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BENEDIZIONE DELLA CAPPELLA RESTAURATA
DI SAN CARLO DELL’AMBASCIATA D’ITALIA PRESSO LA SANTA SEDE.

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Mercoledì, 3 dicembre 2008

 

Signor Ambasciatore,
cari confratelli vescovi e sacerdoti,
illustri Autorità,
cari amici!

Sento innanzitutto il bisogno di ringraziare Lei, Signor Ambasciatore, per avermi invitato a benedire questa cappella così bene restaurata e a presiedervi la Santa Eucaristia.

Saluto cordialmente tutte le autorità e le personalità, gli ecclesiastici, i familiari, gli amici e quanti prendono parte a questo rito semplice e familiare. Non pochi tra di voi ricoprono cariche di alto rilievo e sono stati chiamati a svolgere delicati e importanti servizi nella Chiesa e nello Stato: vogliamo pregare perché possiamo tutti adempiere fedelmente le varie mansioni che ci sono state affidate.

Un pensiero speciale rivolgo a S.E. il Presidente della Repubblica Italiana che Lei rappresenta, Signor Ambasciatore. Voglia ringraziarlo da parte mia per l’attenzione che sempre riserva alla Chiesa e alla Santa Sede e per il servizio altamente qualificato che rende al popolo italiano. Un ringraziamento sincero mi pare doveroso debba andare anche a coloro che con il loro contributo, ad ogni livello, hanno reso possibile il completamento della ristrutturazione della cappella in tempo per la visita del Santo Padre, sabato 13 dicembre. Per tutti e ciascuno invoco la costante protezione di Dio.

La prossima visita di Sua Santità, che in un certo modo io precedo con l’odierna celebrazione, si pone nella scia dei suoi predecessori: Pio XII, il 2 giugno 1951, venne qui in occasione della consacrazione dell’altare maggiore della vicina basilica di sant’Eugenio a Valle Giulia; Paolo VI, visitò l’Ambasciata il 2 ottobre 1964 e benedisse la nuova cappella dedicata a san Carlo Borromeo; Giovanni Paolo II rese visita all’Ambasciata e sostò in questa cappella quando, il 2 marzo del 1986, si recò in visita pastorale all’attigua parrocchia di sant’Eugenio. Queste visite stanno a testimoniare la stima e la vicinanza della Santa Sede con l’Italia e i rapporti di piena mutua collaborazione che intercorrono tra la Chiesa e lo Stato nella nostra Penisola. Mi piace porre in risalto tutto questo pensando già al mese di febbraio del prossimo anno, che segnerà l’80° anniversario della firma dei Patti Lateranensi e il 25° dell’Accordo di modifica del Concordato. Tante ragioni per ringraziare il Signore ed invocarlo perché continui a proteggere l’Italia, segnata in questo momento, come del resto l’intera comunità mondiale, da una grave crisi economica; vogliamo pregare Iddio perché il popolo italiano cresca nella solidarietà, nell’unità e nella pace.

Questa cappella è dedicata al grande Arcivescovo di Milano, san Carlo Borromeo, esempio di diplomatico fine ed illuminato e di pastore santo e zelante. In questo palazzo, che aveva ricevuto in dono dallo zio, il Pontefice Pio IV, egli visse insieme al fratello maggiore Federico. E proprio mentre abitava qui, secondo le testimonianze storiche, egli, già cardinale a 22 anni e associato dallo zio al diretto governo della Chiesa, si direbbe oggi come Segretario di Stato, dopo la morte improvvisa di Federico fece un corso di esercizi spirituali e si convinse che Dio lo chiamava a rinunciare in forma radicale e definitiva al mondo per seguire l’esempio dei santi di quell’epoca: Gaetano da Thiene, Ignazio di Loyola e Filippo Neri. Decise quindi di farsi ordinare sacerdote e si incamminò su questa via scegliendo più tardi, quando sarà ordinato Vescovo, il motto: “humilitas”.

I testi biblici, scelti per questa liturgia, ce lo presentano come modello da imitare e ci invitano tutti, ognuno secondo la propria responsabilità, ad un impegno serio nel servire la Chiesa e il bene comune.

L’esempio che la Parola di Dio ci ha proposto è quello di Cristo buon Pastore, che si prende cura del gregge affidatogli dal Padre, ossia tutta l’umanità, e lo fa in modo talmente premuroso e vigilante da non esitare a sacrificare la propria stessa vita. Gesù diviene quindi il modello a cui ogni soggetto responsabile nella Chiesa e nella società deve guardare. Questo famoso brano del Vangelo fa emergere quali siano le caratteristiche proprie di colui che viene definito come il buon pastore.

Il buon Pastore anzitutto conosce le sue pecore. E’ bello soffermarci su questa qualità: conoscere, sappiamo, è molto più che un semplice acquisire e gestire delle informazioni. La conoscenza, secondo il linguaggio biblico, comporta lo stare assieme e il condividere. Ad imitazione di Cristo, ogni pastore, ogni responsabile, deve contraddistinguersi per queste virtù: la vicinanza e la pazienza, l’ascolto e il sostegno, la fermezza e la dolcezza, l’attenzione ai piccoli e agli ultimi, l’ottimismo e la dedizione. Questo è lo stile del buon pastore incarnato da san Carlo, anche se per carattere era portato alla severità del comando più che alla dolcezza della persuasione. “Tutte le vostre cose – dirà nel discorso tenuto all’ultimo Sinodo di Milano - si facciano nella carità, così potremo superare tutte le difficoltà che innumerevoli dobbiamo sperimentare giorno per giorno; e così avremo le forze per generare Cristo in noi e negli altri”.

Conoscere per noi cristiani è praticare quella carità, che il Signore ci ha lasciato come suo testamento. Non è infatti, come taluni intendono, esclusivamente un aiuto e un sostegno offerto al singolo sofferente, ma una virtù che punta a incidere positivamente nella società e al suo reale miglioramento. Lo ha ben ricordato Benedetto XVI nella sua prima enciclica Deus caritas est, dove nella seconda parte approfondisce gli aspetti concreti dell’amore di Dio da tradurre in gesti di servizio all’uomo e alla comunità. L’amore è risposta ai bisogni delle persone, e questo comporta conoscenza delle situazioni da cambiare e coraggio nell’adottare quei cambiamenti necessari nella società e nelle istituzioni.

C’è poi, nelle parole di Gesù che abbiamo ascoltato nel Vangelo, un’altra caratteristica che deve avere ogni pastore e cioè un amore responsabile, imitando lui stesso, il Buon Pastore per eccellenza, che offre la vita per i suoi discepoli. Dirà Gesù: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. (Gv 13,15). Come non cogliere nell’esempio di Cristo un invito a saper amare i propri collaboratori, le persone con cui si viene a contatto, i destinatari del nostro servizio, i compagni del nostro lavoro? Gesù ci insegna ad avere una dedizione sincera e un’attenzione costante verso le persone che frequentiamo. Alla luce di queste considerazioni ogni persona investita di un’autorità, avverte di essere chiamata a incarnare la sua originaria responsabilità verso chiunque si rivolge a lei - sovente sprovveduto, o intimorito - non trattandolo come un anonimo utente, o peggio, come una pratica da sbrigare, ma come persona portatrice di una identità e di una storia. La regola fondamentale è sempre la stessa: trattare l'uomo come un fine. Se si riflette bene, solo su questa base una società può funzionare veramente. E’ un cammino certamente non facile, ma l’unico che conduca a quella solidarietà vera che deve contraddistinguere le comunità dove legge fondamentale è l’amore, la divina carità.

Modello di un amore che si fa tutto a tutti senza lasciarsi condizionare dalle difficoltà e dagli ostacoli, fu san Carlo Borromeo. Quando a Milano scoppiò la peste di manzoniana memoria, era il 1576, il governatore della città fuggì con tutta la sua famiglia. L’Arcivescovo san Carlo invece, che si trovava fuori in visita pastorale, rientrò subito e si mise personalmente a coordinare i soccorsi, divenendo l’unico punto di riferimento e di conforto, così da essere chiamato “angelo degli appestati”. Passata la peste, la vita tornò normale in città, ma san Carlo Borromeo era ormai minato nel fisico a causa delle fatiche che aveva sopportato senza risparmiarsi. E così, proprio mentre faceva gli esercizi spirituali sul Sacro Monte di Varallo – quegli esercizi spirituali che a Roma avevano segnato la scelta evangelica della sua esistenza – fu colto da una febbre che qualche giorno dopo lo condusse alla morte: si spense nella sua sede, a Milano il 3 novembre del 1584.

Ci aiuti questo Santo, che Paolo V proclamò santo e additò come modello a tutti i pastori della Chiesa, ad impegnare la nostra esistenza al servizio dei fratelli con dedizione totale; ci aiuti a capire che il segreto di una esistenza piena di amore è Gesù Cristo, Figlio della Vergine Maria, che si è incarnato ed ha dato la vita per noi. Anzi ha voluto restare con noi e, anche tra poco, si farà realmente presente nel sacramento dell’Eucaristia, per essere nostro nutrimento di salvezza e farmaco di immortalità. Apriamogli il cuore perché possa rinnovare le nostre esistenze, come avvenne per san Carlo, come avviene per tutti i santi e i fedeli suoi discepoli. Amen!

 

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