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APERTURA DELLA XXVII CONFERENZA INTERNAZIONALE
DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER GLI OPERATORI SANITARI

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Basilica di San Pietro
Giovedì, 15 novembre 2012

 

Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!

Sono molto lieto di celebrare questa Eucaristia con voi, che nella Basilica Papale di San Pietro date inizio ai lavori della XXVII Conferenza Internazionale del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, sul tema “L’Ospedale, luogo di evangelizzazione: missione umana e spirituale”. A tutti e a ciascuno di voi qui presenti reco il cordiale saluto del Santo Padre Benedetto XVI, che vi ringrazia, vi incoraggia e vi assicura della sua preghiera e della sua vicinanza spirituale. Da parte mia, saluto Sua Eccellenza Monsignor Zygmund Zimowski, Presidente del Dicastero, e lo ringrazio per il cortese invito. Con lui saluto i collaboratori, come pure i relatori e tutti i partecipanti.

Nella liturgia odierna le Letture bibliche ci propongono come tema centrale quello del Regno di Dio. Nel passo evangelico di Luca appena proclamato, la domanda dei farisei a Gesù è diretta e incalzante: «Quando verrà il Regno di Dio?» (Lc 17,20). Nel rispondere, il Signore non evita la questione, ma ne cambia la prospettiva: dai calcoli apocalittici, Egli sposta l’accento sulle modalità con cui il Regno verrà, e spiega che esso non potrà mai proporsi al pari di uno spettacolo o di un evento sconvolgente tale da incutere paura o da destare l’attenzione e la curiosità generali. Al modello delle teofanie fragorose dell’Esodo, Gesù contrappone quello dei racconti del diluvio o della rovina delle città di Sodoma e Gomorra, riportati nel libro del Genesi. In quei casi, l’intervento di Dio è descritto come piuttosto inaspettato, compiuto mentre la gente era immersa nelle sue attività quotidiane e ordinarie.

Non occorre perciò – dice il Signore – cercare il Regno di Dio lontano, né attenderlo come un avvenimento clamoroso e travolgente. Esso è qui, ora. È già operante come il seme che, gettato nella terra, germoglia e insensibilmente cresce, senza che chi l’ha seminato debba intervenire; o come il lievito nell’impasto di farina. Non occorrono eventi spettacolari per svelarlo; esso è lì, in mezzo alla comunità umana, cresce alla maniera del frumento, nel cui campo è stata seminata anche la gramigna. Occorre allora cambiare il nostro sguardo, allargare il nostro orizzonte per poter riconoscere la presenza e l’azione del Signore, accoglierle e, al tempo stesso, collaborare attivamente con Lui. E’ ciò che si può fare, voi lo sapete bene, anche con l’esercizio delle diverse professioni sanitarie.

La risposta di Gesù ai farisei ci svela, pertanto, una profonda ed essenziale verità: Dio non ha assolutamente bisogno di farsi acclamare né tanto meno legittimare. Egli opera nei cuori, nelle coscienze, agisce nell’universo e si fa trovare spesso laddove meno ce lo aspettiamo. Così lo scoprì Onesimo, schiavo di un discepolo dell’apostolo Paolo di nome Filemone. Fuggito dalla casa del suo padrone, Onesimo incontrò Paolo durante una delle sue prigionie; iniziato da lui al Vangelo, si convertì e ricevette il Battesimo. Ora, lo vediamo rimandato dallo stesso Paolo al suo padrone, con la supplica che sia accolto non più da schiavo ma da fratello. È, questo, un altro esempio del modo in cui si realizza il Regno di Dio in mezzo agli uomini: accolto con sincerità, umiltà e responsabilità, esso infrange tutte le barriere e introduce nella libertà dei figli di Dio, che comporta anche la responsabilità per i fratelli.

Il Salmo responsoriale, che in qualche modo congiunge le due Letture, ci conduce direttamente al tema che affronterete nel corso della vostra Conferenza, che oggi prende inizio. Infatti, vi troviamo elencate diverse azioni che rivelano il modo in cui si esplica la signoria di Dio; e al centro, quasi come fulcro e sintesi, compare la seguente affermazione: «Il Signore rialza chi è caduto» (Sal 146,8).

L’intera opera di Dio sembra non avere altro scopo che quello di donare la salvezza, restituendo all’essere umano, prostrato sotto il peso di molteplici infermità, non solo la vita ma anche, e soprattutto, la dignità, «rialzandolo» appunto. Si noti, inoltre, sempre nel Salmo, che la giustizia resa agli oppressi, il pane dato agli affamati, la libertà restituita ai prigionieri, la protezione e il sostegno garantiti ai forestieri come alla vedova e all’orfano, oltre ad essere chiari segni messianici, sono al tempo stesso finalità che stanno sempre dinanzi a noi, che chiedono di essere perseguite da parte di ogni credente e dell’intera comunità ecclesiale nel servizio ai fratelli e al mondo, in nome di Dio.

Carissimi, questa vostra Conferenza, che, dopo la celebrazione del Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione, si propone di studiare l’ambiente ospedaliero quale luogo privilegiato di annuncio di Cristo e di servizio all’uomo, rientra a pieno titolo in tale prospettiva, come un’eco dell’umile ma perseverante risposta della Chiesa agli insegnamenti del suo Signore circa l’accoglimento e la propagazione del Regno di Dio. Lavorare su questa tematica raccogliendo le esperienze più significative per il cammino della comunità ecclesiale sarà un vostro contributo specifico all’Anno della fede che stiamo vivendo.

Tale apporto voi lo offrite ponendovi nel solco della bimillenaria storia della Chiesa, che, anche in questo inizio del terzo millennio, è chiamata come sempre a camminare sulle orme di Cristo, così che – come scrisse il Beato Giovanni Paolo II – «ogni uomo diventa la via della Chiesa…in modo speciale quando nella sua vita entra la sofferenza» (Lett. ap. Salvifici doloris, 2). Perciò, le strutture ospedaliere e in genere sanitarie, dove vengono accolte e curate le persone provate dal male fisico, psichico e spirituale, diventano luogo di annuncio del Regno di Dio. La sofferenza, infatti, quale dimensione dell’esistenza umana, è un imprescindibile «luogo di apprendimento e di esercizio della speranza», come ha ricordato il Santo Padre Benedetto XVI nella sua Enciclica Spe salvi (n. 32). Poiché nell’uomo corpo e spirito sono inseparabili, la speranza umana di una possibile guarigione o di un lenimento fisico contiene implicitamente la speranza di salvezza, e viceversa questa aspirazione dell’anima chiede sempre di trovare riscontro nel fattivo impegno per il sollievo della sofferenza. Questa duplice sollecitudine appartiene alla vocazione e alla missione della Chiesa, consapevole di essere strumento nelle mani del Signore. Lo esprime bene una preghiera della Beata Madre Teresa di Calcutta: «Signore, / vuoi le mie mani per passare questa giornata / aiutando i poveri e i malati che ne hanno bisogno? / Signore, oggi ti do le mie mani.
(…) Signore, / vuoi il mio cuore per passare questa giornata / amando ogni uomo solo perché è un uomo? / Signore, oggi ti do il mio cuore».

Vorrei aggiungere un’ultima riflessione. Sempre più spesso, quando si parla degli ammalati si fa riferimento soltanto al miglioramento delle tecniche di cura, oppure all’autonomia dell’ammalato che decide del proprio destino. Tutto ciò ha naturalmente una grande importanza, e perciò la ricerca, quando è a favore dell’uomo, non va mai ostacolata. Ce lo ricorda anche il Santo di cui oggi facciamo memoria: Sant’Alberto Magno, Vescovo e Dottore della Chiesa, patrono dei cultori delle scienze. Ma non tutte le scienze sono sullo stesso piano. La medicina ha per oggetto l’uomo e non le cose, e per questo necessita di un criterio etico ancora più pressante, di una responsabilità ancora più vincolante. Il grande rischio è infatti quello di usare l’uomo come mezzo della ricerca, quasi che fosse un oggetto come un altro privo di dignità, mentre invece va trattato solo come fine del proprio metodo.

San Camillo de Lellis, nel suggerire ai suoi confratelli il metodo più efficace nella cura dell’ammalato, non guardava alla tecnica e all’autonomia del malato nel prendere decisioni per la sua sorte, ma diceva: «Mettete più cuore nelle vostre mani». La prima Enciclica del Santo Padre Benedetto XVI, Deus caritas est, ha ben chiarito questo concetto: «L’amore – cito – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto. Sempre ci sarà solitudine. Sempre ci saranno anche situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo» (n. 28).

Carissimi, nel lasciarvi questi brevi pensieri, affido le vostre persone e i lavori che iniziate alla protezione della Santissima Vergine Maria, Salus Infirmorum, affinché, con la grazia di Dio, l’imprescindibile legame della verità propria della fede e della carità nel servizio agli infermi e ai sofferenti arrechi frutti abbondanti e duraturi nell’esercizio delle vostre professioni sanitarie.

  

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