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SOLENNE CELEBRAZIONE EUCARISTICA
NEL XXV ANNIVERSARIO DELLA VISITA DI PAPA GIOVANNI PAOLO II E
NEL XX DI CREAZIONE DELLA METROPOLIA

OMELIA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Arcidiocesi di Gdańsk, Basilica Cattedrale do Oliwa
Martedì, 12 giugno 2012

 

Cari fratelli e sorelle!

Con grande gioia presiedo questa Eucaristia in occasione del XXV° anniversario della visita del Beato Giovanni Paolo II a Gdańsk.

Cinque anni fa ero qui fra voi, per celebrare il XX° anniversario e, nel frattempo, la Chiesa intera ha ricevuto il grande dono della beatificazione di Giovanni Paolo II, avvenuta il 1° maggio 2011 in Piazza San Pietro fra un tripudio di gioia e di preghiera. Oggi, dunque, in questa Basilica Cattedrale della Santissima Trinità, abbiamo un motivo in più per rendere grazie a Dio.

Proprio poco fa ho avuto l’onore di benedire la nuova cappella a Gdańsk/Zaspa dedicata al nuovo Beato e di collocare la sua reliquia sopra l’altare.

Ritorno sempre molto volentieri a Danzica, e sempre ripenso al fatto che non lontano da qui ha versato il suo sangue sant’Adalberto, Vescovo di Praga e apostolo in Prussia, Patrono della Polonia e anche dell’Arcidiocesi di Gdańsk. Adalberto ha seguito Cristo come servo fedele e generoso, offrendo la sua vita per il suo Signore. E subito è stato venerato come martire.

Quest’anno ricordiamo anche il XX° anniversario dell’istituzione della Metropolia di Gdańsk. Il 25 marzo 1992, per effetto della bolla Totus Tuus Poloniae populus, la Diocesi di Gdańsk è stata elevata al rango di Arcidiocesi metropolitana. Nell’ambito della riorganizzazione delle Diocesi polacche voluta dal Beato Giovanni Paolo II, la Diocesi di Chełmno ha assunto il nome di Pelplin, ed è entrata a far parte insieme con la Diocesi di Toruń della provincia ecclesiastica dell’Arcidiocesi di Danzica. Tutto questo, cari fratelli e sorelle, è motivo di lode a Dio e di rinnovato impegno al suo servizio nella Chiesa.

Il Vangelo di oggi ci presenta il commovente colloquio tra Gesù risorto e san Pietro, con la triplice domanda rivolta dal Maestro al discepolo: «Mi ami?» (Gv 21,16). L’amore è il tema principale di tutti gli scritti dell’apostolo Giovanni. Per amore il Padre ha offerto il suo Figlio, per amore il Figlio ha dato la vita sulla croce. Per amore Cristo ha chiamato e ha radunato intorno a sé i suoi discepoli. La chiamata si basa sull’amore e l’amore dev’essere il principio fondamentale del comportamento di Pietro. In questo contesto le parole di Gesù «Mi ami?» introducono l’Apostolo a compiere il suo compito specifico nella nascente comunità della Chiesa. Prima di affidare a Pietro l’ufficio di pastore del suo gregge, il Signore gli chiede una esplicita professione d’amore. Infatti, solo chi è spinto dall’amore di Cristo può pascere le sue pecore e condurle a Dio che è la pienezza dell’Amore. Soltanto chi risponde all’amore di Cristo può presiedere il suo ovile sulla terra, dando testimonianza di questo amore.

Il servizio pastorale si basa sulla piena fiducia tra Cristo e il suo Apostolo, un vincolo che non si può misurare con la logica umana. Questa fiducia è riconosciuta profondamente solo dal Signore, che scruta i più profondi segreti del nostro cuore. Il Figlio di Dio ben conosce il cuore dell’Apostolo e gli affida la missione di pascere il suo gregge: «Pasci le mie pecore» (Gv 21,17). Per esercitare questa funzione pastorale si richiede la disponibilità ad una testimonianza senza riserve, fino al martirio. E san Pietro offre la sua vita per il gregge di Cristo, in risposta all’oblazione che Lui stesso ha fatto di sé per i suoi amici (cfr Gv 15,13).

Durante gli incontri e le celebrazioni eucaristiche del Beato Papa Giovanni Paolo II, sono state raccolte parole indimenticabili indirizzate a tutti i Polacchi, parole legate in modo indissolubile alla storia di questa Nazione. Sul Molo della Piazza Kosciuszko a Gdynia, l’11 giugno 1987, il pellegrino della speranza ha ricordato come «la parola “solidarietà” sia stata pronunciata qui, davanti al mare polacco», come «sia stata pronunciata in un modo nuovo, il quale allo stesso tempo conferma il suo contenuto eterno. (…) Nel nome del futuro dell’uomo e dell’umanità bisogna pronunciare questa parola “solidarietà”». Oggi essa si diffonde come un’onda lunga attraverso il mondo, e ci dice che non possiamo vivere secondo il principio «tutti contro tutti», ma solamente secondo l’altro principio «tutti con tutti», «tutti per tutti». Sono ancora parole del Beato Papa: «La solidarietà deve precedere la lotta. Solo allora l’umanità può sopravvivere. Può sopravvivere e svilupparsi ciascuna nazione all’interno della grande famiglia umana» (ibid.). E ancora: «Mai lotta contro l’altro», ma «lotta per l’uomo, per i suoi diritti, per il suo vero progresso: lotta per una forma più matura della vita umana. Infatti la vita umana sulla terra diventa “più umana” quando si governa con la verità, la libertà, la giustizia e l’amore» (ibid.).

A Sopot, in un memorabile 5 giugno 1999, sono state pronunciate le seguenti parole: «Oggi il mondo e la Polonia hanno bisogno di uomini dal cuore grande, che servono con umiltà e amore, che benedicono e non maledicono, che conquistano la terra con la benedizione». Anche oggi queste parole rimangono attuali. Giovanni Paolo II in quella occasione ricordò la nascita e il significato di Solidarnosc, proprio qui a Gdańsk. Con grande determinazione egli affermò che «questo avvenimento appartiene all’eredità nazionale». Ed aggiunse parole indimenticabili: «Udii da voi allora a Gdańsk: “Non c’è libertà senza solidarietà”. Oggi bisogna dire: “Non c’è solidarietà senza amore”». Così tracciò la via di una costruzione spirituale: «Siamo chiamati – disse – a costruire il futuro basato sull’amore di Dio e del prossimo, per edificare la “civiltà dell’amore”». Sono parole per tutti e per tutti i tempi. La civiltà dell’amore può venire dallo sviluppo e dal cammino di civilizzazione di un popolo orientato verso la carità, la generosità, la verità, la libertà e la solidarietà, vale a dire i valori che corrispondono alla logica del Vangelo.

In questo contesto non si possono dimenticare nemmeno le parole pronunciate durante la visita a Gdańsk-Zaspa nel 1987, la visita che ora stiamo commemorando. Il Beato Pontefice ricordava: “«Portate i pesi gli uni degli altri» (Gal 6, 2) - e queste parole hanno una grande portata. «Gli uni degli altri». L’uomo non è solo, vive con gli altri, per mezzo degli altri, a vantaggio degli altri. Tutta l’esistenza umana ha una dimensione comunitaria sua propria, ed una dimensione sociale. Essa non può significare una limitazione della persona umana, dei suoi talenti, delle sue possibilità, dei suoi compiti. È proprio negli interessi della comunità sociale che vi sia per ciascuno uno spazio sufficiente per la libertà personale”. Il Papa insegnava che cosa significa assumersi con coraggio la responsabilità per le cose pubbliche: “Uno dei compiti fondamentali dello Stato è la creazione di questo spazio, così che ciascuno possa, per mezzo del lavoro, sviluppare se stesso, la propria personalità e la propria vocazione”.

Il Papa affrontò anche il grande tema della formazione dei giovani, nella Penisola di Westerplatte di Danzica, nel 1987. Raccomandò che ognuno trovi «nella vita una sua “Westerplatte”. Una dimensione dei compiti che deve assumere ed adempiere. Una causa giusta, per la quale non si può non combattere. Qualche dovere, qualche obbligo, da cui uno non si può sottrarre, da cui non è possibile disertare. Infine – un certo ordine di verità e di valori che bisogna “mantenere” e “difendere”: dentro di sé e intorno a sé».

Cari amici, il destino di ogni uomo si può leggere attraverso l’ottica della domanda di Gesù nel Vangelo di oggi: «Mi ami?» (Gv 21,16) e della risposta: «Sì, Signore, tu sai che ti amo» (Gv 21,17). La vita della Chiesa è basata su questa domanda di Cristo indirizzata ad ogni discepolo: «Mi ami?» e sulla nostra risposta: «Sì, Signore, tu sai che ti amo».

E in questa stessa prospettiva si rivolge a noi l’apostolo Paolo nella seconda Lettura: «Vi esorto (…) a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore” (Ef 4,1-2). Questa esortazione di san Paolo, insieme con le parole che con emozione abbiamo riascoltato dal ricco insegnamento del Beato Giovanni Paolo II, ci aiutino a proseguire nell’impegno di costruire la civiltà d’amore e di portare frutto nella nostra vita quotidiana vivendo autenticamente il Vangelo di Cristo.

Su questa strada ci indirizza e ci guida il Papa Benedetto XVI. Durante la beatificazione del suo amato Predecessore, egli disse di lui che con «la sua testimonianza di fede, di amore e di coraggio apostolico, accompagnata da una grande carica umana (…) ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare del Vangelo» nel mondo di oggi. E confidando nella sua intercessione, anche noi ripetiamo: «Continua – ti preghiamo – a sostenere dal Cielo la fede del Popolo di Dio”.

 

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