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CELEBRAZIONE EUCARISTICA IN OCCASIONE DEL PELLEGRINAGGIO
ALLA TOMBA DI PIETRO E DEL CONVEGNO DEI NUOVI VESCOVI

OMELIA DEL CARDINALE TARCISIO BERTONE,
SEGRETARIO DI STATO

Facoltà “Regina Apostolorum”
Mercoledì, 11 settembre 2013

 

Cari Confratelli,

L’odierno brano del Vangelo ci propone le “beatitudini” nella redazione di san Luca, che si caratterizzano per la contrapposizione tra quattro “beati voi” e quattro “guai a voi”.

La pagina evangelica delle beatitudini è forse una delle più conosciute, anche dai non cristiani. Rispetto a Matteo, Luca esprime una preoccupazione più evangelizzante e missionaria: il suo è un Vangelo predicato nelle Chiese dei pagani dell’Asia Minore e della Grecia, che comprendevano un gran numero di poveri, di oppressi, di reietti.

Entrambe le versioni, quella di Matteo e quella di Luca, presentano Gesù che dichiara giunto il momento in cui i poveri ricevono la buona notizia che il Regno di Dio appartiene a loro, perché è venuto nel mondo il Figlio di Dio, che è un povero, uno che si appoggia solo sul Padre celeste. E proprio questo Gesù povero è addirittura il Regno di Dio in persona, è la vivente beatitudine, perché Lui stesso è il vero povero di Dio. Cristo venne nel mondo in grande umiltà, visse in povertà e morì sulla croce spogliato di tutto. In questa beatitudine Cristo esprime se stesso, e si rivolge a noi perché lo seguiamo, lo imitiamo, accogliendo nella nostra vita lo stesso ordine di valori, e così partecipiamo della sua stessa felicità.

Occorre pertanto tenere fisso lo sguardo su Gesù povero, abbandonato totalmente alla volontà del Padre, su Gesù disprezzato e perseguitato. Egli è il santo, pienezza di beatitudine divina. Bisogna entrare in una comunione concreta, esistenziale con Gesù, conformandosi sempre di più a Lui, il quale ha manifestato la sorgente della felicità nell’appartenere al Padre e compiere sempre quello che il Padre vuole. Cristo, infatti, guarendo i malati, facendo del bene a tutti, perdonando i peccatori pentiti non voleva fare altro che partecipare agli uomini la propria felicità. La radice della beatitudine, perciò, dev’essere colta nella nostra assimilazione al Figlio di Dio. Ogni dono perfetto viene dal Padre, e la nostra stessa chiamata a consacrarci nel ministero episcopale è desiderio, ricerca, impegno per somigliare sempre più a Gesù Cristo.

Eppure, nella vita quotidiana possono esserci momenti in cui si ha la sensazione di essere perdenti, e non avere più energie per adempiere adeguatamente la nostra missione. Sono i tempi dell’afflizione, dell’indifferenza, della persecuzione, preannunciati dal Maestro divino, quando ha ricordato che l’odio dei nemici scatenerà persecuzioni contro i seguaci del Vangelo, causando la loro emarginazione nella società (v. 22). In tali circostanze sopravviene lo smarrimento, l’angoscia e si rischia di rinchiudersi in se stessi. Ma proprio le beatitudini evangeliche contengono una inesauribile carica di speranza nel futuro di Dio, di un compimento che va oltre le situazioni storiche.

In particolare, il messaggio di Gesù proposto da san Luca nella quarta beatitudine (v. 22s) è davvero sconcertante, perché l’odio e le persecuzioni subiti a causa del Figlio dell’uomo sono presentati come motivo e fonte di gioia. L’ostilità deve essere per i cristiani motivo non di tristezza, ma di gioia, perché la loro ricompensa in cielo sarà sovrabbondante (v. 23). Si tratta del premio escatologico alla fine del tempo con l’ingresso nella vita eterna. Anche nelle tre precedenti beatitudini tale dimensione futura è insinuata con sufficiente chiarezza, perché Gesù contrappone il presente stato di dolore alla futura condizione di felicità nella gloria di Dio (v. 21). Per due volte l’avverbio «ora» è posto in contrapposizione con la sorte futura: «sarete saziati», «riderete».

Dunque, il tema dominante, l’intonazione, la prospettiva di questa che risulta essere stata la prima grande predicazione pubblica di Gesù, è quella della felicità. Ma l’annuncio che Gesù ne dà, specialmente in questa versione lucana, non è irenico, utopistico, anzi, è drammatico e procede per contrasto: sia il contrasto tra il presente e il futuro, sia quello tra “beati” e “guai”. Questa impostazione esprime il fatto che dietro le beatitudini si nasconde un misterioso capovolgimento, che consiste nel passare dall’avere all’essere e dall’essere al dare. Scoprendo la dinamica di questo passaggio l’uomo raggiunge il segreto di Dio che diventa il segreto della fecondità dell’agire umano: essere per gli altri, cioè donarsi.

Cari Confratelli nell’episcopato, siamo chiamati a vivere il nostro ministero come incessante donazione a Dio e ai fratelli. La nostra vita dobbiamo metterla pienamente e senza riserve al servizio di Cristo e della Chiesa, per cooperare efficacemente al mistero della salvezza. Auspico che queste giornate di studio, di riflessione, di confronto e di preghiera possano rafforzare in ciascuno il desiderio di servire il gregge a voi affidato «sorvegliandolo non per forza, ma volentieri, secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo … facendovi modelli del gregge» (1 Pt 5,2-3). Le vostre comunità vi possano sempre riconoscere quali annunciatori appassionati del Vangelo, dediti a questa missione di cui il mondo ha tanta urgenza, a tempo pieno, quali pastori solleciti, suscitatori di comunione, maestri di verità e, al tempo stesso, testimoni di misericordia.

Come ama ripetere il Santo Padre Francesco, la nostra missione nella Chiesa deve caratterizzarsi per un forte senso di misericordia, ad imitazione di Dio, ricco di misericordia. Nel vostro ministero episcopale, siate dunque generosi cooperatori della misericordia divina, annunciatori - mediante il servizio della Parola e la celebrazione dei Sacramenti - della salvezza che è stata donata in Cristo ed è destinata a raggiungere tutti gli uomini. Nel servizio al popolo di Dio, rimanete ben saldi sulle orme di Gesù, il primo “mandato”, Colui che, incarnatosi sotto il cuore immacolato di Maria Santissima per opera dello Spirito Santo, ha camminato sulle vie dell’uomo, per elevarlo fino a Dio, ricomporre in lui l’immagine divina deturpata dal peccato, restituirlo all’amicizia e alla filiazione del Padre.

Il Signore accompagni e benedica sempre ciascuno di voi e il vostro ministero.

 

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