prussia nel 1929, avviandoli con il Baden e con il Reich. Esito negativo ebbero invece le trattative del nunzio a Berlino con gli emissari sovietici, volte ad assicurare condizioni di sopravvivenza alla Chiesa cattolica, avviate nel 1924 e durate oltre tre anni. Il segretario di Stato di Pio XI Il 16 dicembre 1929 Pio XI creò cardinale il suo rappresentante a Berlino, che Pacelli lasciò ricevendo riconoscimenti ÂÂ anche nella ÂÂstampa avversariaÂÂ, come sottolinea un rapporto inviato in Vaticano dalla nunziatura ÂÂ delle sue doti e dei suoi meriti. Poche settimane più tardi Papa Ratti nominò il nuovo porporato suo segretario di Stato, con un breve documento datato 7 febbraio 1930, interamente composto e scritto di suo pugno, che è esposto nella mostra, di grande interesse, curata nel Braccio di Carlo Magno in piazza San Pietro dal Pontificio Comitato di Scienze Storiche per commemorare lÂÂuomo Pacelli e il suo pontificato nel cinquantesimo anniversario della morte; mostra che ho avuto il piacere di inaugurare due giorni fa. Per il suo interesse vale la pena citare per intero lo scritto papale: ÂÂSignor Cardinale, Avendo Noi creduto di dover accondiscendere (ciò che abbiamo fatto oggi stesso, non senza grave pena) alle istanze del Signor Cardinale Pietro Gasparri perché accettassimo le sue dimissioni da Nostro Segretario di Stato, abbiamo coram Domino deciso di chiamare e nominare, come con questo Nostro chirografo chiamiamo e nominiamo, lei, signor Cardinale, alla certo non facile e non poco laboriosa successione in quellÂÂalto e delicato ufficio. Ci muovono a questa nomina e Ce ne danno piena e certa fiducia innanzi tutto il di lei spirito di pietà e di preghiera, che non può non propiziarle lÂÂabbondanza degli aiuti divini, poi anche le qualità e le doti onde il buon Dio la arricchiva e delle quali ella in tutte le alte mansioni fin qua affidatele ÂÂ specialmente nelle due Nunziature di Baviera e di Germania ÂÂ ha mostrato di sapere tanto bene usare a gloria del divino Datore ed in servizio della sua Chiesa. Di tutto cuore benedicendolaÂÂ. Cominciava così lÂÂultimo decisivo tratto del cammino di Pacelli prima del brevissimo conclave che nove anni più tardi, il 2 marzo 1939, proprio nel giorno del suo sessantatreesimo compleanno, lo avrebbe eletto, primo romano e primo segretario di Stato dopo oltre due secoli, a divenire Papa. Approfondito per la prima volta da uno studioso di valore come il padre Pierre Blet, che desidero qui salutare, il periodo durante il quale il cardinale fu il primo collaboratore di Pio XI è stato uno dei più difficili e tragici del Novecento. Il contesto internazionale era difficilissimo, per la crisi economica mondiale e per la montante marea totalitaria che sembrava sommergere lÂÂEuropa, mentre ÂÂ risolta finalmente la ÂÂquestione romanaÂÂ con la Conciliazione tra Italia e Santa Sede ÂÂ la Chiesa di Roma assumeva sempre più visibilmente quel respiro mondiale iscritto nella sua vocazione e che proprio i pontificati di Pio XI e Pio XII avrebbero fortemente sviluppato e sottolineato, preparando gli anni del concilio Vaticano II e quelli dei loro successori nella seconda metà del secolo. In questa opera, fondamentale fu lÂÂazione del segretario di Stato Pacelli, coadiuvato da collaboratori di primissimo ordine. Tra questi sopra tutti spiccò il duo costituito dalle personalità, diversissime ma complementari, di Domenico Tardini e di Giovanni Battista Montini, nel 1937 nominati rispettivamente segretario agli Affari Ecclesiastici Straordinari e sostituto della Segreteria di Stato e poi confermati da Pacelli una volta eletto Papa, sino a divenire entrambi, alla fine del 1952, pro-segretari di Stato. Alla guida della Segreteria di Stato arrivava con Pacelli un ecclesiastico di preparazione fuori dellÂÂordinario, che impressionò subito i diplomatici accreditati presso la Santa Sede. Ecco come lo ricordava, scrivendo una quindicina dÂÂanni più tardi, lÂÂambasciatore di Francia in Vaticano François Charles-Roux: ÂÂEra un negoziatore perfetto, coscienzioso, perseverante nel fare prevalere lÂÂessenziale del punto di vista della Santa Sede, ma al tempo stesso conciliante, equo, imparziale, di una lealtà scrupolosa. Sapeva non essere urtante quando era obbligato a essere intransigente o energico, a opporre un rifiuto o a lamentarsi. Una consuetudine continua con lui faceva tornare alla memoria il detto di un diplomatico e statista francese, Choiseul: la vera finezza è la verità, detta qualche volta con forza, ma sempre con graziaÂÂ. E di queste qualità la Santa Sede ebbe subito modo di valersi, negli anni bui che prepararono il secondo conflitto mondiale. La prossimità a Pio XI Non è possibile qui soffermarsi su un periodo così denso di avvenimenti e complesso dal punto di vista storico, ma per mostrare lÂÂattività della Sede apostolica, lÂÂazione del Papa e lÂÂopera del suo segretario di Stato saranno sufficienti pochi cenni per ricordare fatti noti, ma non sempre interpretati nel loro contesto storico e talvolta travisati. In Italia, nonostante la Conciliazione polemiche e tensioni tra Santa Sede e regime fascista si moltiplicarono fino alla crisi del 1931, quando il capo del governo Mussolini diede ordine di sciogliere le associazioni giovanili cattoliche. Pio XI reagì con energia e fece pubblicare la celebre enciclica Non abbiamo bisogno, fortemente polemica contro la decisione governativa, tanto che per divulgarla fuori dÂÂItalia nel timore che ne fosse impedita la pubblicazione allÂÂinterno, monsignor Montini ebbe lÂÂincarico di portarne in incognito il testo alle nunziature di Monaco e di Berna: ÂÂsi è tentato di colpire a morte ÂÂ esordiva il Papa nel testo scritto in italiano ÂÂ quanto vi era e vi sarà sempre di più caro al Nostro cuore di Padre e Pastore di animeÂÂ. La crisi fu ricomposta ma la tensione tornò più volte negli anni successivi, in un Paese dove lÂÂunica voce di stampa davvero libera rimase il giornale del Papa, come avrebbe poi ricordato allÂÂassemblea costituente un esponente laico come Piero Calamandrei: ÂÂPerché a un certo momento, negli anni della maggiore oppressione, ci siamo accorti che lÂÂunico giornale nel quale si poteva ancora trovar qualche accento di libertà, della nostra libertà, della libertà comune a tutti gli uomini liberi, era ÂÂLÂÂOsservatore RomanoÂÂ; perché abbiamo esperimentato che chi comprava ÂÂLÂÂOsservatore RomanoÂÂ era esposto ad essere bastonato; perché una voce libera si trovava negli Acta Diurna dellÂÂamico GonellaÂÂ. Nello stesso 1931 veniva pubblicata unÂÂaltra enciclica, la Nova impendet, sulla gravità della crisi economica e sulla crescente corsa agli armamenti che faceva seguito, in ottobre, allÂÂaltro grande documento sociale commemorativo di quello leonino, lÂÂenciclica Quadragesimo anno, pubblicata in maggio. La grave situazione sociale tornava poi lÂÂanno successivo come tema della Caritate Christi, seguita nello stesso 1932 dalla Acerba animi sulla persecuzione anticattolica in Messico, che ruppe le relazioni diplomatiche con la Santa Sede. Ma la crisi precipitava anche in Spagna, dove la Repubblica di recente proclamata avviava una politica duramente avversa alla Chiesa con provvedimenti che suscitarono nel 1933 la ferma protesta della Santa Sede, sin dallÂÂepistola enciclica Dilectissima nobis, per la ÂÂgrave offesa non solo alla religione e alla Chiesa, ma anche a quegli asseriti principi di libertà civili sui quali dichiara basarsi il nuovo regime spagnolo. Né si creda ÂÂ continua il documento papale ÂÂ che la nostra parola sia ispirata da sentimenti di avversione alla nuova forma di governo o agli altri cambiamenti prettamente politici avvenuti recentemente in Spagna. È a tutti noto, infatti, che la Chiesa cattolica, per nulla legata a una forma di governo piuttosto che a unÂÂaltra, purché restino salvi i diritti di Dio e della coscienza cristiana, non trova difficoltà ad accordarsi con le varie istituzioni civili, siano esse monarchiche o repubblicane, aristocratiche o democratiche. Ne sono prova manifesta, per non parlare che di fatti recenti, i numerosi concordati e accordi stipulati in questi ultimi anni e le relazioni diplomatiche annodate dalla Santa Sede con diversi Stati, nei quali, dopo lÂÂultima grande guerra, a governi monarchici sono subentrati governi repubblicaniÂÂ. Come del resto ripeteva il segretario di Stato Pacelli a proposito dellÂÂatteggiamento della Chiesa nei confronti dei poteri pubblici: ÂÂUnÂÂesperienza di duemila anni le impedisce di esagerare lÂÂimportanza delle questioni legate alla forma dello Stato e delle strutture che esso condizionaÂÂ. E a riprova della moderazione e del realismo della Chiesa di Roma durante la tragedia che di lì a tre anni sarebbe precipitata nella guerra civile spagnola sta la posizione della Santa Sede, e dello stesso Pio XI, per molti mesi notoriamente non favorevoli agli insorti guidati dal generale Franco. Tra i concordati siglati dalla Santa Sede spicca naturalmente quello con il Reich, a cui si arrivò nello stesso 1933, ma in una situazione completamente diversa da quella che Pacelli aveva lasciato tre anni prima, a causa della crescita del consenso nei confronti del nazismo. La Santa Sede e la maggioranza dei vescovi tedeschi ÂÂ a differenza di molti cattolici e della stragrande maggioranza dei protestanti ÂÂ tenne un atteggiamento negativo, anche se lÂÂiniziale opposizione dellÂÂepiscopato dovette fare i conti con lÂÂascesa al potere di Hitler e il consenso nei confronti del nuovo regime. Per ricordare solo un dato, ben undicimila sacerdoti cattolici (quasi la metà del clero tedesco) ÂÂfurono colpiti da misure punitive, politicamente o religiosamente motivate, dal regime nazistaÂÂ, finendo spesso in campo di concentramento. Tra le conseguenze del concordato vi fu lÂÂeliminazione dalla scena politica del partito cattolico (il Zentrum), ma i contrasti tra la Chiesa cattolica e il nazismo si acuirono ÂÂ nonostante le crescenti preoccupazioni per lÂÂaffermarsi del totalitarismo comunista e nonostante il tradizionale antigiudaismo cattolico ÂÂ con lÂÂavvio della legislazione antisemita e le disposizioni sulla sterilizzazione obbligatoria, contro le quali si pronunciò con fermezza, già nel 1934, soprattutto il vescovo di Münster, Clemens von Galen. LÂÂopposizione al nazismo si fece chiara e nel 1936 una lettera collettiva dellÂÂepiscopato chiese al Papa unÂÂenciclica. Pio XI convocò a Roma i tre cardinali tedeschi (Adolf Bertram, Michael von Faulhaber e Karl Joseph Schulte) e i due vescovi più avversi al regime, von Galen appunto, e Konrad von Preysing. Con lÂÂaiuto determinante del cardinale Pacelli e dei suoi fidatissimi collaboratori tedeschi (monsignor Ludwig Kaas e i gesuiti Robert Leiber e Augustin Bea) si arrivò così alla Mit brennender Sorge (ÂÂCon ardente preoccupazioneÂÂ), lÂÂenciclica che nel 1937 condannò lÂÂideologia razzista e pagana ormai affermatasi nel Reich tedesco, e che pochi giorni dopo fu seguita da quelle contro il comunismo ateo (Divini redemptoris) e sulle sanguinose persecuzioni del laicismo massonico contro i cattolici messicani (Firmissimam constantiam). Il rapporto tra Pio XI e il suo segretario di Stato resta ancora da indagare pienamente, e questo potrà essere fatto con il tempo e lo studio progressivo dei fondi archivistici vaticani, che per il pontificato di Papa Ratti, e cioè sino agli inizi del 1939, sono completamente aperti da oltre due anni, ma ben poco consultati dagli studiosi. È nota la stima che il Pontefice ebbe per Pacelli, sin dalla sua creazione cardinalizia, occasione durante la quale pronunciò la frase evangelica (Giovanni, 1, 26), poi interpretata come una premonizione, medius vestrum stat quem vos non scitis. Questa stima si accrebbe di continuo e indusse Pio XI, con unÂÂinnovazione senza precedenti, a inviare il suo segretario di Stato in ripetute missioni internazionali. Così nel 1934 il cardinale Pacelli oltrepassò lÂÂAtlantico ÂÂ come già aveva fatto oltre un secolo prima un altro futuro Papa, il giovane Mastai Ferretti, per la missione diplomatica che lo aveva portato in Cile. Il segretario di Stato e legato pontificio fu così a Buenos Aires per il congresso eucaristico internazionale, e durante il lungo viaggio visitò poi Montevideo e Rio de Janeiro, quindi Las Palmas de Gran Canaria e Barcellona, rientrando in Vaticano agli inizi del 1935. Pochi mesi più tardi il porporato era a Lourdes, dove nellÂÂomelia conclusiva del viaggio contrappose la redenzione di Cristo alla ÂÂbandiera della rivoluzione socialeÂÂ, alla ÂÂfalsa concezione del mondo e della vitaÂÂ e alla ÂÂsuperstizione della razza o del sangueÂÂ: una condanna dellÂÂ ÂÂidolatria della razzaÂÂ che in questi termini chiarissimi sarebbe tornata due anni più tardi sulla bocca del cardinale Pacelli di nuovo inviato in Francia dal Papa, questa volta a consacrare la basilica di Lisieux e poi a Parigi, dove il porporato incontrò esponenti del governo espresso dal Fronte popolare. E nel 1938 un altro congresso eucaristico internazionale portò il segretario di Stato in Ungheria, dove riaffermò il principio tradizionale dellÂÂestraneità della Chiesa nel determinare le forme dei governi e soprattutto denunciò la corsa agli armamenti, ÂÂdivenuta lÂÂoccupazione dominante dellÂÂumanità del XX secoloÂÂ, avvertendo che il ÂÂfurore distruttivoÂÂ di nuovi conflitti avrebbe superato ÂÂquanto di più spaventoso ha conosciuto il passatoÂÂ. Il viaggio forse più importante di Pacelli fu tuttavia nellÂÂautunno 1936 la lunga visita privata che compì negli Stati Uniti, percorrendo migliaia di chilometri anche in aereo, come del resto aveva già fatto in Germania, testimonianza ulteriore della sua modernità. E nel viaggio il cardinale incontrò unÂÂottantina di vescovi e i più importanti esponenti politici, tra i quali il presidente Roosevelt, appena rieletto. Al rientro in Vaticano il Papa gli fece trovare un ritratto con dedica autografa Carissimo Cardinali suo Transatlantico Panamerico Eugenio Pacelli feliciter redeunti. Solo pochi giorni prima Pio XI aveva sorpreso monsignor Tardini, elogiando il suo segretario di Stato ancora in viaggio e concludendo tranquillamente: ÂÂSarà un bel PapaÂÂ. La previsione si compì meno di tre anni dopo, quando ormai la guerra si avvicinava. Per scongiurarla il nuovo Papa, che aveva preso il nome di Pio XII, tentò un estremo appello, scritto con lÂÂaiuto del sostituto Montini e pronunciato una settimana prima che le truppe del Reich invadessero la Polonia: ÂÂUnÂÂora grave suona nuovamente per la grande famiglia umana; ora di tremende deliberazioni, delle quali non può disinteressarsi il Nostro cuore, non deve disinteressarsi la Nostra Autorità spirituale, che da Dio Ci viene, per condurre gli animi sulle vie della giustizia e della pace. (ÂÂ ) Noi, non dÂÂaltro armati che della parola di Verità, al disopra delle pubbliche competizioni e passioni, vi parliamo nel nome di Dio, da cui ogni paternità in cielo ed in terra prende nome (ÂÂ ) È con la forza della ragione, non con quella delle armi, che la Giustizia si fa strada. E glÂÂimperi non fondati sulla Giustizia non sono benedetti da Dio. La politica emancipata dalla morale tradisce quelli stessi che così la vogliono. Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. (ÂÂ ) Noi li supplichiamo per il sangue di Cristo, la cui forza vincitrice del mondo fu la mansuetudine nella vita e nella morte. E supplicandoli, sappiamo e sentiamo di aver con Noi tutti i retti di cuore; tutti quelli che hanno fame e sete di Giustizia ÂÂ tutti quelli che soffrono già, per i mali della vita, ogni dolore. (ÂÂ ) Ed è con Noi lÂÂanima di questa vecchia Europa, che fu opera della fede e del genio cristiano. Con Noi lÂÂumanità intera, che aspetta giustizia, pane, libertà, non ferro che uccide e distruggeÂÂ. LÂÂappello di Papa Pacelli fu vano, come vana restò la denuncia della sua prima enciclica, Summi pontificatus, pubblicata nel primo autunno di guerra e che condannava ÂÂla dimenticanza di quella legge di umana solidarietà e carità, che viene dettata e imposta sia dalla comunanza di origine e dallÂÂuguaglianza della natura razionale in tutti gli uomini, a qualsiasi popolo appartengano, sia dal sacrificio di redenzione offerto da Gesù CristoÂÂ, sostenendo con forza quella ÂÂunità del genere umanoÂÂ che era al centro e nel titolo dellÂÂultima progettata enciclica del suo predecessore al quale Pio XII viene talvolta contrapposto, ma senza reale fondamento. Non vi fu dunque alcuna ÂÂenciclica nascostaÂÂ, così come non fu censurato dal cardinale camerlengo Pacelli lÂÂultimo discorso di Pio XI per il decennale della Conciliazione, che ventÂÂanni dopo, nel 1959, Giovanni XXIII fece pubblicare su ÂÂLÂÂOsservatore RomanoÂÂ. La condanna della Summi pontificatus prendeva poi di mira la ÂÂconcezione che assegna allo Stato unÂÂautorità illimitataÂÂ, definita nellÂÂenciclica ÂÂun errore perniciosoÂÂ, sia per la ÂÂvita interna delle nazioniÂÂ, sia per le ÂÂrelazioni fra i popoli, perché rompe lÂÂunità della società soprannazionale, toglie fondamento e valore al diritto delle genti, apre la via alla violazione dei diritti altrui e rende difficili lÂÂintesa e la convivenza pacificheÂÂ. Veniva infine, durissima, la denuncia dellÂÂÂÂora delle tenebreÂÂ, quando ÂÂlo spirito della violenza e della discordia versa sullÂÂumanità una sanguinosa coppa di dolori senza nomeÂÂ, con lÂÂavvertimento che ÂÂi popoli, travolti nel tragico vortice della guerra, sono forse ancora soltanto agli ÂÂinizi dei doloriÂÂ (Matteo, 24, 8), ma già in migliaia di famiglie regnano morte e desolazione, lamento e miseria. Il sangue di innumerevoli esseri umani, anche non combattenti, eleva uno straziante lamento specialmente sopra una diletta nazione, quale è la Polonia, che per la sua fedeltà verso la Chiesa, per i suoi meriti nella difesa della civiltà cristiana, scritti a caratteri indelebili nei fasti della storia, ha diritto alla simpatia umana e fraterna del mondoÂÂ. E continuava Pio XII: ÂÂIl dovere dellÂÂamore cristiano, cardine fondamentale del regno di Cristo, non è una parola vuota, ma una viva realtà. Un vastissimo campo si apre alla carità cristiana in tutte le sue forme. Abbiamo piena fiducia che tutti i Nostri figli, specialmente coloro che non sono provati dal flagello della guerra, si ricordino, imitando il divino Samaritano, di tutti coloro che, essendo vittime della guerra, hanno diritto alla pietà e al soccorsoÂÂ. La scelta di campo di Pio XII A essere prefigurati nella prima enciclica di Papa Pacelli erano così non solo gli orrori della guerra ma anche la gigantesca opera di carità che la Chiesa cattolica avrebbe dispiegato durante gli anni del conflitto verso tutti, senza distinzione alcuna. A provarla vi sono tra lÂÂaltro i tre milioni e mezzo di documenti dellÂÂUfficio Informazioni Vaticano per i prigionieri di guerra istituito per volontà di Pio XII subito dopo lÂÂinizio del conflitto, un fondo degli archivi vaticani che arriva al 1947 ed è interamente aperto, ma nonostante questo quasi inutilizzato. Sembra infatti che basti aprire un archivio, di cui magari si reclamava a gran voce lÂÂapertura, perché i suoi documenti vengano trascurati: evidentemente a molti la storia importa soltanto se può essere usata come unÂÂarma. Come si dovrebbe sapere, gli archivi della Santa Sede sono aperti per intero sino allÂÂinizio del 1939, mentre per il periodo della guerra e della Shoah il loro contenuto è stato in sostanza anticipato dai dodici volumi degli Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, pubblicati per volere di Paolo VI sin dal 1965. Questa imponente documentazione ÂÂ che si aggiunge a quella sterminata di altri archivi nazionali e privati, a numerosissime testimonianze e alla ricostruzione storica del periodo ÂÂ sta confermando che la polemica sul cosiddetto silenzio di Pio XII, imputato di insensibilità o addirittura di connivenza di fronte alla Shoah, è strumentale, come del resto indicano con chiarezza le sue origini radicate nella propaganda sovietica già durante la guerra, una propaganda poi travasata in quella comunista durante la guerra fredda e infine rilanciata dai suoi epigoni. Come diplomatico di Benedetto XV, Pacelli si adoperò per fare condannare già nel 1915 violenze antisemite esplose in Polonia, mentre negli anni Trenta, come segretario di Stato di Pio XI, fece cessare la propaganda radiofonica antiebraica di un prete cattolico statunitense, Charles Coughlin. Per la sua esperienza tedesca, poi, il porporato conosceva benissimo il nazismo e la sua folle ideologia e più volte, tra il 1937 e il 1939, aveva messo in guardia statunitensi e britannici dal pericolo rappresentato dal Terzo Reich. Ma cÂÂè di più: tra lÂÂautunno del 1939 e la primavera del 1940 il Pontefice appoggiò, con una scelta senza precedenti, il tentativo, presto abortito, di alcuni circoli militari tedeschi in contatto con i britannici di rovesciare il regime hitleriano. E dopo lÂÂattacco tedesco allÂÂUnione Sovietica Pio XII rifiutò di schierarsi e di schierare la Chiesa cattolica con quella che veniva presentata come una crociata contro il comunismo e, anzi, si adoperò per superare le opposizioni di molti cattolici statunitensi allÂÂalleanza con i sovietici, anche se il giudizio sul comunismo del Pontefice e dei suoi più stretti collaboratori restò sempre radicalmente negativo. La rappresentazione di Pio XII come indifferente di fronte alla sorte delle vittime del nazismo ÂÂ i polacchi e, soprattutto, gli ebrei ÂÂ e addirittura come ÂÂPapa di HitlerÂÂ, prima ancora che oltraggiosa è dunque dal punto di vista storico insostenibile, così come senza fondamento storico è lÂÂimmagine di un Pontefice succube degli americani e ÂÂcappellano dellÂÂOccidenteÂÂ, diffusa e sempre sostenuta dai sovietici e dai loro sostenitori nelle democrazie europee durante la guerra fredda. Di fronte alla Shoah Di fronte agli orrori della guerra e a quella che poi sarebbe stata definita la Shoah Papa Pacelli non restò neutrale o indifferente, e quello che venne e viene tuttora bollato come silenzio fu invece una scelta consapevole e sofferta, basata su un giudizio morale e religioso chiarissimo. A riconoscerlo sono state e sono tantissime voci, anche al di fuori del mondo cattolico. Per esempio, già nel 1940 sul ÂÂTimeÂÂ Albert Einstein scrive: ÂÂSoltanto la Chiesa ha osato opporsi alla campagna di Hitler di sopprimere la verità. Non ho mai avuto uno speciale interesse verso la Chiesa prima, ma ora sento un grande affetto e ammirazione perché solo la Chiesa ha avuto il coraggio e la forza costante di stare dalla parte della verità intellettuale e della libertà moraleÂÂ. Da parte sua il domenicano Yves Congar, poi cardinale, riferisce nel suo diario conciliare le confidenze dÂÂun testimone del tempo, il confratello Rosaire Gagnebet. Dopo la strage delle Fosse Ardeatine il Papa sÂÂinterrogò ÂÂcon angosciaÂÂ se denunciarla: ÂÂMa tutti i conventi, tutte le case religiose di Roma erano piene di rifugiati: comunisti, ebrei, democratici e antifascisti, ex generali, ecc. Pio XII aveva sospeso la clausura. Se Pio XII avesse protestato pubblicamente e solennemente, ci sarebbe stata una perquisizione in queste case e sarebbe stato catastroficoÂÂ. Così il Pontefice scelse la protesta diplomatica. Di fronte poi alla minaccia di deportazione comunicò allÂÂarcivescovo di Palermo, cardinale Luigi Lavitrano, che avrebbe ricevuto ÂÂi poteri al suo postoÂÂ e allÂÂambasciatore tedesco affermò senza esitare: si arresterà ÂÂMonsignor Pacelli, ma non il Papa!ÂÂ. LÂÂopera di soccorso disposta da Pio XII verso i perseguitati ÂÂ tra questi moltissimi ebrei, a Roma, in Italia e in diversi altri Paesi ÂÂ fu immensa ed è sempre più documentata, anche da parte di autorevoli storici e intellettuali che certo non sono difensori dÂÂufficio del papato, come Ernesto Galli della Loggia, Arrigo Levi e Piero Melograni. Fatti e documenti stanno lentamente riemergendo da questo passato che non passa. Questa documentazione rende giustizia a quanto Papa Pacelli e la sua Chiesa hanno fatto di fronte alla criminale persecuzione degli ebrei e imporrebbe di riscrivere innumerevoli libri di storia e di relegare nellÂÂoblio la leggenda diffamatoria di un Pontefice filonazista. Nata negli anni del conflitto mondiale, questa culminò nel 1963 con la rappresentazione del dramma Der Stellvertreter di Rolf Hochhuth ed è stata rilanciata nel 2002 dal film Amen di Constantin Costa-Gavras. Che si trattasse di una campagna orchestrata lo aveva denunciato in Italia Giovanni Spadolini già nel 1965, quando lo storico parlò di ÂÂsistematici attacchi del mondo comunista che non mancavano di trovare qualche complicità o qualche condiscendenza anche nei cuori cattolici ÂÂ o almeno in certi cattolici non ignoti neppure allÂÂItaliaÂÂ. Lo ha confermato un quarantennio più tardi un intero dossier da cui risulta che i capi del Terzo Reich consideravano papa Pacelli un nemico: documenti inediti nazisti che erano finiti in mano ai dirigenti dei servizi segreti della Germania comunista e che, naturalmente, erano rimasti nascosti fino a unÂÂinchiesta del quotidiano ÂÂla RepubblicaÂÂ, un giornale che non si può certo definire filopacelliano. A fare il punto sul caso storiografico costituito dal dibattito su Pio XII è stata, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte, una lunga importante intervista che ÂÂLÂÂOsservatore RomanoÂÂ ha fatto a Paolo Mieli, lo storico che dirige il ÂÂCorriere della SeraÂÂ. È un testo molto significativo in cui tra lÂÂaltro Mieli si è detto convinto che a Papa Pacelli gli storici renderanno giustizia; ÂÂquella parte di sangue ebraico che corre nelle mie vene ÂÂ ha aggiunto ÂÂ mi fa preferire un Papa che aiuta i miei correligionari a sopravvivere, piuttosto di uno che compie un gesto dimostrativoÂÂ. E vale la pena rileggere il giudizio conclusivo su Pio XII: ÂÂForse è stato il Papa più importante del Novecento. Fu sicuramente tormentato da dubbi. Sulla questione del silenzio, come ho detto, si è interrogato. Ma proprio questo mi dà lÂÂidea di una sua grandezza. Tra lÂÂaltro mi ha molto colpito un fatto. Una volta finita la guerra, se Pio XII avesse avuto la coscienza sporca, si sarebbe vantato dellÂÂopera di salvezza degli ebrei. Lui invece non lÂÂha mai fatto. Non ha mai detto una parola. Poteva farlo. Poteva farlo scrivere, farlo dire. Non lo ha fatto. Questa è per me la prova di quale fosse lo spessore della sua personalità. Non era un Papa che sentiva il bisogno di difendersi. Per quanto riguarda il giudizio su Pio XII, devo dire che mi è rimasto nel cuore quanto scrisse nel 1964 Robert Kempner, un magistrato ebreo di origini tedesche, numero due della pubblica accusa al processo di Norimberga: ÂÂQualsiasi presa di posizione propagandistica della Chiesa contro il governo di Hitler sarebbe stata non solamente un suicidio premeditato, ma avrebbe accelerato lÂÂassassinio di un numero ben maggiore di ebrei e sacerdotiÂÂ. Concludo: per ventÂÂanni i giudizi su Pio XII sono stati unanimemente condivisi. Secondo me, allora, nellÂÂoffensiva contro di lui i conti non tornano. E chiunque si accinge a studiarlo con onestà intellettuale deve partire proprio da questo. Dai conti che non tornanoÂÂ. Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno concordemente difeso dal punto di vista storico la memoria di Pio XII, la sua azione durante la Seconda Guerra Mondiale e di fronte alla spaventosa tragedia della Shoah. A questo bisogna aggiungere lÂÂonore reso dai Papi alla memoria dei sei milioni di vittime della Shoah e la volontà indubbia di procedere su un cammino di pace, di riconciliazione e di confronto religioso con lÂÂebraismo, come Paolo VI ha fatto ai tempi del Vaticano II e durante il suo pontificato, come Giovanni Paolo II ha costantemente e tenacemente predicato, e come Benedetto XVI ha ripetuto in tante occasioni, e in particolare questÂÂanno nei viaggi negli Stati Uniti, in Australia e soprattutto in Francia. La causa di canonizzazione ComÂÂè noto, di Papa Pacelli è in corso la causa di canonizzazione, un fatto religioso che esige di essere rispettato da tutti e che nella sua specificità è di esclusiva competenza della Santa Sede. Nel 1965 Paolo VI, annunciando in concilio lÂÂavvio delle cause di Pio XII e Giovanni XXIII, ne spiegò le ragioni: ÂÂSarà così assecondato il desiderio, che per lÂÂuno e per lÂÂaltro è stato in tal senso espresso da innumerevoli voci; sarà così assicurato alla storia il patrimonio della loro eredità spirituale; sarà evitato che alcun altro motivo, che non sia il culto della vera santità e cioè la gloria di Dio e lÂÂedificazione della sua Chiesa, ricomponga le loro autentiche e care figure per la nostra venerazione e per quella dei secoli futuriÂÂ. Da parte sua Benedetto XVI, celebrando a San Pietro in memoria di Pio XII, ha esortato a pregare ÂÂperché prosegua felicemente la causa di beatificazioneÂÂ. È unÂÂesortazione che accolgo volentieri e alla quale mi associo, ricordando e celebrando un Romano Pontefice che è stato grande, e alla cui conoscenza questo convegno contribuirà sicuramente molto. Bibliografia sommaria Giovanni Spadolini, Il Tevere più largo, Napoli, Morano Editore, 1967 (Athenaeum X), pp. 281-292. Roberto Morozzo della Rocca, Unione Sovietica e questione comunista nellÂÂopinione pubblica cattolica in Italia, in Pio XII, a cura di Andrea Riccardi, Roma-Bari, Editori Laterza, 1984, pp. 379-407. Giovanni Battista Montini (Paolo VI), Lettere ai familiari 1919-1943. A cura di Nello Vian. Premessa di Carlo Manziana, Brescia, Istituto Paolo VI, 1986 (Pubblicazioni dellÂÂIstituto Paolo VI, 4). Pierre Blet, Le cardinal Pacelli, secrétaire dÂÂÉtat de Pie XI, in Achille Ratti Pape Pie XI. Rome, École Française de Rome, 1996 (Collection de lÂÂÉcole Française de Rome, 223), pp. 197-213. Jean-Marie Mayeur, Guerre mondiali e totalitarismi (1914-1958), Roma, Borla - Città Nuova, 1997 (Storia del cristianesimo, 12), pp. 320-328 (traduzione italiana dellÂÂoriginale francese pubblicato nel 1990). 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