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ORDINAZIONE EPISCOPALE DI MONS. LUIGI BRESSAN

OMELIA DEL CARDINALE AGOSTINO CASAROLI*

  Trento - Domenica, 18 giugno 1989


 


Eccellentissimo Pastore di questa antichissima diocesi Tridentina, venerato Mons. Gottardi che questa diocesi ha retto per tanti anni con fedeltà e amore, cari confratelli nell'ordine episcopale e sacerdotale, autorità politiche civili e militari, sorelle e fratelli nella vita religiosa, sorelle e fratelli tutti nel Signore.

Sacro è il momento e sacro è il luogo dove ci troviamo; carico di secoli di storia, storia di vita religiosa, storia d'arte, storia anche di vita della comunità civile tridentina; sacro soprattutto per il ricordo del grande avvenimento che qui si è svolto vari secoli or sono, e che rende il nome di Trento e della sua Cattedrale elemento immancabile nella storia della vita della Chiesa. Il Concilio di Trento che qui si è svolto quasi interamente dal 1545 al 1563, un avvenimento che diede allora origine a contrasti così forti e che ancora oggi è esposto a giudizi differenti, ma che rimarrà negli annali ecclesiastici fino a che la Chiesa duri nel mondo, come qualche cosa che ne costituisce, o ne costituisce almeno per una parte essenziale, l'ossatura di dottrina e anche di vita. Cambiati i tempi, modificati i rapporti con altre comunità religiose che si richiamano al nome di Cristo, si cerca oggi di arrivare a più profonde, più fraterne intese, ma l'insegnamento del Concilio di Trento rimane ancora basilare nella vita e nella dottrina della Chiesa.

Nella 23ma sessione, il Concilio di Trento aveva affrontato un argomento di particolare importanza di fronte a movimenti che cercavano di modificare profondamente, diciamo pure di stravolgere, quella che era dottrina tradizionale, dai tempi apostolici attraverso tutti i secoli della vita della Chiesa fino ad allora, e che volevano vedere nei sacerdozio poco più di un nome; non il sacerdozio ministeriale, ma un incarico dato dalla comunità, sia pure in nome di Cristo, a qualche membro della comunità stessa per predicare la parola di Dio e forse per amministrare alcuni sacramenti. Non doveva essere un sacramento essa stessa, ordinazione dei sacerdoti, ma un ordinamento al servizio della comunità religiosa. In particolare, non ci sarebbe stata una speciale effusione dello Spirito; e anche l'invocazione rivolta allo Spirito di Dio sarebbe stata uguale, magari più intensa, a quella che viene rivolta per altre circostanze della vita della Chiesa e dei singoli suoi membri.

Il Concilio ha affermato vigorosamente che nella Chiesa esiste ed è essenziale un vero e proprio sacerdozio; che questo sacerdozio è un sacramento; che il rito dell'imposizione delle mani e gli altri che l'accompagnano tradizionalmente non sono un puro simbolo, ma sono veramente la invocazione e la effusione dello Spirito Santo secondo le parole dell'Apostolo che abbiamo sentito leggere poc'anzi, rivolte al discepolo e vescovo Timoteo, al quale san Paolo dice: Cerca di ravvivare in te il dono che ti è stato conferito mediante l'imposizione delle nostre mani; questo spirito che non è di timidezza ma di coraggio, di forza, di saggezza, di amore; questa effusione dello Spirito, riguardava in particolare coloro che come Successori degli Apostoli lo Spirito Santo avrebbe posto a reggere la Chiesa di Dio.

Questa dottrina, solennemente affermata dal Concilio di Trento, è stata poi sempre mantenuta; riaffermata nel Concilio Vaticano I; riaffermata, precisata, estesa nel Concilio Vaticano Il; e rimane uno dei cardini della dottrina della Chiesa.

Il Concilio Vaticano II ci ricorda come Gesù, tra i discepoli che lo seguivano, ne scelse dodici, dicendo loro «Come il Padre ha inviato me, io invio voi». Molti altri Cristo ha inviato – i settantadue discepoli e altri –. Ai dodici è riservato da lui il nome di Apostoli, cioè di «inviati»: discepoli che hanno vissuto tutto il tempo con lui nella più grande intimità, che ne hanno conosciuto i segreti, la dottrina, la vita: «A voi è dato di conoscere il mistero del Regno di Dio; agli altri non ancora. E a loro affida il mistero del Sacrificio del suo Corpo e del suo Sangue nell'Ultima Cena; a loro confida la missione di andare in tutto il mondo a predicare il suo Vangelo, e dice: «Non abbiate timore, perché io sarò con voi sino alla fine dei secoli», «Chi ascolta voi, ascolta me; chi non vi ascolta non ascolta me».

Parole misteriose! Come potevano dodici uomini, a parte la loro impreparazione culturale, la loro timidità, pensare a conquistare tutto il mondo, fino ai confini della terra, già allora così vasti e che poi la scoperta di nuove terre, di nuovi continenti avrebbe reso più vasti ancora come poteva pensare Gesù che questi dodici uomini avrebbero potuto predicare il suo Vangelo, portare la sua Buona Novella a tutti i popoli, e continuare a farlo, perché lui avrebbe continuato a restare con loro sino alla fine dei secoli?

Gli Apostoli hanno bene inteso il significato di queste parole di Cristo; e hanno compreso che non solo loro personalmente, ma quelli che essi avrebbero chiamato a essere loro collaboratori nel ministero apostolico, e coloro che avrebbero lasciati come eredi di questo stesso ministero, avrebbero continuato a godere non soltanto della loro missione e delle loro facoltà, ma della assistenza dello Spirito: «Riceverete il dono dello Spirito, e sarete miei testimoni sino ai confini della terra».

I Vescovi! Ancor oggi l'ordinazione di un Vescovo, l'imposizione delle mani a nome della Chiesa e di Cristo, perpetua il miracolo di questa missione e di questa effusione dello Spirito Santo che dà forza, luce, oltre che autorità.

Ogni consacrazione di Vescovi rinnova per essi il mandato di Cristo di essere suoi testimoni per tutti i tempi e sino ai confini della terra; rinnova la promessa: «Ecco, io sarò con voi sino alla fine dei secoli, vi darò in dono del mio Spirito, e voi sarete miei testimoni sino ai confini della terra».

Oggi, nella consacrazione del nostro fratello e amico Mons. Luigi Bressan noi rinnoviamo questo mistero; noi ricordiamo e celebriamo l’apostolicità della Chiesa, fondata sul fondamento appunto degli Apostoli e dei Profeti, oltreché, naturalmente, sulla pietra angolare delta Chiesa che è il Cristo; oggi noi celebriamo questa verità: la successione apostolica non è soltanto un fatto giuridico di legittimità nel governo della Chiesa, ma è un fatto mistico, il fatto di un dono dello Spirito che dà, oltre all'autorità, il potere; e dà la promessa di una assistenza particolare, per cui anche ai Vescovi oggi è detto Chi ascolta voi ascolta me.

Apostolicità della Chiesa, che non è un fenomeno di dominio nella Chiesa, ma di servizio.

Abbiamo ascoltato la lettura dalla lettera di san Paolo a Timoteo, dove si dice che l'apostolo deve essere banditore del Vangelo di Cristo; e abbiamo sentito dal Vangelo che coloro che vengono posti a capo della Chiesa per svolgere questo apostolato non lo devono svolgere come dominatori ma come servi, a imitazione di Cristo che non è venuto per essere servito ma per servire. I Vescovi, Successori degli Apostoli, come gli Apostoli e come Cristo, sono i ministri del Vangelo, sono i servitori della Chiesa. E il Papa, il Vescovo di Roma, il capo del Collegio Apostolico si vanta, – è il suo titolo più solenne e più alto «Servo dei servi di Dio». Questo titolo vale per il Vescovo nella sua Chiesa particolare; e il Papa è servo dei suoi fratelli in tutta la Chiesa Universale:

Festa dell’Apostolicità della Chiesa. Noi sentiamo che attraverso il perpetuarsi del ministero episcopale si perpetua il potere, il mandato degli Apostoli.

Ma è anche festa, oggi, della Unità della Chiesa. Perché Cristo non ha fondato la sua chiesa come un coacervo di Chiese particolari, di gruppi separati, di individui che si richiamano al suo nome, ma come una unità. Egli ha parlato della mia Chiesa, non di tante chiese; la sua unica Chiesa, Chiesa che ha come sua nota caratteristica, insieme una apostolicità, quella della unità. L'unità viene data certamente dalla fede in Cristo: un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Viene data dallo Spirito che permea tutto il corpo della Chiesa come l'anima fa con il corpo, per cui l'Apostolo raccomandava ai fedeli di conservare l'unità dello Spirito nel vincolo della pace. E questo devono fare i Vescovi tra di loro, cercando di mantenere l'unità dello Spirito; e lo fanno in tanti modi attraverso l'esercizio della collegialità, che va dalle forme più usuali alla forma solenne dei Concili.

Ma Cristo ha pensato che ciò non era sufficiente; voleva che oltre a Lui, capo invisibile, fondamento invisibile di questa unità di fede e di comunione di spiriti, vi fosse qualcuno che lo rappresentasse, con l'autorità data da lui, e fosse così il fondamento visibile dell'unità della sua Chiesa.

A Pietro, non forse il migliore, il più intelligente, il più colto degli Apostoli, Cristo, in un momento che noi ricordiamo con tanta emozione, dopo la confessione della sua divinità, fatta a nome del Collegio degli Apostoli e dei discepoli di Cristo, ha detto quella misteriosa parola: Beato te Simone, figlio di Giovanni, perché non sei stato tu da solo a capire queste cose, ma lo Spirito del Padre mio te lo ha rivelato. E io ti dico, tu sei Pietro, ed è su questa pietra che io edificherò la mia Chiesa. Una Chiesa, una pietra: base e fondamento della Chiesa di Cristo. Fondamento di verità. Nel momento in cui gli Apostoli stanno per disperdersi, spauriti, non sapendo più che cosa pensare, Gesù dice a Pietro: Simone il diavolo vi sta cercando, per fare di voi quello che l'uomo fa con il grano quando lo passa al vaglio, ma io ho pregato per te, e tu, una volta che sarai tornato indietro dalla tua fuga, tu confermai tuoi fratelli.

Ancora oggi Cristo prega per Pietro. Oggi Pietro si chiama Giovanni Paolo; ieri si chiamava con altri nomi; domani potrà avere altri nomi ancora: ma è sempre Pietro, per il quale Cristo continua a pregare perché la sua fede non venga meno, e perché egli possa confermare nell'unità di questa fede i suoi fratelli: a cominciare dai Vescovi, e poi tutti i fedeli della sua Chiesa.

Dopo la sua risurrezione, Gesù, in un'altra pagina che noi conosciamo bene, chiede a Pietro una specie di riparazione per la sua triplice negazione nella notte delta passione del Signore; Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu?; anzi, mettendolo ancora più in imbarazzo, «mi ami tu più di costoro?» E Pietro risponde sincero, ma naturalmente un poco vergognoso e angosciato: Signore, tu Io sai che io ti amo! Perché me lo chiedi? Perché me lo chiedi una volta, due volte, tre volte, come se ne dubitassi?: dopo aver chiesto a Pietro questa triplice riparazione del suo rinnegamento. Gesù gli dice ogni volta: «Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Tu sarai il pastore del mio gregge, di tutto il mio gregge. Così ha interpretato e interpreta la Chiesa queste parole, questo mandato affidato a Pietro e ai suoi successori, i Vescovi di Roma. Sono loro che devono visibilmente servire al mantenimento dell'unità dello spirito nella Chiesa, secondo la volontà del Fondamento invisibile e perpetuo di questa unità; sono loro che devono assicurare l'unità della Chiesa.

E questo ci porta a pensare al significato dell'ordinazione di un vescovo destinato a rappresentare il Sommo Pontefice. Lei, Mons. Bressan, non avrà la cura pastorale e la responsabilità di una diocesi; grande responsabilità, dolce responsabilità! Il Pastore che vive con i suoi sacerdoti, che vive con i suoi fedeli, con l'aiuto delle anime consacrate a Dio, i religiosi e le religiose! Il Vescovo ha í suoi problemi, ha le sue difficoltà, ma ha anche la dolcezza di vivere con questa grande famiglia. Lei dovrà vivere in mezzo ai Pastori della Chiesa, in stretta unione con loro, in fraterna unione con loro; non avrà il conforto di avere un proprio gregge, un proprio presbiterio, la propria Chiesa, ma sarà a servizio di un gruppo di Chiese per rappresentare il Papa; per rappresentare la sua autorità, certo, perché è in nome suo che è mandato per rappresentare la sua autorità, perché lei deve essere il tramite dei suoi desideri, dei suoi comandi quando sia il caso; lei dovrà essere come l'occhio del Papa: non un occhio che scruta, quasi nemico, la vita di una porzione della Chiesa, ma l'occhio amico che cerca di conoscere le gioie, i problemi, le difficoltà, le delusioni, le ansie e i dolori delle Chiese particolari presso le quali è inviato, per poter renderne partecipe il Papa, presente sempre con lo spirito in ogni parte della Chiesa cattolica, ma che non può seguire giorno per giorno l'andamento di ciascuna Chiesa.

Certo, i Vescovi hanno tante occasioni di recarsi da lui e di metterlo a parte delle proprie gioie e dei propri dolori, delle proprie preoccupazioni. Certo, il Papa, con la facilità che oggi offrono i mezzi moderni di comunicazione, si reca di tanto in tanto presso le Chiese particolari che vivono sparse nel mondo, in Africa, in America, in Asia, nelle sterminate pianure della Australia, nelle sperdute isole dell'Oceania; ma sono passaggi, e passano presto. Egli ha bisogno di conoscere la vita della propria famiglia, di questa enorme, immensa famiglia che è la chiesa Cattolica. I suoi rappresentanti hanno questa responsabilità: di essere fedeli interpreti della vita della Chiesa, non lasciandosi guidare da propri sentimenti, dalle proprie opinioni, ma dall'amore a quelle Chiese presso le quali è inviato, per conoscere il battito della loro vita, e parteciparlo al Papa. Essi devono essere interpreti e rappresentanti non tanto del potere, ma dell'amore del Papa. I Vescovi e i fedeli della Regione in cui lei è mandata devono sentire attraverso la sua persona, attraverso la sua parola, attraverso la sua condotta, che il Papa veramente li ama di cuore, pensa a loro, e vuole loro bene, rimane a loro servizio, lui il Servo dei servi di Dio.

Naturalmente il Papa non è soltanto a servizio della vita della Chiesa; Egli è anche una grande autorità morale – forse la più alta che ci sia stata mai, vi sia oggi, e ci sarà in futuro – che si preoccupa del bene del mondo, la pace, lo sviluppo, la collaborazione a favore delle Nazioni, dei paesi che hanno più bisogno. E' il lato, potremmo dire (ma la parola non è esatta perché si tratta pur sempre di una funzione altamente e profondamente religiosa), è il lato per così dire politico della missione del Papa; e i Nunzi, suoi rappresentanti con carattere diplomatico, devono anche in questo servirlo, devono essere suoi tramiti, e non solo esecutori, di queste sue preoccupazioni per il bene della umanità.

Questa è la missione dei Nunzi; questa è la missione dei Rappresentanti del Santo Padre. E, vista così, diventa ben più alta, ben più nobile, e ben più amabile di quello che può apparire qualche volta, se viene vista solo come una missione diplomatica. E una missione profondamente religiosa; ed è per questo che i Rappresentanti del Papa è bene siano insigniti dal carattere episcopale: non solo, come dice la Bolla, secondo la formula tradizionale, per onorare quelli che vengono chiamati a esercitare certe alte funzioni, ma proprio perché il Nunzio, rappresentante del Papa, deve avere l'animus di un Vescovo: Vescovo con i suoi confratelli, là dove viene mandato; Vescovo insieme al Papa, per avere con lui gli stessi sentimenti, che sono i sentimenti degli Apostoli, i sentimenti di Cristo.

Lei andrà in un paese lontano dove la comunità cattolica è una intima minoranza, infima benché onorabile e onorata, che svolge un servizio superiore alle sue dimensioni numeriche. Quella Chiesa ha i suoi problemi, e lei dovrà cercare di essere al servizio della Chiesa nel Pakistan, per aiutarla nel suo cammino sotto la guida del caro e venerato Arcivescovo di Karachi, il Cardinale Cordeiro, il primo Vescovo nativo del Pakistan, da lungo arrivato alla dignità di collaboratore del Santo Padre nel Collegio Cardinalizio. Con lui e con gli altri Vescovi del Paese dovrà anche lei sentire e vedere i problemi di quella Chiesa, parteciparvi e, nella misura del possibile, aiutarla a risolverli.

Lei dovrà seguire le vicende anche della vita di una Nazione che ha conosciuto tante traversie, e che ancora ne conoscerà, perché questa è la vita di tutti i paesi, oggi, ma di alcuni in particolare; e anche qui il Rappresentante Pontificio deve sapere essere interprete della volontà dei Papa di essere servo e ministro di pace, di riconciliazione, di progresso, per la comunità civile che vive nel Paese.

Noi la accompagniamo con il nostro augurio, la accompagniamo con la nostra preghiera. E vegli sul suo ministero, oggi e domani, dovunque esso debba svolgersi, la dolce figura dei Crocifisso che rappresenta, un poco, quasi il ricordo più caro che rimane nella Cattedrale di Trento della grande vicenda del XIX Concilio ecumenico che qui si è svolto.

Quel Cristo che apre le sue braccia piene di amore e di tenerezza, non per accusare il mondo che lo ha condannato e crocifisso, ma per stringerlo al suo cuore.

L'accompagni la protezione di Cristo, la protezione della sua Vergine Madre, perché il suo ministero episcopale sia ricco di frutti e ricco anche di consolazioni per lei.


*Archivio dell’Associazione – Centro Studi Card. A. Casaroli, Bedonia.

 

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