The Holy See
back up
Search
riga

INCONTRO CON IL MONDO DELLA CULTURA E DELLA SCIENZA

DISCORSO DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO D
EL SANTO PADRE

Łódź
Sabato, 9 giugno 2012

GIOVANNI PAOLO II, TESTIMONE E MAESTRO
DELLA CULTURA DELLA VITA
 

Introduzione

Signor Cardinale,
Illustri Signori e Signore!

Il Beato Giovanni Paolo II, nel suo «Testamento», ha voluto riportare le parole che, dopo la sua elezione alla Sede di Pietro, pronunciò il Cardinale Stefan Wyszyński, Primate di Polonia: «Il compito del nuovo papa sarà di introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio»[1]. In effetti, per quasi 27 anni il Papa «venuto da lontano» ha guidato la Barca di Pietro nella direzione giusta, proteggendola dai pericoli. Con entusiasmo apostolico è andato pellegrino nel mondo, per confermare nella fede i fratelli (cfr Lc 22,32). Quello che desidero esplicitare in questa mia esposizione è il suo coraggioso e indefesso annuncio per affermare la cultura della vita e per mettere in guardia dai pericoli della cultura della morte. Mi propongo, quindi, di esporre alcune riflessioni sul magistero di Giovanni Paolo II in questo ambito culturale, sicuro che si tratta di una materia cara a ciascuno di voi.

Sono onorato e grato di avere l’opportunità di rivolgermi a degli illustri rappresentanti del mondo della cultura in questa città e in questa Diocesi di Łódź dove, venticinque anni fa, Giovanni Paolo II stesso incontrando i rappresentanti del mondo della scienza e della cultura disse loro: «Si sente la vostra presenza nella comunità, nella cultura polacca, nella Chiesa polacca. Sono molto grato per questo all’intellighenzia di Łódź»[2].

La dimensione fondamentale della cultura è quella etica. «Assicurando la precedenza di questa dimensione – disse Giovanni Paolo II –, noi assicuriamo la precedenza dell’uomo. L’uomo infatti si realizza come uomo essenzialmente mediante il proprio valore morale»[3].

Karol Wojtyła, già su un piano umano, è stato un artefice di cultura, come poeta, attore, filosofo. Nel 1980, all’UNESCO, affermò che «la cultura è ciò per cui l'uomo in quanto uomo diventa più uomo, “è” di più, accede di più all'“essere” […] L'uomo, e solo l'uomo, è “autore” o “artefice” della cultura; l'uomo, e solo l'uomo, si esprime in essa ed in essa trova il suo proprio equilibrio»[4]. La cultura è infatti sinonimo di civiltà, e la «civiltà della vita» si nutre della «cultura della vita».

Durante il citato discorso all'UNESCO, egli disse: «L'uomo vive di una vita veramente umana grazie alla cultura […] Io sono figlio di una nazione, che ha vissuto le più grandi esperienza della storia, che i suoi vicini hanno condannato a morte a più riprese, ma che è sopravvissuta e che è rimasta se stessa. Essa ha conservato la sua identità ed ha conservato, nonostante le spartizioni e le occupazioni straniere, la sua sovranità nazionale, non appoggiandosi sulle risorse della forza fisica, ma unicamente appoggiandosi sulla sua cultura. Questa cultura si è rivelata all'occorrenza d'una potenza più grande di tutte le altre forze»[5].

1. Il Testimone

«Vi prego, coltivate questa ricca eredità di fede a voi trasmessa dalle generazioni precedenti, l’eredità del pensiero e del servizio di quel grande polacco che fu papa Giovanni Paolo II» (Benedetto XVI, 26 maggio 2006)

Giovanni Paolo II, figlio della Nazione polacca, ha portato alla Sede di Pietro le ricche esperienze della sua Patria. Benedetto XVI ha scritto che «di questa eredità polacca aveva bisogno il Papa per poter pensare all’interno di una molteplicità di culture»[6]. Karol Wojtyła si è formato in diverse comunità, prima fra tutte la sua famiglia, della quale egli parlò così: «Con affetto filiale bacio la soglia della mia casa natale, esprimendo alla Divina Provvidenza la gratitudine per il dono della vita trasmessomi dai miei cari Genitori, per il calore del nido di famiglia, per l'amore dei miei cari, che mi dava un senso di sicurezza e di forza, perfino quando si dovevano affrontare l'esperienza della morte e le fatiche della vita quotidiana in tempi inquieti»[7]. Là è iniziato tutto, è iniziata la vita e anche la sensibilità per il suo inestimabile valore. Gli anni dell’adolescenza furono per lui una grande scuola di cultura della vita, anche attraverso la dura esperienza della morte delle persone più care. Quei distacchi, quei passaggi dei suoi parenti «di vita in vita»[8] sono stati una grande lezione.

Giovanni Paolo II ricordava: «Mi è stato dato di fare l’esperienza personale delle “ideologie del male”. È qualcosa che resta incancellabile nella mia memoria»[9]. La sua giovinezza ha attraversato il dramma della II guerra mondiale. Tante volte ha sperimentato la «cultura della morte». Ad esempio, il suo desiderio di studiare e coltivare la conoscenza si è scontrato con l’arresto di professori dell’Università Jagellonica[10]. Quando dopo tanti anni, come Papa, è giunto ad Auschwitz, ha detto: «Può ancora meravigliarsi qualcuno che il Papa, nato ed educato in questa terra, il Papa che è venuto alla Sede di San Pietro dalla diocesi sul cui territorio si trova il campo di Oświęcim, abbia iniziato la sua prima Enciclica con le parole Redemptor hominis, e che l’abbia dedicata nell’insieme alla causa dell’uomo, alla dignità dell’uomo, alle minacce contro di lui e infine ai suoi diritti inalienabili che così facilmente possono essere calpestati ed annientati … dai suoi simili!»[11].

Tutto il periodo del servizio sacerdotale ed episcopale di Karol Wojtyła nel suo Paese ha coinciso con il totalitarismo comunista. Con grande coraggio egli ha difeso i diritti umani, e gli erano sempre vicini gli uomini di cultura. Ha sostenuto le «Settimane della Cultura Cristiana». Ha aiutato anche persone di scienza e cultura perseguitate per le loro opinioni[12]. Due anni prima di essere eletto alla Cattedra di Pietro disse: «Come vescovo, ho il dovere di essere il primo che serve questa causa... la grande causa dell’uomo»[13]. E, diventato Papa, dichiarò: «Cristo vuole che io… renda testimonianza davanti al mondo di ciò che costituisce la grandezza dell’uomo dei nostri tempi e la sua miseria. Di ciò che è la sua sconfitta e la sua vittoria»[14].

L’esperienza dei due totalitarismi da lui vissuta ha dimostrato ciò che può fare la cultura della morte, e ha fatto crescere ancora di più la preoccupazione per la promozione di una cultura della vita, che è possibile a tutti, dai dotti ai semplici, e che si esprime nelle maniere più varie, non ultima quella di un’attenzione concreta verso ogni singola persona.

Il giorno dopo la sua elezione, Giovanni Paolo II si recò in un ospedale romano a visitare l’amico malato, il Vescovo – e poi Cardinale – Andrea Maria Deskur[15]. E da allora, giorno per giorno, il Papa andava incontro ai fedeli, si chinava sui malati, stringeva migliaia di mani. Anche così egli è stato testimone della cultura della vita. Coloro che accompagnavano il Papa nei viaggi apostolici e in altri incontri, notavano la sua particolare sensibilità per i malati e i giovani: ha abbracciato persone morenti nei lebbrosari, ha aiutati gli infermi a mangiare, e ai governanti chiedeva con decisione rispetto per l’uomo[16].

Da questa prospettiva, Giovanni Paolo II ha aiutato tutti a comprendere che la vita umana ha senso in qualunque stadio si trovi, e che il senso è più facilmente riconoscibile se è intimamente legato alla relazione d’amore con un’altra persona. Vivere appare, alla fin fine, come un ‘vivere per’, che impedisce la chiusura di un semplice fatto biologico. L’affermazione secondo la quale la vita è sempre un bene può essere riformulata alla luce della dinamica che la sostiene e la costituisce, e cioè, secondo quanto egli affermava nell’Enciclica Evengelium Vitae, “si può comprendere e portare a compimento il senso più vero e profondo della vita: essere un dono che si realizza donandosi” (n. 49).

Tutta la sua vita è stata una grande testimonianza della cultura della vita, specialmente nei momenti di sofferenza. Si è detto che la sofferenza è stata un’altra sua Enciclica. Il Card. Dziwisz ha scritto: «Karol Wojtyła ha imparato a convivere con la malattia e la sofferenza. Questo era possibile soprattutto grazie alla sua spiritualità, grazie alla relazione personale con Dio»[17].

Rimangono ancora impressi nella nostra mente i lenti passi, sostenuti dal bastone, di Giovanni Paolo II segnato dalla sofferenza fisica, acuita dalle conseguenze dell’attentato che subì il 13 maggio 1981, e dal morbo che lo aveva aggredito e che lo avrebbe accompagnato fino alla fine.

Papa Giovanni Paolo II non ha mai fatto mistero della sua malattia, non ha mai tentato di nasconderla. Attraverso la sua sofferenza fisica ci ha richiamato il valore del Vangelo della Vita[18] che impegna tutti, singoli, famiglie, associazioni e Istituzioni, ad adoperarsi «affinché le leggi dello Stato non ledano in nessun modo il diritto alla vita»[19], anzi promuovano «la difesa dei diritti fondamentali della persona umana, specialmente di quella più debole»[20], sia essa embrionale o morente.

Forte di tale convinzione, la Chiesa considera perciò suo dovere intervenire sui temi che riguardano da vicino la crescita e lo sviluppo dell’uomo. Questo contributo non inficia, ma anzi arricchisce il principio di una «sana laicità»[21], perché si sforza di fornire un apporto originale alla costruzione del bene comune.

Nei nostri occhi resta anche fissata l’immagine del Pontefice che, durante la Via Crucis al Colosseo, in quel Venerdì Santo del 2005, avvinghiato alla Croce pronunciava faticosamente queste parole: “Sì, adoriamo e benediciamo il mistero della croce del Figlio di Dio, perché è proprio da quella morte che è scaturita una nuova speranza per l’umanità (…). Offro anch’io le mie sofferenze, perché il disegno di Dio si compia e la sua parola cammini fra le genti”[22]. Chi è stato con lui nelle sue ultime ore ci testimonia che ha pregato fino alla fine[23].

Benedetto XVI ha detto: «Il profumo della fede, della speranza e della carità del Papa riempì la sua casa, riempì Piazza San Pietro, riempì la Chiesa e si propagò nel mondo intero. Quello che è accaduto dopo la sua morte è stato, per chi crede, effetto di quel “profumo” che ha raggiunto tutti, vicini e lontani, e li ha attratti verso un uomo che Dio aveva progressivamente conformato al suo Cristo»[24]. Proprio per questo, per la sua unione con Gesù Cristo, il beato Giovanni Paolo II è stato testimone della cultura della vita.

2. Il Maestro

«Voglio anche pregare Dio di conservare in voi il retaggio della fede,
della speranza e della carità lasciato al mondo, e in modo particolare a voi, da Giovanni Paolo II»
(Benedetto XVI, 28 maggio 2006)

Nel vasto Magistero del Papa Giovanni Paolo II, un posto di grande rilievo occupa l’Enciclica Evangelium vitae, del 1995, che ha orientato la riflessione sulle sfide moderne concernenti la vita. Fra di esse vi è anche la nascita e lo sviluppo sempre più diffuso della ricerca scientifica, specialmente nel campo della bioetica, che ha conseguito traguardi inimmaginabili, non senza però alcuni rischi che includono prospettive drammatiche quando viene a svanire ogni riferimento etico e religioso. In questa importante Enciclica Giovanni Paolo II afferma che «ci troviamo di fronte ad uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la “cultura della morte” e la “cultura della vita”. Ci troviamo non solo “di fronte”, ma necessariamente “in mezzo” a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi, con l’ineludibile responsabilità di scegliere incondizionatamente a favore della vita»[25]. La causa del diffondersi della cultura della morte è sempre il voltare le spalle a Dio, come pure «una concezione della libertà che esalta in modo assoluto il singolo individuo, e non lo dispone alla solidarietà, alla piena accoglienza e al servizio dell'altro»[26]. Non dimentichiamo che, pur raggiungendo conquiste inesplorate, l’uomo appare debole e talora minacciato dal lavoro delle sue stesse mani, del suo stesso intelletto, dalle tendenze della sua stessa volontà quando si contraddice la “verità” dell’uomo. Quando l’uomo sceglie la propria libertà concepita come autonomia assoluta da Dio si costituisce creatore del mondo e addirittura di se stesso. Non è però questo il disegno originario del Creatore; non è per questa via che potrà realizzare se stesso e raggiungere la propria felicità.

Rivolgendosi alle famiglie, Giovanni Paolo II insegnava che esse svolgono un «ruolo determinante e insostituibile nel costruire la cultura della vita»[27], sottolineando che «attraverso la famiglia passa la principale corrente della civiltà dell'amore»[28]. Ricordava spesso il ruolo speciale delle donne, che possono contribuire ad allargare la razionalità e l’amore reciproco[29]. Nella Lettera alle famiglie indicava una buona educazione sessuale come risposta alla dittatura della tecnica[30].

Un’attenzione specifica, secondo il Vangelo, egli ebbe per i bambini[31]. Ricordava che i bambini sono dono di Dio e sono il futuro della società, dovrebbero essere accolti con gioia e amore e poi cresciuti ed educati con cura[32]. Levò la voce per difenderli, e per dire che il mondo non può essere indifferente alle sofferenze dei bambini[33].

Particolarmente vicini a Giovanni Paolo II sono stati i giovani[34]. Da saggio ed esperto educatore, egli li metteva in guardia di fronte alla «cultura della morte»[35] e ai «miraggi della vita facile»[36]. Significativi erano gli appelli del Papa diretti ai giovani, come per esempio nella Lettera ai giovani: «Non abbiate paura dell'amore, che pone precise esigenze all'uomo»[37]; e ancora: «Non siate, dunque, passivi; assumetevi le vostre responsabilità in tutti i campi a voi aperti nel nostro mondo!»[38]. I giovani sapevano che il Papa li amava e accoglievano con fiducia e attenzione le sue indicazioni, anche impegnative, come quelle relative alla costruzione della civiltà della vita e dell’amore.

Il Papa Giovanni Paolo II insegnava anche che la vera civiltà umana è caratterizzata dal rispetto e dall’amore verso le persone anziane[39]. Di se stesso disse: «Nonostante le limitazioni sopraggiunte con l'età, conservo il gusto della vita. Ne ringrazio il Signore. È bello potersi spendere fino alla fine per la causa del Regno di Dio. Al tempo stesso, trovo una grande pace nel pensare al momento in cui il Signore mi chiamerà: di vita in vita!»[40]. Ripeteva spesso che la vecchiaia dove essere «stimata e valorizzata»[41], perciò scrisse: «A mano a mano che, con l'allungamento medio della vita, la fascia degli anziani cresce, diventerà sempre più urgente promuovere questa cultura di una anzianità accolta e valorizzata, non relegata ai margini»[42]. Rivolgendosi poi alle persone malate, diceva: «Siete dappertutto nella società, e specialmente nella Chiesa, importanti e di grande valore»[43], e sottolineava la necessità del servizio verso le persone sofferenti[44].

Nell’Enciclica Evangelium vitae ha scritto: «La difesa e la promozione della vita non sono monopolio di nessuno, ma compito e responsabilità di tutti. La sfida che ci sta di fronte, alla vigilia del terzo millennio, è ardua: solo la concorde cooperazione di quanti credono nel valore della vita potrà evitare una sconfitta della civiltà dalle conseguenze imprevedibili»[45]. Con fermezza Giovanni Paolo II chiedeva il rispetto per i nascituri, che non sono né intrusi né aggressori. Nel contempo denunciava i vari tipi di trattamento degli embrioni umani, che portano all’uccisione di quegli esseri umani[46]. Con dolore diceva ai suoi connazionali: «Una nazione che uccide i propri figli è una nazione senza futuro»[47]. In relazione alla situazione in Europa scrisse: «L'invecchiamento e la diminuzione della popolazione a cui si assiste in diversi Paesi d'Europa non può non essere motivo di preoccupazione; il calo delle nascite, infatti, è sintomo di un rapporto non sereno con il proprio futuro; è chiara manifestazione di una mancanza di speranza, è segno di quella « cultura della morte » che attraversa l'odierna società»[48].

Al tempo stesso egli si pronunciò contro i vari tipi di eutanasia, che viola la legge di Dio e offende la dignità dell’uomo[49]. «L'aborto e l'eutanasia – afferma – sono dunque crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare. Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza»[50]. Tra i gesti che esprimono positivamente questa sensibilità della coscienza cristiana, il Papa citava anche la donazione degli organi, per salvare la vita degli altri[51].

Affinché «si affermi una nuova cultura della vita umana, per l'edificazione di un'autentica civiltà della verità e dell'amore»[52], si richiede una permanente formazione delle coscienze. Perciò Giovanni Paolo II, nella linea dell’intera tradizione della Chiesa, sottolineava la priorità della formazione all’interno della comunità cristiana, perché gli atti dei credenti siano coerenti con la loro fede[53]. Questo compito spetta naturalmente alla famiglia[54], come pure agli educatori, agli insegnanti, ai catechisti e ai teologi. A tale apostolato il Papa chiamava anche gli intellettuali cattolici. Con la loro presenza nei centri culturali, nelle università, nei centri di ricerca scientifica e tecnica, e anche con le diverse espressioni artistiche, essi possono promuovere e servire la cultura della vita. Giovanni Paolo II sapeva molto bene quanto importanti sono i media al giorno d’oggi. Per questo esortava i responsabili a «dare spazio alle testimonianze positive e talvolta eroiche di amore all'uomo; proporre con grande rispetto i valori della sessualità e dell'amore»[55]. Ricordava pure che la promozione della cultura della vita assume anche ordinariamente la forma del servizio della carità, del volontariato e delle attività sociali e politiche[56].

Il magistero del Papa Giovanni Paolo II per la vita si intreccia con quello, altrettanto importante e cospicuo, per la pace. Memorabile rimane il suo intervento ad un Angelus in cui disse: «Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la seconda Guerra Mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest’esperienza: "Mai più la guerra!"»[57]. C’è un’altra lotta che merita invece di essere sostenuta, ed è quella contro la cultura della morte. E in questa lotta il Papa ha incoraggiato tutti a non cedere mai al pessimismo, perché la cultura della vita può contare sull’aiuto di Dio[58]. Riferendosi al Venerdì Santo, egli osservava: «Da questa oscurità lo splendore della Croce non viene sommerso; essa, anzi, si staglia ancora più nitida e luminosa e si rivela come il centro, il senso e il fine di tutta la storia e di ogni vita umana»[59].

Conclusione

La testimonianza e il magistero di Giovanni Paolo II hanno reso un grande servizio alla promozione della cultura della vita. Quando pregava, quando insegnava e proclamava verità impegnative, quando con gioia incontrava le persone e le accoglieva, e quando portava la croce della sofferenza, fino alla fine. Con tutta la sua vita egli ha annunciato che «la civiltà dell'amore è possibile, non è un'utopia. È possibile, però, soltanto grazie ad un costante e vivo riferimento a Dio»[60]. Questa sua eredità è stata raccolta dal Papa Benedetto XVI, che la porta avanti con il suo personale carisma. E vorrei concludere proprio con alcune parole del Papa felicemente regnante riferite al suo amato Predecessore: «Egli ha aperto a Cristo la società, la cultura, i sistemi politici ed economici, invertendo con la forza di un gigante – forza che gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare irreversibile» [61].

Vorrei inoltre aggiungere che la tradizione cristiana ha sempre difeso e tuttora riafferma la priorità e grandezza interiore e trascendente, del considerare la vita come un dono. Di conseguenza, per la stessa struttura fondamentale del dono, la vita non può essere considerata in nessun modo dominata da un destino impersonale o determinata dallo sviluppo di una natura in evoluzione, ma come la manifestazione reale della volontà amorosa di un Donatore originario. A motivo di questo senso ‘teologico’, anche nella più grande debolezza, sia quella del concepito indifeso, sia quella della vita giunta al suo termine, il valore rimane e il senso non scompare, ma continua ad esserci esigendo di essere riconosciuto.


[1] Giovanni Paolo II, Testamento, Annotazione: Esercizi Spirituali dell’anno giubilare 2000, 12-18.III.2000.

[2] Giovanni Paolo II, Discorso nella Cattedrale di Łódż, 13 giugno 1987.

[3] Giovanni Paolo II, Discorso al mondo della cultura, Teatro Grande d'Opera e Balletto di Varsavia, 8 giugno 1991.

[4] Giovanni Paolo II, Discorso all’UNESCO, 2 giugno 1980.

[5] Giovanni Paolo II, Discorso all’UNESCO, 2 giugno 1980.

[6] Benedetto XVI, Giovanni Paolo II. Il mio amato predecessore, a cura di E. Guerriero, Cinisello Balsamo 2007, p. 19.

[7] Giovanni Paolo II, Omelia del 16 giugno 1999.

[8] Giovanni Paolo II, Lettera agli anziani, 1 ottobre 1999, 17.

[9] Giovanni Paolo II, Memoria e identità, 2005, p. 17.

[10] Cfr Giovanni Paolo II, Dono e mistero, 1996, p. 11; Discorso in occasione del 600° Anniversario dell’Università Jagellonica, Chiesa di Sant’Anna (Kraków), 8 giugno 1997.

[11] Jan Paweł II na ziemi polskiej [Giovanni Paolo II in terra polacca], a cura di S. Dziwisz, J. Kowalczyk, S. Ryłko, Watykan 1979, p. 205. „Prima il nazismo. Ciò che succedeva in quegli anni era terribile. Non si conoscevano molti aspetti del nazismo in quel periodo. La reale dimensione del male che ha attraversato l’Europa non era conosciuta a tutti, perfino a coloro di noi che vivevano nel centro di esso”. Cfr Giovanni Paolo II, Memoria e identità, 2005, p. 17.

[12] Card. S. Dziwisz, Una vita con Carol, pp. 39-40.

[13] Ibid., p. 43.

[14] Jan Paweł II na ziemi polskiej [Giovanni Paolo II in terra polacca], a cura di S. Dziwisz, J. Kowalczyk, S. Ryłko, Watykan 1979, p. 206: Santa Messa nel Campo di Concentramento di Brzezinka, 7 giugno 1979.

[15] W. Rędzioch, Il Cardinale Polacco al Vaticano in: A. Deskur, Sonetti romani, Varsavia 2005, p. 53.

[16] Molti esempi che mostrano l’interesse del Papa per gli altri li possiamo trovare nei libri delle persone a Lui vicine, vedi ad es. Card. S. Dziwisz Una vita con Carol, op. Cit.; M. Mokrzycki, B. Grysiak Najbardziej lubił wtorki. Opowieść o życiu codziennym Jana Pawła II, [Gli piaceva il martedì...il racconto della vita quotidiana di Giovanni Paolo II], Cracovia 2009; A. Mari, Do zobaczenia w Raju, [Ci vediamo in Paradiso] anche: S. Oder, S. Gaeta, Perché è Santo, Cracovia 2010. „Non erano solo i gesti – quello era il vero amore, che ha manifestato sempre, istintivamente, quando si ritrovò con qualcuno che aveva bisogno di lui”. Cfr. A. Mari, Do zobaczenia w Raju, [Ci vediamo in Paradiso], p. 49.

[17] Card. S. Dziwisz Una vita con Carol, op. cit., p. 220.

[18] Cfr. Giovanni Paolo II, Evangelium vitae.

[19] Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 93.

[20] Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 101.

[21] Cfr. Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al Convegno Nazionale promosso dall’“Unione Giuristi Cattolici Italiani”, 9 dicembre 2006.

[22] Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti alla Via Crucis al Colosseo, 25 marzo 2005.

[23] Cfr. S. Dziwisz, Una vita con Karol, 222-223.

[24] Benedetto XVI, Omelia del 2 aprile 2007.

[25] Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 28.

[26] Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 19.

[27] Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 92.

[28] Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, 2 febbraio 1994, 15.

[29] Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 99.

[30] Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, 2 febbraio 1994, 13.

[31] Cfr Giovanni Paolo II, Lettera ai bambini nell’anno della famiglia,1994.

[32] Cfr Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, 13-14.16.21; Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 13.

[33] Cfr Giovanni Paolo II, Lettera ai bambini nell’anno della famiglia.

[34] Nel libro Alzatevi, andiamo! Giovanni Paolo II ricordava i suoi legami con i giovani polacchi. Scriveva: «Questi incontri li considero un'esperienza molto positiva. L’ho portata con me a Roma. Anche qui ho cercato di sfruttarla offrendo l'opportunità di incontrare i giovani. La Giornata Mondiale dei Giovani esce da questa esperienza» (p. 81).

[35] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Dilecti amici per l’anno internazionale della Gioventù, 31 marzo 1985, 10.­13.

[36] Celebrazione della Parola con i giovani di Danzica, 12 giugno 1987.

[37] Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Dilecti amici per l’anno internazionale della Gioventù, 10.

[38] Ibid., 16.

[39] Giovanni Paolo II, Lettera agli anziani, 12.

[40] Ibid., 17.

[41] Ibid., 9.

[42] Ibid., 13.

[43] Giovanni Paolo II, Discorso ai malati, 6 giugno 1979: AAS 71 (1979), n. 10, p. 822.

[44] Cfr Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 27.

[45] Ibid., 91.

[46] Cfr ibid., 63.

[47] Giovanni Paolo II, Discorso a Kalisz, 4 giugno 1997, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XX (1997), parte 1, p. 1398.

[48] Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, 95.

[49] Giovanni Paolo II, Lettera agli anziani, 9.

[50] Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 73.

[51] Cfr ibid., 86.

[52] Ibid., 6.

[53] Cfr ibid., 95-96; Esort. ap. Ecclesia in Europa, 50.

[54] Cfr ibid., 98.

[55] Ibid., 98. «Siamo di fronte all'emergere di una nuova cultura, in larga parte influenzata dai mass media, dalle caratteristiche e dai contenuti spesso in contrasto con il Vangelo e con la dignità della persona umana» (Esort. ap. Ecclesia in Europa, 9.

[56] Ibid., 87.

[57] Angelus, II Domenica di Quaresima, 16 marzo 2003.

[58] Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 100.

[59] Ibid., 50.

[60]Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie, 15.

[61] Benedetto XVI, Omelia in occasione della Beatificazione del Servo di Dio Giovanni Paolo II, 1 maggio 2011.

  

top