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X ANNIVERSARIO DELL’ISTITUZIONE DEL COLLEGIUM LATERANENSE “BEATO GIOVANNI XXIII”

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Venerdì, 12 dicembre 2008

 

Eccellenza Reverendissima Magnifico Rettore della Pontificia Università Lateranense,
Eccellenze Reverendissime,
Monsignor Rettore,
Cari Sacerdoti del Collegium Lateranense,
Cari fratelli e sorelle,

Sono davvero lieto di celebrare con voi la Santa Messa di ringraziamento, a dieci anni dall’istituzione di questo Collegio ecclesiastico, intitolato al Beato Papa Giovanni XXIII. E’ per me una gradita occasione per conoscerlo meglio e soprattutto per pregare insieme con voi il Signore, elevando a Lui il rendimento di grazie ed invocando una rinnovata effusione di doni celesti per il futuro che vi attende. Prima di tutto devo recarvi il saluto del Santo Padre Benedetto XVI, il quale mi ha incaricato di assicurare la sua vicinanza spirituale e di porgervi il suo personale augurio per la ricorrenza decennale. Saluto Sua Eccellenza Mons. Rino Fisichella, insieme con il Reverendo rappresentante del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su Matrimonio e Famiglia. Saluto cordialmente il Rettore, Monsignor Gilfredo Marengo, ringraziandolo per il cortese invito, e tutti voi, sacerdoti studenti, venuti a Roma da diversi Paesi per approfondire la vostra formazione. Un saluto particolare rivolgo infine alle religiose: alle Povere Figlie di Maria Santissima Incoronata, a cui appartiene questa Casa, fatta costruire negli anni Trenta del secolo scorso come orfanotrofio; e anche alle Piccole Missionarie di Maria Immacolata, che prestano servizio nel Collegio.

Il tempo di Avvento è quanto mai favorevole per una lettura cristiana della storia. Più che ogni altro periodo liturgico, esso conferisce una speciale grazia alla dimensione temporale, perché ci insegna a interpretare il passato, il presente e il futuro alla luce del mistero del Dio-che-viene, il Signore della storia, che ha animato la speranza d’Israele, l’ha compiuta nell’Incarnazione del Verbo e la manifesterà pienamente alla fine dei tempi. Tutto noi cristiani leggiamo all’interno di questo disegno, che san Paolo chiama il “mistero”: sia la storia personale, sia quella della Chiesa, come pure le vicende dell’intera umanità. Così che l’“oggi”, il presente che ci è dato di vivere, si carica di una singolare pregnanza: è il tempo propizio per accogliere la signoria di Colui che viene, per fare spazio al suo Regno, che è già inaugurato ma non ancora pienamente realizzato. Anche quest’“oggi” della storia del Collegio Lateranense – un piccolo tassello della grande storia della Chiesa – acquista tutta la sua rilevanza in tale prospettiva, che la Parola di Dio ci aiuta a percepire.

Nel Vangelo di questo venerdì della seconda settimana di Avvento Gesù dice alla folla: “A chi posso paragonare questa generazione?” (Mt 11,16). Siamo invitati ad essere consapevoli della situazione storica, culturale e sociale in cui viviamo. Della realtà nella quale in particolare voi, cari sacerdoti, vivete gli anni dei vostri studi romani, come forma specifica della vostra partecipazione alla missione della Chiesa. Gesù ci rivela l’atteggiamento di Dio nei confronti della storia, atteggiamento che presenta due aspetti: anzitutto Dio prende sul serio la storia, non “passa oltre”, ma la percorre con gli uomini, assumendola pienamente nel proprio disegno di salvezza; secondo aspetto: Dio non rimane mai prigioniero della storia, è il Signore, e la giudica criticamente. Tutto questo possiamo leggere nell’espressione di Gesù: “A chi paragonerò io questa generazione?”. Sentiamo da una parte l’amore, la passione di Gesù per l’umanità, il desiderio di essere accolto, compreso, l’attesa – potremmo dire – che la generazione degli uomini si apra al messaggio di Dio; e al tempo stesso sentiamo la signoria di Cristo, la sua capacità di guardare con gli occhi di Dio, nell’assoluta certezza che – come dice – “la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie” (Mt 11,19).

Questo tipo di sguardo sul mondo e sulla storia lo ritroviamo nel Magistero della Chiesa, che è sempre animato dall’amore appassionato per l’uomo, nel costante sforzo di fedeltà a Dio e alla sua sapienza. Ad esempio, possiamo riconoscere un’eco dell’osservazione di Gesù sulla sua generazione nel discorso che il Papa Benedetto XVI ha tenuto a Parigi, esattamente tre mesi fa, incontrando il mondo della cultura. “Le nostre città – egli ha detto – non sono più piene di are ed altre immagini di molteplici divinità. Per molti, Dio è diventato veramente il grande Sconosciuto. Ma come allora dietro le molteplici immagini degli dèi era nascosta e presente la domanda circa il Dio ignoto, così anche l’attuale assenza di Dio è tacitamente assillata dalla domanda che riguarda Lui”. E concludeva: “Quaerere Deum – cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati”. Spesso gli uomini del nostro tempo ci appaiono sopraffatti dal pregiudizio, come i contemporanei di Gesù che si erano scandalizzati sia del Battista, sia della predicazione del Figlio dell’Uomo. Sappiamo quanto sia doloroso e difficile affrontare questa situazione, ma nello stesso tempo dobbiamo essere consapevoli che, proprio perché la nostra vita è chiamata a seguire ed imitare Gesù, nulla di quanto Egli ha vissuto ci viene risparmiato, ma vivendolo con Lui e affidandoci alla sua grazia, siamo certi e colmi di speranza che il nostro cammino e la nostra missione possono portare frutti buoni e duraturi.

Una grazia particolare è anche vivere e studiare a Roma. Possiamo ben dire che il dono di questi anni romani, se accolto e valorizzato con fede, può essere per ciascuno di voi, cari sacerdoti, un’occasione speciale per sperimentare ciò che Dio ha promesso per bocca del profeta Isaia e che abbiamo ascoltato nella prima Lettura odierna: “Io sono il Signore, tuo Dio, / che ti insegno per il tuo bene, / che ti guido per la strada su cui devi andare” (Is 48,17). Voi avete la possibilità di “imparare Roma”, secondo la felice espressione usata dal venerato Papa Giovanni Paolo II per dire l’atteggiamento con cui compì i suoi studi nell’Urbe, negli anni del secondo dopoguerra. In questo luogo non solo potete ricevere un’elevata formazione accademica, ma, per la singolare vicinanza alla Sede Apostolica e per la presenza tra di voi e nelle vostre Facoltà di studenti che rappresentano realmente il volto universale della Chiesa, potete approfondire il sentire cum Ecclesia. Il vostro cuore e la vostra intelligenza si possono aprire alle dimensioni universali della nostra Madre Chiesa, e in tale apertura ritroverete una maggiore e più appassionata capacità di amare e di servire le Chiese particolari, i popoli e le culture da cui provenite.

In questo cammino, siate fiduciosi di poter sperimentare, accompagnati dalle comunità accademiche di cui fate parte e da questo stesso Collegio che vi accoglie, un’autentica maturazione della vostra vocazione presbiterale ed intellettuale. L’augurio che vi faccio è di poter rinnovare in voi la grande testimonianza dell’apostolo Paolo, al quale la Chiesa guarda con particolare attenzione in questo anno giubilare a lui dedicato. Al riguardo, ci ha offerto un’indicazione molto suggestiva il Santo Padre, sempre nel già citato discorso parigino al mondo della cultura, là dove dice: “Paolo non annuncia dèi ignoti. Egli annuncia Colui che gli uomini ignorano, eppure conoscono: l’Ignoto-Conosciuto; Colui che cercano, di cui in fondo hanno conoscenza e che, tuttavia, è l’Ignoto e l’Inconoscibile”. Notate come questa prospettiva sia in sintonia con l’esperienza stessa di Gesù: Egli è venuto a farci conoscere il volto del Padre, e disse una volta: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il figlio vorrà rivelarlo” (Mt 11,27); e un’altra volta disse, proprio ad uno dei Dodici, Filippo: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto?” (Gv 14,9). Prosegue il Santo Padre: “La novità dell’annuncio cristiano non consiste in un pensiero, ma in un fatto: Egli si è mostrato. Ma questo non è un fatto cieco, ma un fatto che, esso stesso, è Logos – presenza della Ragione eterna nella nostra carne. Verbum caro factum est (Gv 1,14)”. E conclude: “Certamente occorre sempre l’umiltà della ragione per poter accoglierlo; occorre l’umiltà dell’uomo che risponde all’umiltà di Dio”.

Questo affidamento al Signore, l’attesa fiduciosa della sua venuta è proprio il carattere peculiare del tempo liturgico che stiamo vivendo, e che trova la sua icona per eccellenza nella Vergine Maria. Lei è la Sedes Sapientiae, in cui l’umiltà di Dio, la sua condiscendenza ha trovato la risposta perfetta. Tutti sappiamo quanto fosse intimo, ma direi anche concreto, il legame filiale con Maria del beato Giovanni XXIII. Dalle pagine del suo Giornale dell’anima possiamo imparare l’autentica devozione mariana. Oggi, 12 dicembre, una felice coincidenza ci invita a fare memoria della Vergine così come si mostrò al beato Juan Diego, alle origini della storia del Messico, quale Nostra Signora di Guadalupe. So che Ella è particolarmente venerata in questo Collegio, perché molti di voi provenite dall’America Latina, e perciò siete posti sotto la sua speciale protezione. Ma c’è un aspetto del messaggio di Guadalupe che riguarda tutta la Chiesa, e in modo speciale i sacerdoti, in quanto ministri del Vangelo. Mi riferisco al fatto che Maria si manifestò quale testimone eloquente dell’amore di Dio per il popolo indio, per la sua storia, per la sua cultura. Tutto, nella Vergine Guadalupana, è al servizio dell’incarnazione del Vangelo in mezzo a quelle popolazioni. Pertanto, cari fratelli, lasciamoci ammaestrare da Lei, per diventare sacerdoti secondo il cuore di Dio, dedicati al servizio del suo Regno che viene e che vuole raggiungere tutti gli uomini e tutti i popoli, assumendo il buono di ogni cultura e portandolo alla sua pienezza. Tutto il vostro lavoro intellettuale porterà il massimo frutto se sarà compiuto con la sapienza e l’umiltà che la Vergine Maria sa ispirare ai suoi figli fedeli. Tutto andrà a edificazione vostra e della Chiesa, per la diffusione del Vangelo nel mondo e a maggiore gloria di Dio.

 

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