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ORDINAZIONE EPISCOPALE DI
S.E. MONS. GIORGIO LINGUA, S.E. MONS. JOSEPH TOBIN,
S.E. MONS. IGNACIO CARRASCO, S.E. MONS. ENRICO DAL COVOLO

   OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Basilica di San Pietro in Vaticano,
 Sabato, 9 ottobre 2010

 

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel sacerdozio,
cari Religiosi e Religiose,
cari fratelli e sorelle,

“La parola di Dio non è incatenata!". Così risuonano in questa Celebrazione eucaristica le pregnanti parole di san Paolo, tratte dalla seconda Lettera a Timoteo, che l’odierna liturgia della 28^ domenica per annum propone alla nostra riflessione. L’Apostolo è in carcere e "soffre fino a portare le catene" a causa di Cristo e per amore di Lui, ma è consapevole che tale sofferenza è feconda; infatti aggiunge: "Sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza". Queste parole di Paolo ci dicono la libertà e la forza della Sacra Scrittura. Le vicende, favorevoli o sfavorevoli, che accadono a noi personalmente e al mondo che ci circonda non riescono a soffocare il Vangelo, come neppure le catene riuscirono a fermare l’Apostolo nel suo ministero di predicazione. Per lui il legame con Cristo Crocifisso è preludio sicuro della comunione di vita e di gloria con il Signore Risorto: "Se moriamo con lui, con lui anche vivremo". Ogni forma di sofferenza accettata e vissuta in unione col Crocifisso è la "moneta" più preziosa per concorrere alla diffusione della Parola di Dio.

Lo stesso brano evangelico poc’anzi proclamato - tratto da san Luca - ci mostra la potenza di questa Parola. Si tratta di un miracolo di guarigione che sfocia però in un insegnamento sulla salvezza completa dell’uomo. Gesù, che è ormai diretto verso il compimento della sua missione a Gerusalemme, si trova nel territorio tra la Galilea e la Samaria. Mentre sta entrando in un villaggio, gli vengono incontro dieci lebbrosi. Essi, fermatisi a distanza, com'era prescritto dalla legge, gridano verso di lui: "Gesù, maestro, abbi pietà di noi!". Egli non li evita, come in genere facevano tutti, ma si mette persino a parlare con loro. Alla fine li congeda dicendo loro: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". Non li guarisce subito, come ha fatto in altri casi (cfr Lc 5,12-16), né li tocca con le sue mani, ma li invia ai sacerdoti deputati a constatare la guarigione. Così facendo egli chiede loro un atto di fede. Sulla parola di Gesù, essi si misero in cammino per andare dai sacerdoti e, proprio mentre erano per strada, furono tutti "purificati"; potremmo dire, si accorsero di guarire. Questo sta a significare che la guarigione inizia quando si comincia ad obbedire alla Parola di Dio, non più a sé stessi e alle proprie abitudini. In tal senso il cammino spirituale dei credenti porta la guarigione del cuore, nella misura in cui è scandito dall'ascolto del Vangelo.

L’Evangelista, dopo aver notato che tutti e dieci i lebbrosi erano guariti, aggiunge che uno solo tornò indietro "lodando Dio a gran voce"; e appena arrivò vicino a Gesù gli si gettò "ai piedi per ringraziarlo". Questo gesto esprime l'ulteriore passo della conversione, ossia la riconoscenza e l'affidamento della propria vita a Gesù. Potremmo dire che il decimo lebbroso non è solo "guarito", ma anche "salvato". Agli altri nove,  che non tornano, è sufficiente la guarigione. Non tornano perché appagati dalla loro felicità, o forse perché sentono la salute come un diritto e non come un dono. I loro corpi erano stati liberati dalla lebbra, ma i loro animi non avevano incontrato veramente il Signore: quello che interessava loro era solo tornare a casa, veder finita la malattia. Il decimo, invece, un samaritano, uno straniero che i giudei consideravano lontano da Dio ed estraneo al suo popolo, sentì la guarigione come una grazia, come un dono immeritato; ma non solo: egli sentì che doveva ringraziare Gesù, che la guarigione la doveva a lui! E Gesù gli svela la realtà profonda di quanto era accaduto nel suo cuore, cioè il miracolo più vero che aveva ricevuto: "Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!".

Il gesto del lebbroso straniero che si getta ai piedi di Gesù per ringraziarlo, riconoscendolo così come il suo Salvatore, come il vero Sacerdote in cui Dio si è fatto presente e operante, ci ricorda che tutti i popoli della terra sono chiamati alla salvezza. Dice, al riguardo, la Costituzione conciliare Lumen gentium: “Questo carattere di universalità, che adorna e distingue il Popolo di Dio, è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l’umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo nell’unità del suo Spirito” (n. 13). Comprendiamo così che compito degli Apostoli è diffondere nel mondo il Vangelo, annunziare a tutti la redenzione operata da Cristo, condurre l’intera umanità sulla via della salvezza manifestata da Dio. E questo vale anche per i Vescovi, successori degli Apostoli. Il Vescovo è chiamato ad annunciare con forza e autorevolezza la parola che libera e salva: annuncia che Gesù è vivo, che ha vinto la morte e dal suo Sacrificio scaturisce la vita eterna per tutti coloro che nel corso dei secoli credono in Lui. Il Vescovo rende presente Cristo nell’Eucaristia e in tutti i Sacramenti con i quali si edifica la Chiesa, la comunità dei credenti; è costruttore di comunione perchè guida la Chiesa con l’amore del Buon Pastore.

Oggi sono qui davanti a noi quattro Presbiteri ai quali ho la gioia di conferire la pienezza del sacerdozio, che li costituisce successori degli Apostoli. Durante la consacrazione episcopale sarà posto sul loro capo il libro del Vangelo, per sottolineare che loro fondamentale missione sarà recare la Buona Novella, missione ricca di gioia e, al tempo stesso, di fatica per quanti si impegnano a realizzarla responsabilmente e fedelmente.

Cari Fratelli scelti da Dio per il ministero episcopale, auguro a ciascuno di voi di essere sempre fedeli e gioiosi portatori del Vangelo, mostrando l’universale respiro della missione della Chiesa. Lo auguro a te, Mons. Giorgio Lingua, che sarai Rappresentante Pontificio in Iraq e in Giordania, a sostegno delle comunità cristiane sparse in quelle terre così tribolate, per le quali dovrai essere messaggero di pace e di speranza. Prego per te, Mons. Joseph Tobin, a cui è affidato il delicato compito di collaborare nella Curia Romana, quale Segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Il Signore sostenga te, Mons. Ignacio Carrasco, nel tuo incarico di Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, dove  già operi con lodevole zelo; e te, Mons. Enrico Dal Covolo, chiamato a proseguire il tuo apprezzato servizio alla Chiesa quale Rettore della Pontificia Università Lateranense.

Sono lieto di trasmettere a voi il cordiale e benedicente saluto di Sua Santità, Che mi ha incaricato di assicurare a ciascuno la Sua particolare preghiera e di consegnarvi il dono dell’anello episcopale, che vi ricorderà ogni giorno il dovere di fedeltà alla Chiesa, Sposa di Cristo. Unisco a quello del Sommo Pontefice il mio affettuoso saluto, che estendo ai Signori Cardinali presenti, agli Arcivescovi e Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai familiari, agli amici, alle autorità e ai concittadini dei quattro Presuli, come pure a tutti i fedeli qui riuniti.

Cari Ordinandi, il Signore vi ha scelti e vi ha chiamati, e voi avete risposto ben sapendo che per imitare il Buon Pastore è richiesto un grande coraggio, ma soprattutto un grande amore, cioè la capacità di donarsi totalmente. Siate, come il divino Maestro, annunciatori e testimoni della sua misericordia. Ricordate che, secondo una bella espressione di san Tommaso d’Aquino, “misericordia è essere colpiti dalla miseria altrui, come fosse propria” (S. Th. I, q. 21, a. 3). Sappiate, dunque, riconoscere le molteplici miserie che affliggono l’umanità: peccati, malattie, errori, dubbi, ansie, disgregazione delle famiglie, solitudine, disordine sociale, ingiustizia, povertà, emarginazione. Entrate sempre più in intimità di vita con Cristo, perché Egli possa amare con il vostro cuore, guardare con i vostri occhi, parlare con la vostra bocca, operare con le vostre mani.

Noi tutti qui presenti vi circondiamo con il nostro affetto e vi accompagniamo con la nostra preghiera in quest’ora di grazia e di grande importanza per voi e per la Chiesa. La Madre di Dio, Maria Santissima, che ha accolto la divina Parola con fede e con amore, interceda per voi, vi sostenga, vi ottenga tante consolazioni e renda fecondo il vostro ministero episcopale.

    

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