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INAUGURAZIONE DELL'ANNO GIUDIZIARIO
DELLO STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Sabato, 12 gennaio 2013

 

Cari fratelli e sorelle!

Ci ritroviamo, insieme ai Responsabili e al Personale degli Uffici Giudiziari dello Stato della Città del Vaticano, intorno alla Mensa eucaristica, per inaugurare l’Anno giudiziario nel nome del Signore. Vogliamo invocare la sapienza divina sul delicato e grave compito dell’amministrazione della giustizia. Sono lieto di presiedere ancora una volta questa Santa Messa e di formulare ai presenti il mio deferente saluto. In particolare, saluto i Signori Cardinali, i Confratelli nell’Episcopato, i Prelati e tutti gli invitati. Rivolgo un cordiale pensiero al Presidente del Tribunale, Prof. Giuseppe Dalla Torre, ai Giudici, al Promotore di giustizia e ai collaboratori della Cancelleria, recando a ciascuno il benedicente saluto del Santo Padre Benedetto XVI, il Quale segue con attenta sollecitudine il vostro apprezzato lavoro.

Alla vigilia della Festa del Battesimo del Signore, la liturgia della Parola chiude questa settimana dopo l’Epifania con un interessante episodio del Quarto Vangelo che descrive una incomprensione sorta tra i discepoli del Battista e quelli del Nazareno. Con molta probabilità, agli inizi della Chiesa coesistevano due tipologie di battesimo: quella del Battista e quella dei discepoli di Gesù. Il brano intende chiarire che Giovanni sente di avere concluso la sua missione e il suo percorso di vita, pertanto si mette da parte e vuole che sia Gesù a crescere. Non possiamo che ammirare il Battista: egli riconosce con realismo di fede il proprio ruolo e i suoi limiti in relazione alla Persona di Cristo. Gesù definisce Giovanni il più grande degli uomini mai esistiti. In effetti, il Battista è grande oggettivamente, come precursore del Messia, e anche soggettivamente, per questa sua umiltà piena di fede e di amore verso lo Sposo che finalmente è arrivato.

Giovanni Battista vive la sua esistenza cercando l’Assoluto. Persona inquieta e austera, obbedisce alla vocazione di Dio che lo vuole profeta eremita, nella solitudine del deserto. Nei pressi del Mar Morto, sulle rive del Giordano, attira migliaia di persone affascinate dalla sua forte personalità carismatica. Non ha remore, fustiga il potere costituito, anche religioso, senza paura. Interrogato su chi egli sia, in maniera inattesa risponde: «Io sono voce». Questo gli ha fatto capire il Signore in quelle solitudini: egli dev’essere la voce che annuncia la Parola.

L’odierna pericope evangelica ci presenta, altresì, il Battista intento a spiegare ai suoi discepoli e alla folla che Gesù è l’inviato di Dio, ed è Lui pertanto che bisogna accogliere e seguire. Per far comprendere la sua missione, Giovanni richiama il paragone delle nozze: lui è venuto per preparare le nozze, per richiamare l’attenzione della sposa, ossia del popolo d’Israele, ad accogliere lo Sposo che sta per venire e vivere quindi la festa nuziale. Non è perciò verso il Battista che essi debbono andare, ma verso lo Sposo, Gesù di Nazareth. Questa testimonianza di Giovanni richiama il compito di ogni predicatore: preparare il cuore di chi ascolta ad accogliere il Signore. Ma è anche il compito di ogni credente: aiutare gli altri ad accogliere nel proprio cuore Gesù. È il senso della splendida affermazione di Giovanni: «Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,29-30).

L’esempio e la testimonianza di Giovanni Battista sono un richiamo ai credenti a mettere da parte il protagonismo, il voler apparire, diminuendo così il proprio “io” perché cresca in ognuno di noi e negli altri l’amore per Gesù: Egli è la Via, la verità e la vita. Questo atteggiamento richiede l’umiltà del cuore, che è dono di Dio da implorare incessantemente nella preghiera. Per questo l’apostolo Giovanni, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura, verso la conclusione della sua Lettera, raccomanda una preghiera fiduciosa al Padre, che non mancherà di esaudirla, se chi chiede è disposto a fare la sua volontà. Esorta inoltre a pregare anche per i fratelli, a meno che non siano ostinati nel male e quindi rifiutino di convertirsi. La preghiera vicendevole acquista il valore di uno squisito atto di carità. Anche san Paolo raccomanda più volte di pregare gli uni per gli altri, e Gesù stesso prega perché Pietro, una volta ravveduto, confermi nella fede gli altri apostoli.

Cari amici, in questa Santa Messa rivolgiamo la nostra comune preghiera al Signore, perché ciascuno possa adempiere con umiltà e nella verità il proprio servizio nell’amministrazione della giustizia a favore della nostra peculiare comunità dello Stato della Città del Vaticano. Auguro a tutti voi, che a vario titolo partecipate all’inaugurazione dell’Anno giudiziario, di poter crescere nella consapevolezza che l’armonia, la giustizia e la pace non sono pienamente raggiungibili senza l’adesione a Dio e l’accoglienza della sua grazia. Vale anche per ciascuno di noi l’invito ad una consapevole apertura al trascendente, che il Santo Padre Benedetto XVI ha rivolto pochi giorni fa ai Membri del Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, senza la quale, affermava: “l’uomo cade facile preda del relativismo e gli riesce poi difficile agire secondo giustizia e impegnarsi per la pace” (7 gennaio 2013).

Sui nostri propositi e sul nuovo Anno giudiziario dello Stato invochiamo la materna intercessione di Maria Santissima, Speculum iustitiae.

 

    

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