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INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO
DEL TRIBUNALE DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Sabato, 10 gennaio 2009

 

Cari fratelli e sorelle,

il tempo natalizio sta per terminare, ed in questi giorni la liturgia continua ad invitarci a fissare lo sguardo su Gesù, il Figlio di Dio che ha voluto farsi nostro fratello per la nostra salvezza. Nella povertà di Betlemme, il Padre celeste ci ha rivelato la ricchezza del suo amore e ci ha fatto dono della sua pace. La pace, osserva san Bernardo in un discorso sull’Epifania, “non promessa, ma inviata; non differita, ma donata; non profetata, ma presente”. San Bernardo usa poi una immagine molto suggestiva: “Dio Padre ha inviato sulla terra un sacco, - egli afferma - per così dire, pieno della sua misericordia; un sacco che fu strappato a pezzi durante la passione perché ne uscisse il prezzo che chiudeva in sé il nostro riscatto”. Egli ci ha così reso giustizia.

Questo richiama alla nostra mente il Natale che abbiamo celebrato. Nella Notte Santa è risuonato l’annuncio dell’angelo ai pastori: “Non temete, vi annunzio una grande gioia che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato…un salvatore”. Nella solennità dell’Epifania, una stella di luce ha guidato il cammino dei Magi sino a Gesù. “Al vedere la stella – nota l’evangelista – provarono una gioia grandissima”. Pace, gioia e luce sono i contenuti che ritornano in ogni celebrazione liturgica di questo periodo; sono i doni del Natale che ci accompagneranno durante tutto l’anno.

Sì, perché il Natale di Cristo, commenta san Leone Magno, è Natale di pace. Le tante notizie di cronaca nera, i molti episodi di guerra e di violenza che quotidianamente registrano gli organi di informazione non riusciranno mai a spegnere la luce che si è accesa per gli uomini con la nascita dell’Emmanuele; l’egoismo e l’odio, l’indifferenza e la tristezza non potranno mai vincere la potenza della pace di Cristo, non saranno mai in grado di impedire alla gioia di Cristo di diffondersi nei cuori degli uomini.

In questo clima spirituale, che scaturisce dal mistero del Natale di Gesù, inauguriamo quest’oggi l’anno giudiziario del Tribunale vaticano. Porgo il mio saluto deferente ai Signori Cardinali, agli Ecc.mi Arcivescovi, Vescovi e Prelati, al Presidente del Tribunale, ai giudici, alle Autorità della magistratura italiana, agli invitati per l’odierna cerimonia e a tutti i presenti. La Santa Messa che celebriamo è quella votiva dello Spirito Santo: ne vogliamo invocare con fede la divina assistenza sugli addetti ai vari uffici giudiziari dello Stato della Città del Vaticano e sul loro quotidiano lavoro delicato e di grande responsabilità, qual è appunto l’amministrazione dell’umana giustizia.

Nel brano evangelico, san Luca ci fa gustare un momento significativo della predicazione del Signore a Nazaret, all’inizio della sua vita pubblica. Egli afferma di sé, citando l’antica profezia: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi… lo Spirito del Signore è sopra di me”. Consacrato con l’unzione, Gesù dice con forza di essere inviato ad annunziare ai poveri “un lieto messaggio”, a proclamare “ai prigionieri la liberazione”, a “rimettere in libertà gli oppressi”. Questa profezia avrà il suo pieno compimento, quando, assumendo su di sé il peccato del mondo, Gesù con la sua morte e risurrezione sconfiggerà il potere del male e dell’ingiustizia e realizzerà il disegno salvifico del Padre celeste, instaurando il suo regno di giustizia, di amore e di pace. Letto nel contesto dell’odierna inaugurazione dell’anno giudiziario vaticano, questo breve passaggio del Vangelo di Luca, ci invita a lasciarci sempre condurre dallo Spirito del Signore, perché noi possiamo recare a tutti, anche amministrando la giustizia, il lieto messaggio del vero amore di Dio.

Di questo amore tratta il brano della Lettera di san Giovanni, che abbiamo ascoltato nella prima lettura. In verità la liturgia già da diversi giorni propone alla nostra meditazione questa Lettera, che opportunamente proclamata nel tempo natalizio, costituisce una vera sinfonia monotematica sull’amore, con variazioni capaci di farne cogliere tutta la bellezza, l'ampiezza e la profondità. L’amore di Dio è entrato nel mondo; se entra nella nostra vita la rinnova rendendoci capaci, a nostra volta, di ricambiare quest’amore divino con un amore diretto alle persone che quotidianamente incontriamo. Ora, osserva l’apostolo, se contiamo unicamente sulle nostre forze, amare alla maniera di Dio risulta impossibile. Poiché però si tratta di un precetto divino, tutto è possibile a condizione che restiamo in comunione con il Signore. Sappiamo bene come questo comandamento sia importante per ogni discepolo del Signore e come vada incarnato nelle varie attività e compiti di ciascuno. La stessa dottrina la ritroviamo nella Prima Lettera di Pietro, che esorta ad amarci intensamente, di vero cuore, “essendo stati rigenerati.. da un seme incorruttibile, cioè dalla parola di Dio”. E’ dunque in questa luce che dobbiamo guardare gli altri per amarli come Gesù ci ama, nella volontà del Padre.

Quando si parla di amore e di giustizia, non è superfluo ricordare che ciò che deve guidare coloro che operano nel campo della giustizia non è la soddisfazione personale, ma la tutela del bene comune, dell’armonia fra le persone, scegliendo di preferenza la difesa del più debole, per garantire a tutti i beni personali e materiali di cui si ha bisogno. La legge è pertanto da sempre la forza di chi è più debole, ha cioè in sé la forza del diritto, che fa superare la barbarie del diritto della forza. Colui che amministrare la giustizia dovrebbe sempre avere quello che si chiama “timor di Dio”: la consapevolezza di rispondere ad una giustizia superiore, di cui si deve cercare di essere strumento intelligente e attivo.

Preghiamo quindi in modo speciale, per quanti a titolo diverso sono “amministratori” dell’umana giustizia, perché siano sempre rispettosi della verità e attenti a tutte le esigenze della dignità dell’uomo. Il principio dell’amore alla persona umana – come voi ben sapete - costituisce fondamento e qualificazione di ogni ordinamento sociale e giuridico. Richiamare questo principio essenziale, aiuta a comprendere, onde evitarlo, quello che oggi costituisce un reale pericolo ai danni della solidarietà: mi riferisco all’individualismo moderno, di cui già molti anni fa parlava con preoccupante tristezza Romano Guardini[1] e di cui l’odierna ideologia del nichilismo rappresenta l’espressione più nefasta. Un’ideologia che tende a isolare l’uomo dai valori comuni, dalle gerarchie tradizionali, dai ruoli sociali, sottraendo la ragione dall’ordine oggettivo, cioè la legge naturale. Di conseguenza l’esistenza umana viene a perdere di significato e ad assumere il valore contingente del calcolo economico, rifiutando tutto ciò che trascende l’interesse individuale e senza più alcuna relazione ad una verifica superiore. Gli effetti di questa alienazione dell’uomo sono la non curanza per qualsiasi forma di sana tradizione, il disinteresse per i doveri provenienti dalle varie forme di vita associativa, l’indifferenza ai doveri della giustizia e della solidarietà umana.

La Chiesa, attraverso il suo luminoso Magistero, in particolare nei testi del Concilio Vaticano II, invita a coltivare la solidarietà come espressione dell’amore che Gesù ha proclamato come il più grande dei comandamenti. In esso, la pace universale, la comunità degli uomini, la società fraterna non sono soltanto utopie, sono riferimenti di valore che corrispondono alle aspirazioni profonde della natura umana e conducono a incontrare, scoprire e capire sempre più il lungo cammino delle culture e delle civiltà umane verso il disegno di Dio sull’uomo.

Questa carità, che Gesù ha stabilito come “il distintivo dei suoi discepoli” (cfr AA 8), sia il motivo ispiratore di ogni nostra scelta e decisione; sia specialmente il motivo conduttore dell’intera l’attività del Tribunale vaticano: tutto si svolga nell’amore di Dio e del prossimo che porta il sigillo di Dio, Creatore e Padre.

Auguro a tutti voi che a vario titolo partecipate all’inaugurazione dell’anno giudiziario di poter avere da Dio e dagli uomini la stima e la riconoscenza per il grande e delicato servizio reso all’intera comunità e di meritare il titolo di onore, che è biblico, “uomo giusto”!

Domandiamo questo al Signore mentre proseguiamo la celebrazione eucaristica, invocando fiduciosi la materna intercessione di Maria, Speculum iustitiae e Sedes Sapientiae. Amen!


[1] Cfr La fine dell’epoca moderna, Brescia, Morcelliana, 1960, p. 74.

 

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