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CONVEGNO PER I VESCOVI ORDINATI NEGLI ULTIMI DODICI MESI

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Memoria della B.V. Maria Addolorata
Martedì, 15 settembre 2009
 

 

Cari Fratelli nell’Episcopato,

é per me una gioia veramente tutta speciale poter celebrare con voi questa Eucaristia, all’inizio della prima giornata piena del vostro Convegno, organizzato dalla Congregazione per i Vescovi. Lo avete aperto ieri sera con l’Adorazione eucaristica, ponendovi in ascolto di Cristo, Sommo ed eterno Sacerdote della Nuova Alleanza. Questo vostro convegno, come ormai l’esperienza dimostra, é una iniziativa di grande utilità spirituale e pastorale, come ho potuto io stesso costatare incontrando alcuni Vescovi che vi hanno preso parte negli anni precedenti. Per questo sento il vivo desiderio di ringraziare cordialmente il Cardinale Prefetto, Sua Eminenza Giovanni Battista Re, con Sua Eccellenza Mons. Monterisi e i collaboratori che hanno preparato questo convegno e ne seguono con grande cura lo svolgimento. Il mio saluto si estende a ciascuno di voi, cari Confratelli consacrati nell’arco degli ultimi dodici mesi, e provenienti da ogni parte del mondo. Mi è quanto mai gradito trasmettervi il saluto e l’incoraggiamento di Sua Santità Benedetto XVI, che avrete la grande grazia di incontrare lunedì prossimo, quasi alla conclusione di questo vostro incontro. Potrete ascoltare la sua parola di incoraggiamento e ricevere la sua benedizione.

Ma intanto mi piace qui riprendere qualche utile indicazione che egli ha offerto a noi, Vescovi, sabato scorso nell’omelia per l’ordinazione di 5 nostri Confratelli. Citando le due parabole evangeliche nelle quale Gesù parla di quei servi ai quali il padrone affida i suoi beni, il Papa ha evidenziato tre caratteristiche del servizio che caratterizza il nostro ministero. In primo luogo la fedeltà. Il bene che ci è dato in consegna non ci appartiene. “La Chiesa non è la Chiesa nostra, - ha detto il Papa - ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio” e dobbiamo rendere conto di come gestiamo quanto ci viene affidato. “Non leghiamo gli uomini a noi – egli aggiunge ; non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Conduciamo gli uomini verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente. Con ciò li introduciamo nella verità e nella libertà, che deriva dalla verità”. “La fedeltà è altruismo, - ha osservato il Papa - e proprio così è liberatrice per il ministro stesso e per quanti gli sono affidati”. E poi ha detto: “Sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità”. La fedeltà del servo di Gesù Cristo, cioè di ognuno di noi, consiste allora proprio nel non cercare di adeguare la fede alle mode del tempo, poiché solo Cristo ha parole di vita eterna, e le sue parole dobbiamo portare alla gente, essendo il bene più prezioso che ci è stato affidato. Una tale fedeltà non ha niente di sterile e di statico; è creativa. Altra caratteristica è la prudenza che nulla a vedere con l’astuzia ed indica il primato della verità, che mediante la “prudenza” diventa criterio del nostro agire. “La prudenza - dice il Santo Padre - esige la ragione umile, disciplinata e vigilante, che non si lascia abbagliare da pregiudizi; non giudica secondo desideri e passioni, ma cerca la verità – anche la verità scomoda. Prudenza significa mettersi alla ricerca della verità ed agire in modo ad essa conforme”. Ed allora essere prudenti vuol dire essere innanzitutto persone di verità e dalla ragione sincera. Terza caratteristica è infine la bontà. Essere buoni è coltivare un profondo orientamento interiore verso Dio, il solo buono, anzi il Bene per eccellenza. Ed osserva Benedetto XVI: “La bontà cresce con l’unirsi interiormente al Dio vivente. La bontà presuppone soprattutto una viva comunione con Dio, una crescente unione interiore con Lui”. Da questa unione scaturisce poi un rapporto positivo con il prossimo (a cominciare con i sacerdoti); un rapporto fatto di cordialità, di ascolto e di bontà.

Cari Confratelli queste indicazioni del Successore di Pietro vi siano di stimolo ad approfondire il valore del servizio episcopale, sul quale riflettere durante questo vostro convegno che si apre nel segno della Croce di Cristo: ieri sera, con i secondi Vespri della festa dell’Esaltazione; oggi, con la memoria della Beata Vergine Addolorata. Il centro è lì, al Calvario, dove il martirio del Figlio si è riverberato nel cuore della Madre. Ogni volta che si attualizza il Sacrificio della croce, Maria è presente. Ella ci aiuta anche ad accogliere la Parola di Dio che abbiamo ascoltato, perché ne riceviamo tutta la sovrabbondante ricchezza. In effetti, il testo della prima lettura, tre versetti del capitolo V della Lettera agli Ebrei (5,7-9), è costituito da una densità teologica e salvifica davvero impressionante. Lo è a maggior ragione per destinatari quali siete voi, e nel contesto dell’Anno Sacerdotale.

L’Autore, con espressioni concise e anche originali, presenta il Cristo nella sua Passione: il movimento dell’Incarnazione, del farsi simile a noi del Figlio di Dio, giunge al suo culmine. La sua docilità al Padre è massima, e proprio per questo suo “pieno abbandono”, Gesù “venne esaudito”: la morte non poté dominare su di Lui. Tuttavia dovette attraversarla; dovette farlo per noi, ma in prima persona. Ciò che impressiona qui è che tutto il mistero si concentra sul Figlio di Dio: tutto avviene per noi, per la nostra salvezza, ma tutto avviene su di Lui, nella sua Persona divino-umana. E’ Lui stesso la “via” della salvezza. E qui si rivela anche il mistero del nuovo sacerdozio, quello unico e sommo di Cristo, del quale siamo stati resi partecipi.

Concentriamoci sui versetti 8 e 9: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono”. Vorrei puntare l’attenzione su una parola, che funge da chiave di lettura di tutto il discorso. E’ il termine teleiōtheís, tradotto in latino con consummatus, e in italiano con “reso perfetto”. Il Figlio di Dio ha accettato, per amore nostro, una “trasformazione”, come una “educazione” mediante la sofferenza, attraverso la quale egli ha “imparato l’obbedienza” ed è stato “reso perfetto” da Dio Padre. Egli era già perfetto nella gloria, ma lo è diventato nella sofferenza per noi! E lo ha fatto per amore: per questo è diventato, in se stesso, “causa di salvezza eterna”.

Mi ha sempre fatto impressione la preghiera che recitiamo sottovoce noi sacerdoti prima della comunione: “Signore Gesù Cristo, figlio di Dio vivo, che per volontà del Padre e con l’opera dello Spirito Santo morendo hai dato la vita al mondo, per il Santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue, liberami da ogni colpa e da ogni male, fa che sia sempre fedele alla tua legge e non sia mai separato da Te”. E’ la volontà del Padre che Gesù attua in noi con l’opera dello Spirito Santo, perché l’obbedienza al Padre è difficile nella prova.

Cari Fratelli, qui c’è la realtà del nuovo Sacerdozio, sommo ed eterno; il Sacerdozio della “nuova ed eterna alleanza”, che il Signore vuole esercitare anche oggi, per nostro tramite, nell’Eucaristia. Tutta la Lettera agli Ebrei parla del sacerdozio di Cristo come compimento e superamento dell’antica istituzione sacerdotale. Già nel secondo capitolo, egli scrive: “Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza” (Eb 2,10). E conclude: “Infatti, proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Eb 2,18). Il Sacerdozio cristiano, alla luce di questi passi della Sacra Scrittura, risplende in tutta la sua novità e in tutta la sua bellezza. Una bellezza veramente paradossale, com’è quella appunto del nostro Signore Gesù Cristo.

Sul Calvario, presso la croce del Figlio, Maria è la Madre del Sommo Sacerdote, e anche di tutti i sacerdoti che saranno associati alla sua singolare e unica mediazione di salvezza. Tra tutti i discepoli di Cristo, Maria è la prima e la perfetta, in quanto Madre nella fede e in quanto partecipe delle sofferenze del Redentore. Anche Maria, in un certo senso partecipativo, è stata “resa perfetta” da ciò che ha patito, in modo culminante quando la stessa spada che uccise il Figlio trapassò misteriosamente la sua anima. In Lei contempliamo e veneriamo la nuova Eva, unita al nuovo Adamo; l’immagine e il modello della Chiesa, che Cristo stesso ha formato quale proprio corpo mistico per prolungare, mediante l’azione dello Spirito Santo, la sua opera nel mondo. La maternità di Maria è dunque totalmente inscritta nella fecondità del Sacrificio di Cristo, e al tempo stesso è necessaria a tale fecondità, per volere stesso di Dio. Anche il nostro sacerdozio, che è partecipazione a quello di Cristo, deve avvalersi della mediazione materna di Maria. Tutti lo sperimentiamo, specialmente nell’ora della prova: le sofferenze del nostro ministero, unite alla Croce di Gesù, diventano feconde mediante Maria, il che equivale a dire mediante la Chiesa, nostra madre.

Cari Confratelli, vorrei che il mio augurio per il vostro Episcopato scaturisse da questa Parola che abbiamo brevemente meditato. E’ l’augurio di essere santi come è stato santo il Curato d’Ars, cioè vivendo il vostro ministero secondo il Cuore di Cristo e il cuore materno di Maria. E lo formulo – per tutti noi sacerdoti qui presenti – con le parole dell’apostolo Paolo: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24). La Vergine Maria, che proprio in quanto Perdolens, unita alla Passione di Cristo, è Causa nostrae laetitiae, vegli sempre su di voi, vi ricolmi di grazie e vi ottenga di edificare il popolo cristiano prima di tutto con la testimonianza della vostra vita. E’ quanto vogliamo implorare insieme proseguendo la celebrazione eucaristica. Il popolo cristiano ha bisogno di vedere testimoni credibili e di essere guidato da pastori santi. San Giovanni Crisostomo, la cui memoria era domenica scorsa e che il Papa ha ricordato all’Angelus, ebbe a dire che “basta un uomo pieno di zelo per trasformare un popolo”. Sia questo il programma di ciascuno di noi: essere santi per contagiare dell’amore di Dio tutti coloro che sono affidati alla nostra responsabilità di Pastori del Popolo di Dio.

   

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