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ORDINAZIONE EPISCOPALE DI S.E. MONS. ETTORE BALESTRERO,
S.E. MONS. MICHAEL W. BANACH, S.E. MONS. BRIAN UDAIGWE

OMELIA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO

Basilica di San Pietro, 27 aprile 2013

 

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel sacerdozio,
distinti membri del Corpo Diplomatico,
carissimi Ordinandi,
cari fratelli e sorelle!      
 

La pericope del Vangelo di Giovanni che è stata poc’anzi proclamata è posta a sigillo della scena dello svelamento del traditore. Le tenebre che pesavano sul cenacolo, per la decisione del tradimento di Giuda, sembrano diradarsi. Uscito il traditore nella notte, Gesù si sente quasi sollevato ed apre il proprio cuore ai suoi, pur consapevole degli eventi imminenti che l’attendono: l’inizio dell’ora delle tenebre. Il dramma finale del Cristo sta per iniziare, ed Egli stesso può dichiararne il trionfo, spiegando ai suoi intimi che la Passione è la gloria del Figlio dell’Uomo; la sua Croce, umiliazione e ignominia per gli uomini, è la sua esaltazione.       

Gesù, infatti, preannuncia il proprio destino che da questo momento si sta delineando: è la sua “glorificazione”, che nel linguaggio tipico dell’evangelista significa l’esaltazione pasquale del Cristo crocifisso e risorto, fonte della nostra salvezza. Nella Croce di Cristo si rivela la gloria, cioè la presenza luminosa e potente di Dio in mezzo all’umanità. Dopo queste parole, nel contesto dell’ora del distacco e della partenza da questo mondo, Gesù affida ai discepoli le sue ultime volontà, sulle quali domina il comandamento nuovo dell’amore: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).

Questo comandamento è nuovo perché è il cuore e la sintesi della nuova alleanza, fondata sull’amore di Gesù per l’umanità; è nuovo perché riproduce nel mondo l’amore che Cristo nutre per i suoi in modo sempre straordinario; è nuovo, perché viene offerto come un dono - «Vi do...» - : è dono di Dio e di Cristo. L’evangelista Giovanni si riallaccia alla tradizione biblica che vede nella Legge di Dio, nei comandamenti, il suo dono per eccellenza e la luce sul nostro cammino. Il comandamento nuovo è altresì una partecipazione alla capacità divina di amare. Dice infatti Gesù: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri».

La novità di questo comandamento non sta nell’«amatevi», ma nel «come io ho amato voi»; il che significa amare a misura di Dio, nella carità, cioè fino a dare la vita. L’amore reciproco che Gesù chiede ai suoi ha come modello la Croce: è un amore universale e gratuito. Anzi, la credibilità dell’amore vicendevole sta proprio nella sua capacità di varcare i confini del proprio recinto, per fare della Chiesa una comunità in grado di mostrare l’amore di Gesù per tutti. L’amore reciproco dei credenti è sempre preceduto da quello di Cristo, che prima ancora di essere norma e modello di condotta, ne è la sorgente e la radice.  A questa fonte sono chiamati ad attingere tutti i discepoli del Signore, per vivere la logica dell’amore fraterno e del dono sincero di sé, che è la tessera di riconoscimento dell’appartenenza alla comunità cristiana, come afferma Gesù: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli» (v. 35). Si tratta di rappresentare al vivo la prospettiva del “nuovo mondo”, da parte di ogni cristiano, ma soprattutto da parte dei Pastori e delle guide del Popolo santo di Dio.       

Carissimi Mons. Ettore, Mons. Michael e Mons. Brian, l’episcopato che oggi ricevete, mediante le mie mani, per mandato apostolico del Santo Padre Francesco, al quale va il nostro pensiero orante, devoto e affettuoso, porta a pienezza il vostro sacerdozio secondo la misura della carità immensa, profonda e universale di Gesù, che non esitò ad offrire la sua vita per la salvezza dell’umanità. Offrire la vita significa donarsi in piena disponibilità, porre al servizio degli altri i doni ricevuti da Dio, dare il proprio tempo, consumare la propria vita senza riserve. Ci è facile, a volte, donare delle cose; più difficile e molto più importante e fecondo è dare il nostro tempo, animati da spirito missionario. Si tratta di andare incontro a quanti sono alla ricerca della verità; di accendere la luce nel cuore di quanti camminano nelle tenebre; di seminare la pace, la gioia e la speranza in quanti soffrono la solitudine, le angustie, le ingiustizie. Come ci ha ricordato il Santo Padre nell’omelia della Messa Crismale, occorre illuminare «le situazioni limite, le “periferie” dove il popolo fedele è più esposto all’invasione di quanti vogliono saccheggiare la sua fede» (28 marzo 2013). Questo essere mandati a sostenere le fragilità, le debolezze e le sconfitte degli uomini è ministero non eccezionale e occasionale, ma normale e fondamentale in cui la Chiesa si identifica e in cui manifesta la sua origine divina.

L’amore, la carità pastorale costituisce il nucleo e la forma della spiritualità del servizio episcopale, ed è l’anima delle tre funzioni pastorali: ministero della Parola, del culto liturgico e della guida del popolo di Dio. Il servizio della Parola pone anche noi ogni giorno in ascolto di essa, ci stimola ad accoglierla prima di tutto nella nostra vita e ci fa essere sempre più discepoli del Signore. Quando annunciamo il Vangelo ci uniamo intimamente a Cristo Maestro e ci lasciamo guidare dal suo Spirito. Così partecipiamo della carità di Dio, il cui mistero nascosto nei secoli è stato rivelato in Cristo (cfr Col 1,26). Il ministero liturgico, principalmente la celebrazione eucaristica, ci immette in modo particolare nel mistero pasquale di Gesù; ci porta ad imitare ciò che amministriamo e ci fa profondamente partecipi della carità di Colui che si dà ai fratelli come Pane eucaristico. Quali guide del popolo di Dio ci sentiamo spinti dalla carità del Buon Pastore a custodire, vigilare e difendere il gregge, con ogni energia e sacrificio.

I tre presbiteri, che oggi entrano a far parte del Collegio  episcopale, saranno inviati come rappresentanti del Papa per seguire la vita della Chiesa in Colombia, Papua Nuova Guinea e Benin, mantenendo cordiali rapporti con le autorità civili, per cooperare al progresso spirituale di quelle popolazioni.  Ricchi di una esperienza ecclesiale maturata nelle rispettive Diocesi di origine, come pure nelle Nunziature di diversi Paesi e, Monsignor Ettore, in Segreteria di Stato con un compito di speciale responsabilità; accompagnati dal nostro affetto, dalla nostra stima e dalla nostra gratitudine; ma soprattutto sostenuti dalla forza dell’Eucaristia, i nuovi Arcivescovi lavoreranno in quelle terre per annunciare il Vangelo di Cristo, Via, Verità e Vita. Le comunità di Genova (Italia), Worcester (Stati Uniti d’America), Orlu (Nigeria), oggi qui rappresentate e che saluto con grande cordialità e riconoscenza, si stringono attorno a loro, adorando e ringraziando il Signore, che sempre suscita buoni Pastori per la sua santa Chiesa.

Caro Don Ettore, caro Don Michael e caro Don Brian, la fiamma della carità pastorale vi spinga a lavorare generosamente al servizio della Chiesa in quei Paesi dell’America Latina, dell’Oceania e dell’Africa. Non dimenticate mai le parole di Gesù che abbiamo ascoltato ancora una volta nell’odierna pagina evangelica: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). In realtà, è l’amore di Cristo e per Cristo la ragione del nostro impegno apostolico. Caritas Christi urget nos. È così per ogni sacerdote, è così per ogni Vescovo e per ogni rappresentante del Papa. Si tratta di un amore incessante, che ci chiama a seguire Cristo che «ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (Ef 5,25).

A Maria, che ha generato Gesù, il Buon Pastore, domandiamo di sostenere con la sua materna intercessione questi nostri Fratelli che oggi diventano Vescovi della Chiesa di Cristo, affinché siano pastori buoni, saggi, gioiosi e generosi, totalmente aperti a Dio e sempre disponibili ai bisogni dei fratelli. Così sia!

 

 

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