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SOLENNITÀ DEL CORPUS DOMINI

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Abbazia Santa Maria di Rosano
Domenica, 14 giugno 2009

 

 

Reverenda Madre Abbadessa,
Reverende Suore,
Carissimi fedeli,

sono venuto volentieri all’Abbazia di Rosano, come ho fatto altre volte negli anni passati, attirato dal clima di preghiera e di comunione fraterna che qui si respira, che ristora l’anima e solleva dalle fatiche quotidiane del lavoro apostolico. Vi ringrazio per il vostro invito e chiedo al Signore di ricolmare la nostra assemblea dei suoi doni spirituali, a giovamento dell’anima, ma anche a giovamento del corpo.

La solennità del Corpus Domini ci porta a considerare che l’uomo – il cristiano – trova la via della vita solo se si lascia condurre da Colui che è insieme “parola e pane”. Così scriveva tempo addietro il Cardinale Ratzinger, ora nostra amato Papa Benedetto XVI: “Il Corpus Domini ci indica cos’è tutta la nostra vita, che cos’è l’intera storia di questo mondo: un pellegrinaggio verso la terra promessa, che mantiene la direzione camminando con Colui che è venuto in mezzo a noi come pane e parola…” (Cercate le cose di lassù, Ed. Paoline 1986, p. 67- 68).

Il senso di questo giorno è quello di celebrare cosmicamente l’Eucaristia. L’Eucaristia – a dire di San Tommaso d’Aquino – è il più grande dei miracoli. Il Concilio Vaticano II afferma che “nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini” (PO, 5).

Con l’Eucaristia Cristo ha sciolto il problema che poneva la sua partenza definitiva dal mondo terrestre: la sua assenza nello sviluppo della Chiesa poteva sembrare un vuoto irreparabile, e invece nella silenziosa presenza eucaristica, Cristo cammina con noi, e promette di accompagnarci verso le incognite del futuro. Una bella meditazione di Chiara Lubich sulla presenza eucaristica, dice: “No, non è rimasta fredda la terra: Tu sei rimasto con noi! Che sarebbe il nostro vivere se i tabernacoli non ti portassero? Tu hai sposato una volta l’umanità e le sei rimasto fedele”.(Scritti spirituali/1, Ed. Città Nuova 1978, p. 289).

Il cristiano che si nutre dell'Eucaristia può e deve riconoscere la realtà nascosta della persona divina di Cristo, nel suo corpo e nel suo sangue. Così lascia assimilare se stesso da questo cibo, aprendosi alla vita divina che l'eleva e lo trasforma. Teodoro Studita, vissuto nell’ottavo secolo, esortando i monaci alla comunione frequente ebbe a dire: “Secondo il mio parere, o piuttosto secondo la verità, sarebbe per noi un grande aiuto, poiché preparandoci a partecipare alla comunione ci conserviamo puri” (Piccole catechesi 107).

L'Eucaristia è, per così dire, il “bacio” di Dio alla sua creatura, e perciò stesso il grande canto della dignità umana. Se Dio, nel pane eucaristico, si fa in qualche modo “ospite” dei suoi figli, loro “nutrimento”, in una intimità che non ha paragoni, ciò dice più di ogni altra cosa quanto grande sia il valore dell'uomo. Ciò è dimostrato dai vertici dell’esperienza mistica, dall’unione trasformante a cui sono arrivati certi santi. Di fronte a un tale dono, l'animo non può che sciogliersi nel ringraziamento e nella lode: “Pange, lingua, gloriosi corporis mysterium... ".

Fatte tali premesse, lasciamoci ora guidare dai testi biblici proposti per la celebrazione liturgia odierna.

Nella religione giudaica, la presenza perpetua di Dio era venerata in un luogo particolare. Quando il popolo viveva sotto le tende, questa presenza era stata riconosciuta nella “tenda del convegno”; in questa tenda Dio parlava “con Mosè faccia a faccia, come un uomo parla al suo amico” (Es 33 II). Ciò che era prefigurato nell'antica alleanza doveva realizzarsi pienamente nella nuova alleanza, come spiega la Lettera agli Ebrei, letta poc’anzi: “Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d'uomo, cioè non appartenente a questa creazione”.

La prima lettura dal libro dell’Esodo fa memoria del rito dell’alleanza fra Dio e il popolo, in cui il sangue dell’agnello sacrificale aveva una funzione simbolica di grande rilievo. Infatti una metà del sangue era aspersa sull’altare, simbolo di Dio, e l’altra metà sul popolo. In questo modo tra Dio e il popolo si stabiliva un’alleanza di sangue, una comunione di vita, una solidarietà.

In merito a ciò, Paolo, scrivendo agli Ebrei, esplicita invece il senso della nuova alleanza stabilita da Cristo stesso: “Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo - il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio - purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?”.

In forza del sangue versato da Cristo; “Il sangue dell’alleanza versato per tutti” – come afferma solennemente Marco nel suo Vangelo – viene incisa nei nostri cuori la nuova legge, quella del comandamento nuovo dell’amore reciproco. Scolpita nel cuore, questa legge interiore consiste nel dono dell’amore di Cristo, nella forza del suo Spirito ed è la sorgente della comunione fraterna, dell’unione e della solidarietà che regna tra i battezzati. Non si può onorare il Corpus Domini sulla mensa e poi disprezzare lo stesso Corpus Domini nei fratelli. Giovanni Crisostomo, padre della Chiesa, Vescovo di Costantinopoli, amava dire: “Se volete onorare il corpo di Cristo, non disdegnatelo quando è ignudo. Non onorare il corpo di Cristo eucaristico con paramenti di seta, mentre fuori del tempio è trascurato quest’altro Cristo che è afflitto dal freddo e dalla nudità”. Ne deriva l’invito a evitare grettezze ed egoismi, ad essere generosi, solidali e caritatevoli, sull’esempio di Cristo stesso che nell’istituzione dell’eucaristia celebrò il suo mistero di morte e di risurrezione, come dono di condivisione, di solidarietà e di offerta salvifica per tutti.

Nella vita monastica non deve mai mancare accanto alla preghiera e al lavoro (l’ora et labora benedettino), lo spatium caritatis. E’ noto che nella Regola di San Benedetto hanno un ruolo determinante la lettura meditata della Parola di Dio e la lode liturgica, alternata con i ritmi del lavoro in un clima di carità fraterna e di servizio reciproco. Il perdersi del monaco o della monaca in Cristo, non lo rende avulso dalla storia e dalla compagnia degli uomini. In questo spatium caritatis egli si inserisce per gustare la forza e la gioia di farsi carico del fratello, capace di scorgere, al di là dell'epidermide, i doni a cui egli è portatore e che, ultimamente, provengono dal Signore. “Lì, nell'Eucaristia, l'immolazione libera e obbediente del Figlio al disegno salvifico del Padre diventa la cattedra quotidiana dalla quale il monaco attinge quotidianamente la forza necessaria per spezzare la propria vita, insieme con Gesù, nell'umile e gratuito servizio dei fratelli, sorretto dalla gioia e dalla luce dello Spirito” (Da Il sacro speco di S. Benedetto, 5, 2005).

Per concludere non possiamo trascurare Maria, la Vergine SS.ma che è stata definita “primo tabernacolo della storia”, per sottolineare l’unità fra il Cristo eucaristico e il Cristo storico. Da lei impariamo con quali sentimenti dobbiamo accostarci alla Mensa del pane di vita, e come adorare il Verbo di Dio fatto carne.

Maria, modello dell’umanità nuova che il sacramento genera, ci guidi alla pienezza dell’Eucaristia e alla comunione fraterna.

 

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