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CELEBRAZIONE EUCARISTICA
PER I DIPENDENTI DELLA TIPOGRAFIA VATICANA
E DELL’OSSERVATORE ROMANO

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Venerdì, 29 gennaio 2010

 

Cari amici,

prima di raggiungere i nostri posti di lavoro, ci troviamo riuniti in questa Cappella Paolina, splendente di bellezza e di luce, per ascoltare la Parola di Dio e per celebrare l’Eucaristia. E’ il momento del rendimento di grazie per l’anno di lavoro passato e per impetrare dal Signore nuove grazie per l’impegno futuro. Non dimentichiamo che il vostro lavoro all’Osservatore Romano e alla Tipografia Vaticana, è un servizio reso alla Chiesa, nella diverse mansioni e responsabilità, tutte ugualmente importanti. E in questa occasione vorrei sottolineare la peculiarità di questi due Organismi, utilissimi al Santo Padre per diffondere e “stampare” nella mente e nei cuori degli uomini – oltre che sulla carta - i contenuti del suo magistero.

Vi invito, ora, a prestare attenzione alla Parola di Dio che ci ha proposto la liturgia odierna e che ci può aiutare ad orientare la nostra vita di cristiani.

Nella prima lettura, il profeta Ezechiele, dopo aver spiegato che la distruzione di Gerusalemme è avvenuta a causa dei peccati del popolo e dei capi, assicura che Dio, nonostante tutto, rimane fedele alla sua promessa ed è pronto a ricominciare. In questo contesto di speranza e di fiducia si inserisce il brano del capitolo 34, dove Dio si impegna a dare al suo popolo un nuovo pastore (cioè un nuovo re, contrapposto ai cattivi pastori-re precedenti, che hanno condotto il popolo alla rovina) e a stabilire un’alleanza di pace con Israele.

Sappiamo come l’allegoria del buon pastore sia stata ripresa da Gesù per presentare se stesso come l’unico pastore predetto dai profeti, capace di condurre veramente alla salvezza. E’ Cristo il buon Pastore dell'umanità. Non c'è valore umano che Egli non abbia rispettato, sollevato e redento. Non c’è sofferenza umana che Egli non abbia compresa, condivisa, valorizzata. Non c'è bisogno umano che Egli non abbia assunto e sofferto in Se stesso. Anche per il male, che Egli, medico dell'umanità, ha conosciuto e denunciato con insuperabile vigore, ha avuto infinita pietà. L’immagine del buon pastore recuperata nel presente di ognuno di noi, sembra dirci che l’uomo ha bisogno di Dio e delle sue leggi; ha bisogno del Figlio di Dio fatto uomo come noi, che gli si avvicina e gli spiega il significato della vita. Certo, l’uomo ha bisogno di pane, ha bisogno del nutrimento del corpo, ma nel più profondo ha bisogno soprattutto della Parola, dell’Amore, di Dio stesso.

Il problema di ogni tempo, tuttavia, è proprio quello di trovare guide credibili, pastori che siano un aiuto reale e concreto. Per questo la figura di San Giovanni Bosco emerge con tutto il suo vigore. Anzitutto Giovanni Bosco vive il senso integrale della fede in Cristo Uomo/Dio, una fede robusta, operosa, che diventa criterio delle scelte e dei comportamenti della vita. La prima scintilla della vocazione di Don Bosco è l'Amore: un amore intenso, ben definito e apostolico, interamente impegnato con la gioventù povera e abbandonata. I tratti dell’amore, secondo Don Bosco, si possono sintetizzare in queste poche frasi, che contengono una intensità di contenuti ed una saggezza pedagogica ispirata dal comportamento umano-divino di Cristo stesso: Amare per primo (cfr 1 Gv 4,10), Amare ciascuno personalmente, Amare per liberare (non per possedere), Amare sino alla fine, gratuitamente. L’esperienza vissuta di una tale fede nell’Amore fa intravvedere le immense possibilità che si attuerebbero se fosse attualizzata come programma educativo su vasta scala.

Ma non dobbiamo perderci nei “se” e nei “ma”. Dobbiamo, come Don Bosco, rimboccarci le maniche ogni giorno, e lavorare alacremente al Regno di Dio, facendo nostro l’invito alla gioia proclamato nella Lettera di San Paolo ai Filippesi, che abbiamo letto poc’anzi: «Fratelli, rallegratevi nel Signore, sempre, ve lo ripeto ancora, rallegratevi».

Nel Lezionario della Messa per la Festa di Don Bosco è presente questo brano, che definisce in maniera efficace lo spirito salesiano. Attento alle richieste dei ragazzi, Don Bosco amava parlare di gioia, di allegria, di sani momenti di svago, perché la felicità è iscritta nella giovinezza. Questa esortazione è un vero e proprio motto per Don Bosco; è un programma di vita. Lo testimoniò Domenico Savio quando dichiarò: “Noi qui, alla scuola di Don Bosco, facciamo consistere la santità nello stare molto allegri e nell’adempimento perfetto dei nostri doveri”. E’ l’allegria vera, pulita, che non lascia amarezze. Facciamone tesoro tutti noi; anche coloro che hanno oltrepassato l’età della giovinezza, perché questo è un invito alla laboriosità gioiosa, all’ottimismo, nonostante le ombre e la complessità del nostro tempo. Non dimentichiamo, poi, che una vita basata sui sani principi cristiani, nell’amorevole impegno per il bene della propria famiglia e della società circostante è un esempio indispensabile per le nuove generazioni. Il Vangelo che abbiamo letto ci parla dell’importanza dei bambini e della testimonianza che ricevono dagli adulti e ci ammonisce a non scandalizzare i piccoli con la mediocrità della nostra vita.

Ma, se da un lato gli uomini sembrano rincorrere solo la prosperità materiale e immergersi sempre più nel materialismo consumistico, molte voci si levano per invitare all’inversione della rotta. L’Osservatore Romano è particolarmente attento ad ascoltare queste voci e a farle parlare, attraverso le proprie pagine. Come non riconoscere lo sforzo intelligente e creativo per cercare dappertutto i segni di speranza e per valorizzare le virtù cristiane, che illuminano come scintille il grigiore della mediocrità o della banalità, capaci solo di esaltare la stoltezza e la malvagità umana, col rischio di provocare lo sconvolgimento della convivenza civile. E’ così facile cedere al pessimismo, lanciato a piene mani dai romanzieri, dai registi cinematografici o dagli schermi televisivi che, come fanno i cattivi maestri e le guide insensate, alimentano l’accidia spirituale che addormenta il gusto delle cose celesti, perché si è disgustati delle cose terrene.

Ancorati alla fede, amanti della Chiesa, attenti alla voce del Papa, tutti voi, lavoratori di ogni ordine e grado dell’Osservatore Romano e della Tipografia Vaticana, siate servitori della speranza che edifica la fraternità umana e il benessere, ancorati ad una verità vissuta nella carità, come tanto bene a saputo illustrare Benedetto XVI nella sua enciclica Caritas in veritate.

Vorrei allora incoraggiare tutti quegli sforzi che mirano alla diffusione sempre più ampia del quotidiano della Santa Sede. Sono lieto di sottolineare, a questo proposito, alcune novità circa la diffusione di questi ultimi tempi; mentre in Italia continua l’abbinamento con “L’Eco di Bergamo”, grazie soprattutto al vescovo; in Spagna è iniziato quello con “La Razón” e, infine, per la promozione dell’edizione settimanale in lingua francese è appena stato siglato un accordo con il gruppo Bayard.

Mentre per la Tipografia Vaticana, possiamo rilevare con soddisfazione che ultimamente si è dotata di moderni macchinari, che avrò modo di benedire fra poco, che le consentiranno un alto livello di prestazioni. L’editoria della Santa Sede potrà così fornire al pubblico delle pubblicazioni pregevoli sotto l’aspetto grafico oltre che sotto l’aspetto dei contenuti di innegabile valore. La bellezza e la perfezione, che si riscontrano in molte pubblicazioni, antiche e moderne, che trattano gli argomenti della fede, dell’arte e della cultura cristiana, fanno parte di una lunga tradizione nella Chiesa, e la Tipografia Vaticana si è sempre fatta carico di contribuire ad alimentare questo importante patrimonio.

Invochiamo Dio, sorgente dell’amore, affinché, per l’intercessione di san Giovanni Bosco, ci renda fedeli al nostro lavoro quotidiano, e capaci di “consacrare ogni nostra fatica alla maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime”.

 

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