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ORDINAZIONE EPISCOPALE DI MONS. GIOVANNI BATTISTA MORANDINI

OMELIA DEL CARDINALE AGOSTINO CASAROLI*

Sabato, 8 ottobre 1983
 

 

 

Sotto le volte maestose di questo Tempio, centro religioso dell'antica “Colonia Civica Augusta Brixia”, ben presto conquistata alla fede cristiana che generosamente conservò e promosse nei secoli, e che ancor oggi fortemente è radicata nell'animo dei bresciani, in questo momento solenne, nel quale uno dei sacerdoti che costituiscono la sua corona sta per essere elevato alla sacramentale dignità di Pastore nel popolo di Dio, sembrami sentire misteriosamente presente – partecipe dell'esultanza dei suoi condiocesani, e della loro preghiera – lo spirito grande di Colui che di Brescia e delle terre lombarde fu certamente uno dei maggiori e più nobili figli: quel Giovanni Battista Montini che, ricevuta qui l'Ordinazione sacerdotale, il 29 maggio 1920, fu dalla Provvidenza, portato poi, attraverso un lungo cammino di servizio, ricco di realizzazioni e di promesse, sino al servizio più alto e più responsabile che possa rendersi alla Chiesa di Cristo, al soglio di Pietro.

1. Ancora mi risuonano nell’animo le parole luminose che dal suo labbro echeggiarono sotto la cupola michelangiolesca di San Pietro in Vaticano, quando, il 16 luglio del 1967, ebbi insieme con altri quattro, prescelti con me a così singolare privilegio, la sorte di ricevere, mediante l'imposizione delle sue mani consacrate, il dono dello Spirito che, indegno, mi unì alla schiera dei successori degli Apostoli, alla quale stiamo ora per aggregare, in nome e per l'autorità della Chiesa, un altro figlio della diocesi bresciana, Mons. Giovanni Battista Morandini.

«Un avvenimento stupendo – ebbe allora egli a dirci, con quella sua eloquenza semplice,assieme, e insofferente di luoghi e di espressioni comuni – un avvenimento unico, un avvenimento formidabile e irreversibile, un avvenimento massimamente rivelatore della bontà divina s'è ora realizzato, il quale s’innesta non meno nella vostra vita personale, che in quella mistica e sociale della Chiesa, e che Ci obbliga a cercare le parole più alte, quelle che si arrendono all'incapacità di esprimersi e di eguagliare le realtà a cui si riferiscono; a cercare i sentimenti più veri e più commossi; i voti più grandi, grandi come vaticini, non enfatici, non iperbolici, ma tangenti le maestose profondità dei divini disegni» (Insegnamenti Paolo VI, V ‘1967’ pp.372 ss.)

"Una trasmissione di grazia e di potere" – continuava l'indimenticabile Pontefice, cercando di penetrare in queste maestose profondità – "una nuova trasmissione che aggiunge nuovi anelli viventi alla catena gerarchica della Chiesa, risalente agli Apostoli e saldata a Cristo; è un'estensione della sua virtù pastorale, santificante e moderante ad un tempo, che da Lui, Cristo, arriva fino a noi; è il prodigio della prima mistica radice di Cristo, che fa sgorgare la sua linfa soprannaturale nelle vostre persone e dimostra la secolare, perenne vitalità del Corpo mistico e la sua capacità di attualizzare Cristo nel tempo, anzi di mostrarne la perpetua giovinezza e la virtù da Lui emanante di nuovi inattesi incrementi".

Difficile sarebbe per me trovare parole più elevate e illuminanti di queste, sulle quali mi è caro ritornare e che ci è utile meditare, qui, nella Cattedrale che ricorda le primizie sacerdotali di Paolo VI, mentre un analogo evento sta compiendosi, a rinnovare ed a perpetuare l'apostolica giovinezza della Chiesa di Cristo.

Come ci è utile proporci la domanda che il Pontefice consacratore allora enunziava: «E' questa grazia fine a sé stessa? Termina questa istituzione divina, ch'è la gerarchia, alle persone che ne sono investite? Certamente queste persone sono inondate di grazia per loro stesse santificante, ma l'intenzione divina è che il Sacerdozio sia soprattutto santificante per gli altri. E' un ministero ch'è ora conferito, non un privilegio, non una semplice dignità; è una potestà destinata all'altrui vantaggio; è un servizio affidato a beneficio del prossimo; una responsabilità, che soltanto si giustifica se esercitata per la carità della Chiesa».

2. Il servizio che, per la voce del suo Vicario in terra, Cristo a Lei affida nel renderLa Vescovo della sua Chiesa, caro Mons. Morandini, ha carattere, utilità, responsabilità, difficoltà del tutto singolari.

Non alla cura di una Chiesa particolare, in qualità di Padre e Pastore o di suo Ausiliare o Coadiutore, Ella è chiamata; né all'esercizio di una funzione di interesse generale per un gruppo di Chiese unite in un vincolo di collegiale cooperazione, in ambito nazionale o regionale; ma a prestare la sua opera al Vicario di Cristo nell'espletamento della sua missione di Pastore universale: per consentirgli di essere in qualche modo, ma efficacemente presente là dove la sua presenza personale non può essere, semmai, che sporadica e temporanea; mentre incessanti sono le ansie e le responsabilità che agitano il suo animo e gravano sulle sue spalle per quella "sollicitudo omnium Ecclesiarum" che al Vescovo di Roma, Successore di Pietro, Gesù ha commesso: "Pasci i miei agnelli!', le mie pecorelle!". «Conferma i tuoi fratelli!": tu, pietra, sulla quale io ho edificato la mia Chiesa, e le forze infernali non potranno prevalere contro di essa.

Rappresentante Pontificio, parte di quella grande famiglia di Presuli ai quali incombe l'onore e l'onere di tradurre nell'azione quotidiana, sotto ogni cielo e presso le penti più diverse, le sollecitudini pastorali del Papa.

Senza sostituirsi in alcun modo, o interferire nella missione che per diritto divino spetta ai singoli Pastori che nelle varie parti del mondo lo Spirito Santo ha posti a reggere la Chiesa di Dio, i Rappresentanti della Santa Sede debbono restare vicini ad essi, fraternamente partecipi delle loro gioie e delle loro preoccupazioni Pastorali; ma, soprattutto, interpreti fedeli del pensiero, delle attese, dei desideri, della volontà del Pastore Supremo; canale privilegiato di comunicazione costante tra Lui e i suoi Fratelli nell’episcopato: già che nulla toglie alla possibilità, all’utilità, alle opportunità dei contatti diretti, epistolari o personali, tra il Papa e i Vescovi o le Conferenze episcopali, specialmente in occasione delle Visite ad limina, quando i Pastori di tutto il mondo si recano a Roma, “videre Petrum”.

Un servizio di Chiesa, quindi, quello dei Rappresentanti Pontifici: e fra i più preziosi, anzi necessari.

«La collegialità è carità – così il Papa Paolo VI a un gruppo di suoi Rappresentanti in Asia (Manila, 28 novembre 1970) – carità e, in certa misura, corresponsabilità. E voi dovete essere presso le Gerarchie locali il segno vivente di questa comunione e di questa solidarietà ...Venendo dal centro della cristianità, voi siete i testimoni della cattolicità e dell'universalità del Messaggio Cristiano. Partecipando al carisma particolare di Pietro, voi rappresentate in maniera privilegiata le esigenze dell'unità nella auspicata diversità delle espressioni della medesima fede. In forza del vostro stretto collegamento con la Sede del Capo del Collegio apostolico, voi costituite, per così dire, il "trait d'union" fra le Chiese particolari del mondo intero" (Insegnamenti di Paolo VI, VIII ‘1970’ p.l236).

Di carattere non meno genuinamente ecclesiale è il servizio che i Rappresentanti Pontifici accreditati presso i Governi di molti Paesi prestano così, sia a diretto vantaggio della Chiesa, sia a favore delle grandi cause umane che il Vicario di Cristo ha pure missione di difendere e promuovere nel mondo. Esse hanno nome solidarietà umana (preziosa, anche quando non assurge allo splendore sovrannaturale della carità cristiana), integrale progresso dei popoli, diritti dell’uomo, cultura, pace nella giustizia, nella verità, nella libertà, nell'amore.

Interpreti e collaboratori dell'impegno dei Papi in questi campi, i Rappresentanti Pontifici rivestiti del carattere di agenti diplomatici hanno la nobile responsabilità di adoperarsi presso le supreme Autorità degli Stati, non solo per la tutela e lo sviluppo di corretti rapporti fra lo Stato e la Chiesa nei Paesi dove sono accreditati, ma anche di offrire e chiedere cooperazioni efficaci nell'interesse di utili e pacifici rapporti all'interno delle Nazioni e fra i popoli secondo le possibilità, spesso – purtroppo – modeste e limitate, ma sempre con sforzo generoso e sincero.

Come Pietro, così anche coloro che egli manda nel mondo quali suoi inviati si sentono debitori di servizio e di amore verso Dio, verso la Chiesa, verso l'umana famiglia.

3. Il campo che il Santo Padre ha assegnato alle Sue cure di Rappresentante Pontificio, caro Mons. Morandini, non è fra i più grandi del grande Continente africano, né per superficie, né per numerò di abitanti. Ma è terra che si è mostrata singolarmente aperta a ricevere il buon seme del Messaggio evangelico, ed ha saputo – e sa – farlo fruttificare, con l'aiuto del Signore.

Questo seme, portato all'inizio di questo secolo nel "Paese delle mille colline" dallo zelo di generosi Missionari, ha portato a Cristo la metà degli abitanti del Rwanda. La Sede Metropolitana di Kigali, con le sue 7 suffraganee, tutte provviste – meno una ancora – con Prelati oriundi del Paese, il numero dei suoi sacerdoti, religiosi e religiose nativi; i suoi Seminari e il numero dei loro alunni; le scuole e le opere di carità e di assistenza sostenute dalle Chiese; i laici cattolici impegnati nel servizio della Chiesa e della società civile: tutto parla della vitalità del cattolicesimo rwandese e apre il cuore a speranze ancora migliori.

I rapporti di stima, di rispetto, di amicizia che intercorrono fra lo Stato e la Chiesa assumono carattere in certo senso esemplare, così come la venerazione affettuosa che circonda la Persona e la missione del Papa e che si manifesta anche nel posto di privilegio riconosciuto al suo Rappresentante segno della considerazione data al primato dei valori spirituali, tradizionalmente impersonati nel Papato, nella Comunità internazionale.

Tutto questo, non ostanti le difficoltà e i problemi che in nessuna parte fanno difetto, è di buon auspicio per la serenità e i fecondi risultati della Sua Missione nel Rwanda.

Ella, Monsignore, vi porterà la ricchezza delle doti che il Signore Le ha concesse e dell'esperienza dei servizi sinora prestati nelle Rappresentanze Pontificie e, ultimamente, nel Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa; ma soprattutto La sosterranno la solida formazione sacerdotale ricevuta in questa Sua diocesi e lo zelo che La farà tutto a tutti, "propter Evangelium" (1 Cor 9,20-23).

Ancor più La sosterrà la forza dello Spirito del Signore che, per il nostro umile ministero, sta per scendere sopra di Lei che abbiamo solennemente per Lei invocato con l'antica preghiera: Veni, Creator Spiritus…!.

La nostra preghiera, quella di tutti coloro che La stimano e La apprezzano, quella degli amici qui raccolti attorno a Lei, in quest'ora per Lei densa di significato e di emozioni, quella dei Suoi condiocesani, continuerà ad accompagnarLa nel corso del Suo ministero episcopale, che Le auguriamo lungo nel tempo e coronato di consolazioni e di frutti spirituali.

Rafforzi i nostri voti l'intercessione della Vergine, Regina degli Apostoli e Madre della Chiesa, mentre, nel giorno a Lei dedicato dalla pietà dei fedeli, procediamo al sacro rito che La unirà alla schiera dei successori degli Apostoli, al servizio della Chiesa Santa di Dio!


*Archivio dell’Associazione – Centro Studi Card. A. Casaroli, Bedonia.

 

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