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VESPRI DI S. ANTONIO ABATE
PATRONO DELLA PONTIFICIA ACCADEMIA ECCLESIASTICA

OMELIA DEL CARD. TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO DEL SANTO PADRE

Giovedì, 17 gennaio 2013

 

Cari Confratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,

rivolgo il mio cordiale saluto alla comunità della Pontificia Accademia Ecclesiastica, che ci ospita questa sera, insieme al suo Presidente, S.E. Mons. Beniamino Stella, che ringrazio per le parole di benvenuto che mi ha rivolto, così come per la premura e la dedizione con cui guida questa comunità sacerdotale. Accogliamo con gioia tutti gli ex alunni che hanno voluto onorare la festa del Patrono sant’Antonio Abate: questo annuale ritrovo ci porta a fare grata memoria anche di tutti coloro che non possono essere presenti, ma sono uniti a noi spiritualmente, in particolare i Nunzi e i loro collaboratori attualmente in servizio presso le Rappresentanze Pontificie: a loro vogliamo assicurare il nostro ricordo nel Signore. Non possiamo dimenticare in questo momento di festa familiare quanti il Signore ha già chiamato a sé, in particolare i defunti di quest’ultimo anno, ai quali va la nostra preghiera di suffragio, con un ricordo speciale per Mons. Ambrose Madtha, perito, come sappiamo, in un incidente automobilistico nello svolgimento della sua missione di Nunzio Apostolico in Costa d’Avorio.

L’annuale celebrazione della solennità del nostro Patrono offre l’occasione per condividere alcune riflessioni sul senso del nostro peculiare ministero, che vorrei inquadrare nel contesto dell’Anno della Fede che stiamo celebrando.

Con questa iniziativa il Santo Padre ha chiamato tutta la Chiesa ad una sorta di pellegrinaggio verso l’essenziale, un pellegrinaggio che intende riportare tutti al cuore dell’esperienza cristiana, che è l’incontro vivificante con il Cristo crocifisso e risorto. Come ha scritto il Papa nella Lettera apostolica Porta fidei, “l’Anno della fede è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo” (Porta fidei, 6).

Anche per noi che ci troviamo al servizio diretto del Successore di Pietro, nei Dicasteri e uffici della Curia romana o nelle Rappresentanze Pontificie, questo Anno vuole essere un tempo di grazia, un’opportunità per approfondire il nostro radicamento nel Signore e riscoprire così il senso più genuino del nostro servizio. Non vi è dubbio, infatti, che come ogni altra forma di ministero sacerdotale, anche quello svolto in questa particolare condizione conosca i suoi propri rischi. Tra di essi vi è quella sorta di assuefazione, di adeguamento superficiale alla routine di ogni giorno, di accomodamento a vuote formalità, che con il passare del tempo rischia di renderci meno attenti alla dimensione soprannaturale del nostro lavoro quotidiano.

Anche noi abbiamo pertanto sempre bisogno di ritornare all’essenziale. Il Santo Padre, nella menzionata Lettera apostolica, ricorda come la fede sia costituita da due dimensioni fondamentali: l’atto con cui ci affidiamo totalmente a Dio e i contenuti a cui diamo il nostro assenso. Entrambe queste dimensioni indubbiamente già ci appartengono, eppure la celebrazione di questo Anno può rappresentare anche per noi la provvida occasione di coltivarle in maniera ancor più consapevole, intensificando la preghiera, la riflessione, l’approfondimento dei contenuti della fede e permettendo così a questo seme di grazia di portare frutto in noi.

Come ci ha ricordato il Papa nel recente discorso al Corpo diplomatico, “esiste un’intima connessione tra la glorificazione di Dio e la pace degli uomini sulla terra”: dove Dio è glorificato, lo è anche l’uomo ed è allora possibile costruire la pace. Queste parole sono certo riferite allo scenario internazionale, ma valgono anche per le nostre comunità e per la nostra vita personale. Se riusciremo a dare gloria a Dio, a vivere fino in fondo il primato della fede, allora saremo anche veri costruttori di pace, nei nostri ambienti di vita e di ministero, così come nelle relazioni ecclesiali e in quelle internazionali.

Da questo punto di vista, non dobbiamo dimenticare che per un Pastore l’assidua cura per la propria vita di fede ha sempre una dimensione apostolica: i Successori degli Apostoli, infatti, coadiuvati dai presbiteri, hanno il principale compito di custodire il depositum fidei, compito che tuttavia non si può assolvere come un incarico, per così dire, esteriore: può essere custode del depositum solo chi da esso si lascia permanentemente custodire. Sempre Papa Benedetto, nell’omelia per la Solennità dell’Epifania, ha così descritto il Vescovo: “[egli] deve soprattutto essere un uomo il cui interesse è rivolto verso Dio, perché solo allora egli si interessa veramente anche degli uomini. Potremmo dirlo anche inversamente: un Vescovo dev’essere un uomo a cui gli uomini stanno a cuore, che è toccato dalle vicende degli uomini. Dev’essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l’inquietudine verso Dio è diventata un’inquietudine per la sua creatura, l’uomo. […] egli dev’essere preso dall’inquietudine di Dio per gli uomini. Deve, per così dire, pensare e sentire insieme con Dio”.

Queste brevi riflessioni ritengo siano utili anche agli alunni dell’Accademia. La formazione in questa casa permette di scoprire in maniera particolare la grandezza dell’essere a diretto contatto con l’universalità della Chiesa, con la sua apostolicità e con il ruolo che in essa svolge, per volontà del suo divino fondatore, il Successore di Pietro.

In questi anni di formazione, lo sappiamo, sono molti e talora pressanti gli impegni e gli adempimenti che vi vengono richiesti. Tuttavia, non dovete mai dimenticare l’unum necessarium: coltivare la vostra fede è il presupposto indispensabile per la vostra vita sacerdotale e anche per la preparazione al futuro servizio alla Santa Sede.

Maggiore sarà la vostra identificazione a Cristo, e maggiori saranno la vostra passione per la vita della Chiesa, il vostro amore per gli uomini di ogni popolo e nazione, la vostra capacità di costruire relazioni fraterne, legami di collaborazione e di pace, per i quali la vita comunitaria attuale rappresenta un’ottima propedeutica. Tutto ciò vi consentirà di affrontare con più coraggio le difficoltà, talora non lievi, che potrà richiedere il vostro ministero, e di accettare con realismo anche quegli aspetti legati all’inevitabile fragilità della natura umana, di cui non manchiamo di fare esperienza.

Si trova qui la radice di quella fedeltà alla quale il Santo Padre vi richiamava nel contesto dell’udienza concessa alla comunità dell’Accademia lo scorso 11 giugno: “Nella fede troviamo l’unica garanzia della nostra stabilità, e solo a partire da essa possiamo a nostra volta essere veramente fedeli”.

Cari amici, guardiamo alla figura luminosa di sant’Antonio Abate, patrono di questa casa, e vediamo riflesso nella sua vita quel primato di Dio che desideriamo ardentemente vedere incarnato anche nella nostra. Diverse sono le vocazioni, ma a nessun cristiano è impedita la grazia di testimoniare la radicalità della fede. Ai suoi discepoli che gli chiedevano una parola di illuminazione, sant’Antonio diceva: “Sia questa la comune aspirazione di tutti: non retrocediamo dopo aver cominciato, non scoraggiamoci nelle fatiche, non diciamo mai «abbiamo praticato per molto tempo l’ascesi». Piuttosto accresciamo lo zelo come se incominciassimo ogni giorno. Di fronte ai secoli futuri la vita umana è brevissima; tutto il nostro tempo è nulla rispetto alla vita eterna” (Atanasio di Alessandria, Vita di Antonio, 16).

 “Accresciamo lo zelo come se incominciassimo ogni giorno”: rinnoviamo anche noi questo proposito all’inizio del nuovo anno, nel quale avremo la gioia di vivere anche l’incontro di tutti i Rappresentanti Pontifici con il Santo Padre: affidiamo sin d’ora la buona riuscita di questo importante avvenimento all’intercessione del nostro celeste protettore, e da lui invochiamo su tutti noi abbondanti benedizioni e consolazioni divine in questo Anno della fede.

 

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