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CELEBRAZIONE EUCARISTICA IN OCCASIONE
DEL IX ANNIVERSARIO DELLA DEDICAZIONE
DELLA CHIESA DI SAN MENNA

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Sant'Agata dei Goti
Domenica, 12 settembre 2010

 

Cari Confratelli nell’Episcopato,
cari Sacerdoti,
illustri Autorità,
cari fratelli e sorelle!

Ringrazio di cuore per l’invito a celebrare l’Eucarestia, con la quale concludiamo solennemente l’Anno di San Mennato, in occasione del IX centenario della consacrazione di questa chiesa di San Menna, avvenuta il 4 settembre del 1110 ad opera del Papa Pasquale II. Rivolgo il mio cordiale saluto al Vescovo diocesano, Mons. Michele De Rosa, e al Parroco, Don Franco Iannotta. Ammirando l’eleganza, sobria e suggestiva, di questo tempio, desidero congratularmi con quanti hanno promosso e realizzato i lavori di restauro. Radunandoci oggi intorno all’altare, in questo luogo dove tutto parla di fede e di armonia, noi sentiamo più che mai vivo il legame con il nostro comune e glorioso passato, e ne traiamo energie sempre nuove per camminare nel presente e, con speranza cristiana, preparare il futuro per le giovani generazioni.

Questa lieta circostanza ci invita a ricordare il passaggio tra voi del Santo Padre Benedetto XVI, quand’era ancora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in occasione del III centenario della nascita di sant’Alfonso Maria de’ Liguori; e anche la mia venuta, quale Segretario della stessa Congregazione. C’è un vincolo profondo che ci lega nella Chiesa e che, nella fede, si rinsalda e non viene meno. Sono pertanto lieto di portarvi il saluto e la benedizione del nostro amato Papa. Egli vi incoraggia a percorrere la strada segnata dai vostri antichi padri e a mantenere sempre viva ed attuale la testimonianza di fede che avete ereditato.

Naturalmente il passato non va idealizzato. In ogni epoca il “buon grano” è mischiato con la “zizzania”, e anche qui la storia registra dopo il Mille aspre lotte per la conquista del potere. Registra però anche la volontà positiva di Roberto, conte di sant’Agata de’ Goti, di costruire, verso il 1107, la sua cappella comitale, sul modello di quella dell’Abbazia di Montecassino, punto di riferimento e di forte ripresa del genuino spirito evangelico. Il conte Roberto, come segno della sua fedeltà al Papa, volle dedicare questa cappella all’apostolo Pietro, fissandone la memoria sul peristilio del portale: “Templum si poscat sub Petro principe noscat”. Egli stesso poi volle che il tempio, consacrato dal Papa Pasquale II, fosse dotato di reliquie insigni, tra cui quelle del corpo di san Menna, eremita del monte Taburno, vissuto nel VI secolo, come ci ricorda il libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno. Rendiamo gloria al Signore per questo evento storico, che colloca questo luogo sacro, a voi giustamente tanto caro, nell’orizzonte della Chiesa romana e universale.

Perché tutto ciò non rimanga soltanto il ricordo di un lontano passato, vi siete adeguatamente preparati, aiutandovi in tal modo a riscoprire le vostre radici e a prendere sempre più coscienza di quanto la fede cristiana abbia segnato il vostro territorio. Di questo davvero siamo grati a Dio che conduce i giorni, i secoli e il tempo della nostra vita.

Le pagine della Scrittura che abbiamo appena ascoltato, anche questa volta gettano una luce superiore sulla nostra celebrazione, esaltando la grandezza e la fedeltà di Dio verso il suo popolo. Proprio di questa fedeltà e misericordia divina tratta il Libro dell’Esodo, descrivendo il tradimento di Israele e l’adorazione del vitello di metallo fuso. E’ singolare il dialogo che, dopo questo fatto, si sviluppa tra Dio e Mosè. Offeso dall’infedeltà degli Israeliti, Dio vuole punirli, perché hanno violato il patto di alleanza, e propone a Mosè di ricominciare da capo dando vita ad una nuova nazione. Mosè non accetta. Egli ricorda al Signore le promesse fatte ai Patriarchi e i prodigi della liberazione dall’Egitto. Alla fine Dio cede alla supplica di Mosè. Con linguaggio antropomorfico, il testo dice che “il Signore si pentì del male che aveva minacciato”: questo esprime il realismo della storia d’amore tra Dio e il suo popolo; Dio partecipa intimamente, perché è un essere personale. La sua fedeltà è immutabile, ma appartiene ad un Cuore vivo, palpitante. Al tempo stesso, questo genere di linguaggio vuole mettere in risalto l’importanza della preghiera di intercessione elevata da Mosè: egli è mediatore tra Dio e il popolo; si fa interprete della volontà di Dio, ma allo stesso tempo portavoce della sua gente: riconosce la colpa e implora il ritorno all’antica amicizia. Dio si lascia commuovere da un uomo, usa misericordia e concede di nuovo la sua fiducia ad un popolo che non aveva esitato a tradirlo. Questa infinita misericordia di Dio nei confronti di Mosè e del suo popolo non finisce di sorprenderci. Dio stesso sembra comprendere che questo è il solo atteggiamento capace di rimettere l’uomo sulla via giusta, di sostenerlo, di spingerlo e di incoraggiarlo a compiere il bene.

Anche nella seconda lettura, Dio, con la sua misericordia, sorprende Paolo, mentre è ancora lontano, e da “bestemmiatore, persecutore e violento”, lo trasforma nel suo più grande messaggero. Paolo si presenta come peccatore, redento dal gesto gratuito di Cristo. E’ infatti la grazia del Signore che gli cambia il cuore, che provoca in lui una radicale trasformazione e conversione. Egli sperimenta in prima persona la misericordia di Dio e diventa capace di camminare, anzi, di correre lungo questa strada: con tutto il cuore e con tutte le forze Paolo corrisponde alla grazia che gli è andata incontro e che lo ha cambiato. Così l’Apostolo, con la sua predicazione e la sua testimonianza, ha permesso a Cristo Signore di cambiare il cuore di tanti altri uomini e donne, portando dovunque il Vangelo della misericordia di Dio in Cristo Gesù.

Più familiare e ben noto ci è poi l’affresco contenuto nel Vangelo di questa domenica. E’ una delle pagine più belle della Sacra Scrittura, che lo Spirito Santo ci ha donato mediante la peculiare sensibilità di san Luca: è la parabola del padre misericordioso. Conosciamo in profondità la vicenda dei due figli, con le disavventure del minore e il padre buono che lo asseconda e gli concede piena libertà. Può ben immaginare che fine farà questo figlio, ma lo lascia andare per la sua strada. Ed ecco: colui che era completamente libero nella casa del padre, lontano da lui diventa solo un servo. Guardiano dei porci e in balía di questi, si rende conto di aver toccato il fondo, di avere perduto proprio quella libertà che cercava. Questa parabola parla del viaggio che ciascuno di noi deve compiere verso la verità dell’esistenza, del ritorno verso la “casa” da cui proveniamo, dove abbiamo sempre abitato e della quale, pur nelle traversie della vita, riscopriamo il valore e la bellezza. Il viaggio che il figlio minore compie verso il padre che lo attende premuroso e pensieroso, è descritto dai Padri della Chiesa per indicare la conversione. Questo figlio diventa per loro l’immagine di ogni uomo, l’Adamo che siamo noi, quell’Adamo a cui Dio è andato incontro per accoglierlo di nuovo nella sua casa. Nella parabola il padre dà ordine ai servi di portare in fretta il vestito più bello. Questo vestito è l’abito perduto della grazia, di cui all’origine era rivestito l’uomo e che poi ha perduto con il peccato. Questo vestito originario gli viene di nuovo donato. Ancora, nel banchetto che viene preparato, i padri vedono un’immagine della festa della fede, l’Eucaristia. Secondo il testo greco, il fratello maggiore, quando torna a casa, ode una sinfonia di voci e cori: è il richiamo alla sinfonia della fede, che fa dell’essere cristiani una gioia ed una festa. E la festa di Dio per i peccatori ritrovati è il ritornello delle tre parabole della misericordia, raccolte nel capitolo 15 di san Luca, un vertice del Nuovo Testamento.

Cari amici, per la nostra odierna festa attorno all’altare del Signore, non poteva esserci liturgia più bella e significativa. Dio ci invita alla sua festa, imbandisce per noi oggi una mensa in questo tempio. Da novecento anni questa casa ha ospitato la festa di Dio con il suo popolo, di generazione in generazione: lo è stata per i vostri avi, per i vostri genitori, e lo sarà ancora per i vostri figli e per le generazioni che verranno. Egli, il Signore, ha edificato questo tempio, con la collaborazione degli uomini, per farli partecipi del suo piano di salvezza. Per mano di uomini ha scelto di abitare fra le loro case, cosicché anche oggi possiamo fare esperienza di un Dio che ci è Padre, che è vicino a noi, cammina accanto a noi, si commuove e ci sostiene, secondo l’esperienza degli antichi padri. In questo luogo santo, noi possiamo ascoltare le parole che, come al figliol prodigo e al fratello maggiore, Egli rivolge a tutti noi: parole di misericordia, di bontà e di accoglienza; parole e segni che, attraverso il dono dei Sacramenti, ci fanno riscoprire la bellezza di essere figli, la gioia di essere cristiani e di appartenere a Lui.

Per questo noi facciamo festa a questo edificio sacro, perché in esso si è manifestato l’amore infinito di Dio per gli uomini. Siamo qui perciò a fare memoria di un avvenimento di salvezza: del giorno in cui, terminato questo tempio e preparato a festa, Egli, il Signore è venuto a farci visita, a stare con noi e, nonostante le nostre piccole e grandi infedeltà, a rinnovare con noi il patto di amicizia, di amore e di misericordia.

Cari fratelli e sorelle, mentre rendiamo grazie per questa casa di Dio, restituita al suo splendore, celebriamo il tempio di pietre vive che siamo noi, rinati alla fede, alla speranza e alla carità che Dio misericordioso seppe far fiorire nei cuori dei nostri padri. Questa casa comune è giunta a noi per la fede e la tenacia di coloro che ci hanno preceduto: essa rimanga anche in futuro segno di una Chiesa viva, testimonianza di una fede maturata e radicata nell’autentica esperienza di Dio. Essa, anche oggi, diventi luogo accogliente nel quale ognuno possa sperimentare l’abbraccio di misericordia e la paternità di Dio nel dono dei Sacramenti. Ogni giorno il Signore Gesù spezza il pane con noi e per noi: questo gesto ci aiuti a sentirci membra del suo Corpo mistico e a spezzare, a nostra volta, il pane della carità e della fraternità con i nostri fratelli.

Affidiamo ogni nostra invocazione ed ogni proposito alla Vergine Maria, Madre della Chiesa e Madre nostra: ella, sotto la croce, ricevette il Figlio e lo donò a tutta l’umanità. Aiuti anche noi, che riceviamo Gesù Parola e Pane di vita in questa casa di preghiera, a donarlo e testimoniarlo ai fratelli e alle sorelle che incontriamo, per essere insieme pietre vive della santa Chiesa che cammina nel tempo e nella storia. Con la celeste intercessione di san Menna e di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, la Comunità di Sant’Agata dei Goti sia per tutti segno e strumento della divina Misericordia.

   

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