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50° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI DON LUIGI STURZO
E 90° ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE DEL PARTITO POPOLARE

DISCORSO DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

 Sede della L.U.M.S.A. Borgo Sant’Angelo, 13 – Roma
Giovedì, 10 dicembre 2009

 

Don Luigi Sturzo sacerdote

Quello in corso è un anno speciale per riflettere sulla figura e il pensiero di Luigi Sturzo. Quest'anno ricorre infatti il 50° anniversario della morte del sacerdote di Caltagirone, anniversario che ricade nell'Anno Sacerdotale indetto dal Santo Padre Benedetto XVI nel 150° anniversario del dies natalis di Giovanni Maria Vianney, il Curato d'Ars, Santo Patrono di tutti i parroci del mondo.

Luigi Sturzo è stato tra i più insigni uomini politici del secolo scorso, ma prima di tutto è stato un grande sacerdote. Una testimonianza, quella di Sturzo, che Papa Giovanni XXIII indicò come "esempio di preclare virtù sacerdotali", e che Giovanni Paolo II, in occasione della visita ad limina dei Vescovi siciliani del 1981, esaltò come modello di "piena fedeltà al carisma sacerdotale".

Queste due immagini ci offrono un'essenziale chiave di lettura della personalità di don Sturzo, il quale seppe incarnare, in maniera illuminata e illuminante, la propria vocazione sacerdotale, tracciando una linea di pensiero e d'impegno sociale orientata ai valori cristiani e ai principi della dottrina sociale della Chiesa, distinguendo, ma non separando, l'ambito spirituale da quello temporale. Il lungo esilio subìto, che fu certo fonte di sofferenza, offrì a don Sturzo la possibilità di un profondo discernimento, di quella esperienza di provvidenziale distanza dagli affanni terreni che rende il credente un profeta in questo mondo ma non di questo mondo (Gv 17,16). La vera vita, soleva ripetere - cf. La vera vita. Sociologia del sopranaturale - è prevalentemente vissuta e nascosta in Dio.

Fu la fede in Dio a guidare Sturzo nell'ambizioso progetto di elevazione materiale e morale della società italiana tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo. Fu la stessa fede in Dio che fece prefigurare a Sturzo una società internazionale orientata alla giustizia e alla pace. L'impegno sociale, in Sturzo, è stato il volto esteriore di un permanente impegno interiore, cioè la ricerca della virtù, la quale non può essere indifferente alla sfera pubblica.

 

La virtù sociale

Ecco allora un peculiare insegnamento lasciatoci da Sturzo: ricercare la "virtù sociale"in un contesto culturale che tende a separare l'etica privata da quella pubblica. Soprattutto i credenti, come richiama Benedetto XVI nella Caritas in veritate, hanno il compito di globalizzare una vita virtuosa, altrimenti il rischio è che «all'interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l'interazione etica delle coscienze e delle intelligenze» [1].

Quella di Sturzo è una visione politica nel senso nobile del termine, ancorata a valori e principi assoluti, tali da condizionare l'individuazione dei fini e dei mezzi necessari per la loro realizzazione. Come affermava Sturzo in un articolo del 1942, dal titolo emblematico «È la politica "cosa sporca"?»: «La politica non è una cosa sporca. Pio XI [...] la definì "un atto di carità del prossimo". Infatti, lavorare al bene di un paese, o di una provincia, o di una città [...] è fare del bene al prossimo riunito in uno Stato, o provincia, o città [...]. In ogni nostra attività noi incontriamo il prossimo: chi può vivere isolato? E i nostri rapporti con il prossimo sono di giustizia e di carità. La politica è carità, ma non nel senso che non costituisca un dovere; il dovere c'è ed è quello che oggi si chiama dovere civico o dovere sociale» [2].

Se, dunque, volessimo attualizzare l'insegnamento di don Sturzo, dovremmo anzitutto pensare all’universalizzazione della carità politica: una visione della politica intesa come esercizio di responsabile carità verso il prossimo e che si colloca nel cuore della dottrina sociale della Chiesa. Come insegna Benedetto XVI: «Ogni responsabilità e impegno delineati da tale dottrina sono attinti alla carità [...]. Essa dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo; è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici» [3].

Attraverso la lente della carità, le "mirco-relazioni", come l'amicizia e la famiglia, e le "macro-relazioni", come lo Stato e la comunità internazionale, risultano essere connesse ed interdipendenti. In questo senso, ogni relazione umana ha una valenza pubblica: «Tutti i vizi sociali che si oppongono all'amore, quali l'invidia, l'odio, l'ira, il disprezzo, la superbia, sono cagioni e sorgenti d'ingiustizia» [4]. Ciò richiama tutti ad orientare la propria vita e le proprie relazioni alla virtù. Poiché dalla virtù della persona dipende la virtù della società. Non esiste separazione tra etica individuale ed etica sociale, «le virtù umane sono tra loro comunicanti, tanto che l'indebolimento di una espone a rischio anche le altre» [5].

Per i cattolici il richiamo alla virtù diventa un imperativo che si lega alla propria missione nella storia, cioè quella di orientare la società a valori superiori. Afferma Sturzo: «La missione del cattolico in ogni attività umana, politica, economica [...] è tutta impregnata di ideali superiori, perché in tutto ci si riflette il divino. Se questo senso del divino manca, tutto si deturpa: la politica diviene mezzo di arricchimento, l'economia arriva al furto e alla truffa» [6].

 

Stato e senso del divino

In questo senso don Sturzo, pur mantenendo sempre distinta la sfera spirituale da quella temporale, come Jacques Maritain afferma il primato dello spirituale, coerente alla trascendente dignità dell'uomo, creato ad immagine e somiglianza di Dio (Gn 1, 27). Questo "senso del divino" non rappresenta un limite per lo Stato o per la comunità internazionale. Esso offre anzi la possibilità per un'ulteriore dimensione di verità e di libertà, aspirazioni ultime della persona umana. In questo senso, gli Stati, non rappresentano l'unica e l'ultima istanza sociale e politica della persona. Essi non sono, e non potrebbero del resto esserlo, enti auto-referenziali.

Nella visione sturziana, ben espressa nello storico "Appello ai liberi e forti" del 1919, del quale anche ricorre il 90° anniversario,viene già superata l'idea di «Stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale» a favore di uno Stato «che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali». L'obiettivo ultimo dello Stato non è allora la propria conservazione ed espansione, ma lo sviluppo dell'uomo, «sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» [7].In coerenza a ciò, la comunità internazionale è al servizio del bene comune della famiglia umana. Detto altrimenti, gli Stati e la comunità internazionale, possono trovare in Dio il riferimento per una visione completa e trascendente dell'uomo e del bene comune, per un ridimensionamento dell'idolatria della politica e per un orientamento di questa in senso etico e spirituale.

 

Stato e famiglia

Nel contesto di questa "concezione organica" dello Stato riveste una speciale importanza la famiglia, società primaria e "scuola politica" per la persona. Non a caso, il citato Appello del 1919, al primo punto del programma, indica come prioritaria la «integrità della famiglia» e la «difesa di essa contro tutte le forme di dissoluzione e di corrompimento». Un principio che, come del resto altri propri del pensiero di don Sturzo, avrebbe influito sulla redazione della Costituzione della Repubblica Italiana del 1948, dove si riconosce il valore della «famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» (articolo 29).

Proprio alla famiglia, in quanto società naturale della persona, don Sturzo affida un ruolo essenziale nell'educazione alla virtù che diviene quasi spontaneamente un'educazione civica. La capacità nell'agire e interagire nella sfera pubblica si sviluppa nella famiglia attraverso l'educazione primaria. Afferma Sturzo: «il costume di un Paese che ha la struttura di uno Stato di diritto, in regime libero e democratico, non può ancora essere inficiato da un sistema incivile [...]. Bisogna provvedervi con l'educazione [...] e con la convinzione di una libertà basata sulla verità e resa efficace dal soffio della coscienza di personalità etica e civile; che per noi credenti è anche e principalmente, coscienza di personalità cristiana» [8].

 

Stato e Comunità internazionale

Ma il principio di sussidiarietà che caratterizza la visione sturziana non si dirige solo verso il basso. Lo Stato pensato da Sturzo non è infatti isolato ma organico alla comunità internazionale che prendeva forma prima nella Società delle Nazioni e poi nell'Organizzazione delle Nazioni Unite. Organismi che don Sturzo guardava con spirito critico, ma nella convinzione della loro necessità per «trovare la strada per una migliore politica» [9].

L'analisi sturziana era molto lucida sui limiti della comunità internazionale, la quale non seppe scongiurare due Guerre Mondiali in un relativamente breve lasso di tempo. Tale coscienza non poneva tuttavia in secondo piano la responsabilità e i limiti mostrati dagli Stati, e non spinse mai don Sturzo a «dichiarare il fallimento della comunità internazionale, che in quanto una delle forme della socialità, è perenne e indistruttibile; e neppure dell'ONU come uno degli aspetti organici della comunità internazionale» [10].

 

Stato e Chiesa

Il grande respiro filosofico e politico conduce poi Sturzo a proporre una visione assai equilibrata della relazione tra Stato e Chiesa, che pur nella reciproca e piena autonomia, e con specificità dei mezzi, sono chiamati a concorrere al pieno sviluppo umano. Agli occhi di Sturzo non vi è quindi conflittualità, né naturale né tendenziale, tra Stato e Chiesa, avendo questa una missione essenzialmente morale e spirituale, una «posizione di orientamento e una funzione ristoratrice e integratrice» [11].

Diceva De Lubac: «La storia «è sempre storia dei rapporti fra Chiesa e Stato» [12]. E’ un fatto che dove la Chiesa si afferma come esistente si costituisce come problema rispetto ad ogni altra forma sociale. Se ciò risulta anche ad una superficiale analisi di questi 20 secoli di storia, tanto più profonda, necessaria, determinante appare questa presenza e questa lotta incessante a chi ne ricerchi la causa alla luce della teologia, della sociologia e della storia del diritto [13].

Don Sturzo afferma: «La forma religiosa è una forma fondamentale del vivere sociale. Non si può concepire una società in concreto - proiezione e risultante delle tendenze finalistiche individuali - senza una forma religiosa. La “forma religiosa” può dirsi: la necessaria realizzazione concreta sociale del bisogno dell'Assoluto» [14]. Questa forma, anche nelle religioni precristiane o non cristiane tende ad affermare la sua autonomia, benché sia incontestabile che nei vari stadi del periodo precristiano non si è mai giunti ad avere piena coscienza di una forma religiosa autonoma ed universale rispetto ad ogni altra forma di socialità. Fino all'avvento del Cristianesimo gli uomini pensarono sempre ad un vincolo inscindibile di rapporti tra religione e famiglia, tribù, razze, nazione, impero. Fu con l'avvento del Cristianesimo che la forma religiosa divenne una Chiesa tra le nazioni, liberandosi da ogni legame mondano-temporale-materialistico, e si stabilì definitivamente su una base personale e di coscienza; fu solo allora che l'uomo poté avere piena coscienza dell'autonomia individuale e inconfondibile della nuova forma religiosa in confronto con ogni altra forma di socialità: «tertium genus» tra ebrei e gentili.

«Il Cristianesimo non è come le forme religiose precristiane, che si presentano nate insieme con la famiglia o con la tribù o la polis; al contrario: esso è una forma religiosa che nasce adulta come tale, che influisce sulle altre forme sociali senza confondersi con esse. Il Cristianesimo nega ogni altra religione e diviene esso religione universale. Tutti hanno diritto (e dovere) di entrarvi se ne accettano la dottrina e la disciplina. Si veniva così formando una società religiosa che superava i limiti di ogni altra società. Questo fatto è unico nella storia» [15].

Sturzo, pur considerando con grande realismo le difficoltà storiche e culturali, accantona l'idea di una "dualità conflittuale" e immagina una "dualità sociale" tra Stato e Chiesa, visione ancora profetica nella realtà presente: «Quale diarchia di Chiesa-Stato possa essere quella di domani non è dato oggi prevedere; non è azzardato dire fino da ora ch'essa sarà sul terreno etico-sociale [...]. Il concetto superbo di uno Stato superiore a tutti, centro di unificazione completa, fonte di eticità, espressione della volontà umana comune, aspirazione mistica dell'unità del popolo, è un mostro totalitario [...]. Un nuovo soffio di spiritualità mistica e di riorganizzazione purificatrice dovrà venire (e non potrà non venire) dal cristianesimo, universale e autonomo, profondamente sentito, e vigorosamente attuato dai fedeli, partecipi al corpo mistico di Cristo, perché la Chiesa e lo Stato riprendano il ritmo di dualità sociale verso le più pure aspirazioni di unificazione spirituale» [16].

A cinquant'anni dalla sua morte, Luigi Sturzo ci invita a rinnovare l'impegno nella ricerca della virtù, nella vita privata e consociata. Se orientati alla virtù, la politica, lo Stato e la comunità internazionale cessano di essere uno "spazio finito" e divengono uno spazio aperto all'infinito e alla trascendenza insita nella persona umana.

In tale prospettiva si comprende come lo Stato e la Chiesa siano legati dalla comune missione di promuovere il pieno sviluppo della persona umana. Un servizio da svolgere nel rispetto della reciproca autonomia e indipendenza. Ma nella consapevolezza che lo Stato e le organizzazioni internazionali, favorendo l'espressione del sacro e dei suoi simboli nella sfera pubblica, riconoscendo la libertà religiosa a persone e comunità, alimentando quindi la crescita morale e spirituale della società, ravvivano la fiaccola del dovere civico e rendono più sicuro il cammino verso la giustizia e la pace.

 

[1] BENEDETTO XVI, Lettera enciclica, Caritas in veritate, 9.

[2] È la politica "cosa sporca"?, 7 luglio 1942, in "Il Popolo", 15 ottobre 1991.

[3] BENEDETTO XVI, Lettera enciclica, Caritas in veritate, 2.

[4]L. STURZO, La società. Sua natura e leggi, Bergamo, 1949.

[5]BENEDETTO XVI, Lettera enciclica, Caritas in veritate, 51.

[6] L. STURZO, Politica e Morale, Bologna, 1972, p. 208.

[7] Costituzione della Repubblica Italiana del 1948, articolo 2.

[8]L. STURZO, Moralizzare la vita pubblica, Napoli, 1958, p. 12.

[9] L. STURZO, La comunità internazionale e la guerra, Roma, 2003, p. XXII.

[10] Id. supra nota 9, p. XXVIII.

[11] EUGENIO GUCCIONE (a cura di), Opere scelte di Luigi Sturzo, “III. Chiesa e Stato”, Roma-Bari, 1992, p. 182.

[12] H. DE LUBACH, Nos tentations à l’égard de l’Eglise, in Revue de l’action populaire, 4 (1952), p. 481-482.

[13] Cf. ad es. la mia trattazione «Il rapporto giuridico tra Chiesa e Comunità politica» in Il diritto nel mistero della Chiesa, Quaderni di Apollinaris 10, Roma 1992, pp. 609-610.

[14] L. STURZO, La società. Sua natura e leggi, Bergamo 1949, p. 97.

[15] Ibidem, p. 109.

[16] EUGENIO GUCCIONE (a cura di), Opere scelte di Luigi Sturzo, “III. Chiesa e Stato”, Roma-Bari 1992, nota 5.

 

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