The Holy See
back up
Search
riga

RICORDO DI DON LUIGI COCCO A 100 ANNI DALLA NASCITA

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Parrocchia San Cassiano – Grugliasco (Torino)
Sabato, 7 novembre 2009

 

Cari amici,

Sono lieto di essere in mezzo a voi e di portarvi, innanzitutto, il saluto del Santo Padre Benedetto XVI che, informato della mia venuta a Grugliasco, mi ha incaricato di impartire la sua benedizione a tutta la popolazione, in particolare ai piccoli, alle famiglie, agli ammalati e a coloro che attraversano momenti difficili. Il Papa, con il suo pensiero benedicente è vicino a tutti voi e prega per voi.

Permettetemi anche, prima di rivolgervi una breve esortazione, di ringraziare il Parroco, Don Paolo Resegotti, con il nipote Signor Luigi Secco, che mi hanno invitato, e di ringraziare con deferenza tutte le Autorità civili che ci onorano con la loro presenza.

Cari fratelli e sorelle, ogni assemblea liturgica è un’autentica festa. E’ la festa che raccoglie il popolo cristiano nella comunione fraterna, per godere dei doni di Dio e per assimilare i suoi insegnamenti, per operare in noi un’autentica crescita umana e spirituale, contro la dispersione del mondo che lascia gli uomini in balìa dei predicatori di felicità, ma non di salvezza.

Ecco, allora, lo scenario nel quale il Signore vuole istruirci oggi. L’evangelista Marco narra di una donna umile, vedova, che infila due monetine di poco valore nella cassa delle offerte per il Tempio. L'obolo è insignificante, ma il dono è totale, ed è tanto più grande quanto meno è ostentato. La sua offerta contrasta con quella dei benestanti, fatta di pezzi d’argento sonanti, che ricevono il consenso pubblico. La donnetta, più che dare avrebbe il diritto di ricevere, ma lei vuole comunque dare e, timidamente, offre gli unici spiccioli che possiede: qualche centesimo dei nostri euro. Gesù esalta la generosità della donna e giudica il suo dono come un atto eroico, una lezione per i superbi, i vanitosi, gli ambiziosi; una lezione che vuole scuotere le coscienze degli ascoltatori.

Dare ciò che si è, più che ciò che si ha, è questo il senso del discorso di Gesù. Così anche le “piccole cose” diventano grandi: come quel pugno di farina e quel po’ di olio che la vedova di Sarèpta – di cui parla la prima lettura – offrì con generoso distacco ad Elia. Anche per lei era tutto quello che aveva, ma la sua fede ha fatto nascere il miracolo: “La farina nella giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato”.

Quando si leggono questi fatti dell’Antico e del Nuovo Testamento si rimane ammirati, ma anche un po’ perplessi perché si misura la distanza che esiste fra la conoscenza della Parola di Dio, che ascoltiamo tutte le domeniche, e la sua messa in pratica.

Abbiamo bisogno allora di prendere forza da coloro che sono riusciti a vivere alla lettera la Parola di Dio, che sono stati capaci di dare non solo ciò che sopravanzava alle loro necessità, ma a commisurare i loro bisogni sul bisogno degli altri, che hanno saputo giocare e vincere la partita della gratuità, e che proprio grazie ad essa hanno compiuto le opere della giustizia. “Senza la gratuità non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia”, ricorda Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate (n. 38).

Balza allora evidente un nome: Don Luigi Cocco. Oggi vogliamo ricordare l’epopea di un grande uomo; di un sacerdote salesiano missionario, di un grugliaschese che ha onorato la Chiesa e la sua terra d’origine con le sue nobili gesta, compiute nella gratuità e nella semplicità del cuore autenticamente evangeliche. Don Luigi Cocco è presente in mezzo a noi questa sera. Il suo sguardo profondo e sereno ci scruta e ci interpella; suscita in noi quella sorta di inquietudine che sveglia i sentimenti più nobili del nostro spirito cristiano.

La sua storia è nota a tutti: la vocazione salesiana si esprime dapprima con la dedizione ai giovani presso l’Oratorio di Valdocco (ed è proprio in quel periodo che io l’ho conosciuto personalmente, mentre accompagnava un gran numero di ragazzi, raccolti per strada, a sfamarsi alla già povera mensa di noi studenti). Poi, come Cappellano nelle fabbriche, istituisce la “Pasqua degli operai”, fino a quando, nel 1951, salpa da Genova per il Venezuela. Presso la tribù degli Yanomani, lontana giorni e giorni di cammino nella foresta carica di insidie, Don Gino svolge un’opera impressionante di civilizzazione e di evangelizzazione. Vent’anni di duro lavoro, attraversati da malattie e da ben sette interventi chirurgici, sono stati necessari per portare l’istruzione basilare, per insegnare il lavoro agli uomini che scandivano il tempo sul dondolio della loro amaca. Insieme ai confratelli salesiani e alle Figlie di Maria Ausiliatrice, capitanate da Suor Maddalena Mosso, che si sono aggiunte in quella località battezzata “Santa Maria de los Guaicas”, hanno preso vita tante iniziative di promozione umana in favore di quegli uomini e quelle donne “vestiti di aria e di sole”. Il grado di civilizzazione raggiunto ha consentito così allo Stato di allestire e gestire degli ambulatori medici e varie altre strutture sociali. Grazie soprattutto alla presenza delle suore, le donne hanno acquisito quella dignità di cui erano prive.

Ricordo che io stesso, nel 1972, ho propiziato l’incontro di Don Cocco con Paolo VI, che intendeva presentargli due capitribù, i quali volevano offrire al Papa i caratteristici pappagalli della loro foresta.

Fra le opere nate per iniziativa di Don Luigi Cocco, non dobbiamo tralasciare un aspetto importante: egli si è dedicato allo studio degli Yanomani e, nel suo libro intitolato “Parima. Dove la terra non accoglie i morti”, ne ha descritto minuziosamente la vita, apprezzandone la cultura e le tradizioni, tanto da poterlo considerare un etnologo di elevato livello scientifico. Le sue ricerche sono state elogiate anche dal famoso antropologo recentemente scomparso, Levi-Strauss.

Don Cocco è stato capace di vedere, di interpretare intelligentemente i gesti quotidiani della gente alla quale aveva deciso di dedicare la propria vita, cogliendone l’intrinseco valore. Si potrebbe individuare in ciò un certo parallelo con il racconto evangelico poc’anzi commentato. Se Gesù non avesse fatto notare ai presenti il semplice gesto della povera donna vedova, questo sarebbe senz’altro sfuggito a tutti, e invece quell’umile offerta è stata consegnata alla memoria dell’umanità per sempre. Lo sguardo che parte dal cuore, vede e apprezza, comprende e valorizza, aiuta a sviluppare tutte le potenzialità umane e dona la dignità dovuta ad ogni essere umano. Questo è stato lo sguardo penetrante e amorevole di Don Luigi Cocco.

Non possiamo soffermarci sulle benemerenze che gli sono state attribuite dalla Repubblica Italiana per la sua attività durante la Resistenza. Ci basti conoscere ed ammirare il suo spirito di abnegazione totale, grazie al quale rifuggiva gli onori e i pubblici applausi, come era invece il caso degli scribi che amavano ricevere i saluti nelle piazze, avere i primi seggi e i primi posti nei banchetti (cfr Mc 12,38). Il cippo che la cittadinanza gli ha dedicato post mortem nella Piazza a lui intitolata, non ha niente a che vedere con l’ostentazione e la superbia, perché siamo di fronte a un esempio di fede, di generosità e di coraggio, che merita il tributo del nostro perenne ricordo.

Chissà quante volte Don Luigi Cocco avrà chiesto l’aiuto a Maria Ausiliatrice, nelle difficoltà e nelle ardue fatiche fisiche che ha dovuto affrontate. Facciamolo anche noi, oggi, per quella parte di servizio al prossimo, che la vita autenticamente cristiana richiede. E così, sotto lo sguardo della Madonna continuiamo la nostra celebrazione eucaristica.

 

top