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PRIMA COMMISSIONE DELL'ASSEMBLEA GENERALE
DELLE NAZIONI UNITE
SUL DISARMO E LA SICUREZZA INTERNAZIONALE

INTERVENTO DELLA Sig.ra MOLLY BOUCHER*

Mercoledì, 17 novembre 1976

 

 

In questa occasione, nella quale la Santa Sede si rivolge per la prima volta, in questo anno, alla prima Commissione, vorrei, a nome della mia Delegazione, aggiungere le nostre congratulazioni a quelle, già numerose, indirizzate ai Membri della Presidenza, in occasione della loro elezione all’unanimità, ed esprimere la nostra gratitudine per la competenza e l’impegno con cui guidate le riunioni della Commissione.

Pace. Non è forse il desiderio universale di tutta l’umanità, un ardente desiderio che trova espressione politica nella carta sulla quale vennero fondate le Nazioni Unite? Gli alti ideali che motivarono la creazione di questa Organizzazione puntavano alla concreta istituzionalizzazione del desiderio dell’umanità, non di una pace caratterizzata da una semplice assenza di guerra, non di una tregua armata, ma di una pace dinamica in cui fossero possibili lo sviluppo dei popoli e il raggiungimento della liberazione dalla fame, dall’ignoranza, dalle malattie e dall’oppressione.

Ma il disarmo è il presupposto indispensabile di una pace così genuina. E coloro che operano in questa Commissione, Signor Presidente, non hanno bisogno che si ricordi loro la tremenda responsabilità che pesa su di loro. Più di chiunque altro, forse proprio loro hanno coscienza che il destino finale del genere umano, e perciò l’effettiva difesa della nostra grande casa comune, può essere nelle loro mani. Se questa Istituzione non riuscisse a trovare eque e vitali soluzioni al complesso problema del disarmo, e se i Governi non riuscissero ad applicare concretamente tali soluzioni, sarebbe difficile trovare un esempio più calzante del testo biblico “i peccati del padre...”.

Negli ottusi, egoistici nazionalismi, o perfino negli ostacoli procedurali, proprio gli ideali che hanno dato vita alle Nazioni Unite tendono ad essere sovvertiti. Ma le politiche nazionalistiche devono essere sublimate in vista del bene comune, e la procedura deve essere uno strumento e non un ostacolo. L’obiettivo al quale gli Stati membri hanno aderito in virtù della loro partecipazione alle Nazioni Unite diventa sempre più urgente ogni giorno che passa, ed ogni opportunità deve essere colta per compiere almeno un piccolo passo del pellegrinaggio verso la pace.

E’ ben noto il punto di vista della Santa Sede sulla futilità, sul pericolo, sull’ingiustizia e sull’immoralità della corsa agli armamenti, questo punto di vista è stato sintetizzato in sei parole che costituiscono la dichiarazione iniziale di un testo presentato dalla Sante Sede in risposta a un invito contenuto nella Risoluzione 3484B/XXX dell’Assemblea Generale dell’ONU: “(La corsa agli armamenti) si deve condannare incondizionatamente”.

L’intero testo, pubblicato nel Documento A/AC/181, illustra in dettaglio il punto di vista della Santa Sede e non è mia intenzione ripeterlo adesso, ma semplicemente confrontare questi principi etici con i punti concreti su cui attualmente questa Commissione è chiamata a deliberare.

La proposta di tenere une speciale sessione dell’Assemblea Generale nel 1978, dedicata al disarmo, che è attualmente oggetto di uno schema di risoluzione, è un’iniziativa interessante, specialmente se la si considera come un mezzo per conseguire un sostanziale progresso nel disarmo, prima che la decade del disarmo si concluda. Potrebbe essere un passo significativo verso l’obiettivo, universalmente desiderato, di un generale e completo disarmo sotto un rigoroso ed efficace controllo internazionale.

Il ruolo delle Organizzazioni non governative nell’interpretare gli specifici aspetti tecnici del disarmo nei confronti della più vasta collettività, e nell’illuminare la pubblica opinione, non dovrebbe essere ignorato nella pianificazione di tutte le iniziative internazionali relative al disarmo, e dovrebbe essere incoraggiata una adeguata presentazione di tali Organizzazioni.

Una seria preparazione, e la predisposizione di un ordine del giorno sufficientemente flessibile, sono indispensabili per raggiungere risultati concreti.

Un compito importante e necessario è fissare il quadro reale della situazione mondiale ed elaborare una vasta politica di disarmo che rifletta questa realtà. Nel documento presentato al Segretario Generale, cui si è accennato più sopra, la Santa Sede ha dato un certo numero di suggerimenti a questo fine, inclusa la necessità di rafforzare il ruolo politico internazionale delle Nazioni Unite, e l’accesso dei Paesi in via di sviluppo ai negoziati sul disarmo in qualità di partners in qualche fase della “de-escalation”.

Alcuni sistemi di incentivo sono necessari per il completamento e il perfezionamento dei punti che appaiono, con scoraggiante insistenza, nell’ordine del giorno dell’Assemblea Generale e della prima Commissione. Essi comprendono problemi certamente prioritari, come la conclusione di un generale bando degli esperimenti nucleari e termo-nucleari, la non proliferazione delle armi nucleari e il divieto di armi incendiarie e di altre determinate armi convenzionali, per motivi umanitari.

Dal momento che già esistono sulla Terra abbastanza armi per distruggere venticinque volte l’intero genere umano, appare chiaro che continuare a produrne, a sperimentarne, a inventarne è la peggior forma di follia. La corsa agli armamenti uccide sia nel caso che le armi vengano realmente adoperate, sia nel caso che vengano semplicemente immagazzinate. Essa è un immorale abuso delle risorse economiche e intellettuali, che sono assolutamente indispensabili per la liberazione dei popoli del mondo dalla fame, dalle malattie, dall’ignoranza e dalla povertà.

La perfetta interdipendenza fra le spese per gli armamenti e la mancanza di risorse per sovvenire alle necessità di base dell’uomo è stata ormai riconosciuta dà molto tempo. A Bombay, nel 1964, Papa Paolo VI rivolse alle Nazioni un appello affinché ponessero fine alla corsa agli armamenti e dedicassero parte della spesa per le armi a un “grande fondo mondiale per la soluzione dei gravi problemi dell’alimentazione, del vestiario, dell’abitazione e della cura delle malattie che affliggono tante popolazioni”. Parlando alle Nazioni Unite il 4 ottobre 1965, il Papa ebbe a dire: « il disarmo è inseparabile dalle altre finalità di unità, di giustizia, di armonia e di sviluppo dell’intera "famiglia umana"”. Nella sua Enciclica Populorum Progressio, tre anni più tardi, chiamò lo sviluppo: “il nuovo nome della pace”.

Lo “scandalo intollerabile” della corsa agli armamenti è messo in risalto, dal profilarsi, come si desume dal rapporto del 1971 del Segretario Generale, delle conseguenze economiche e sociali della corsa stessa e delle spese militari; le spese militari sono pari a due volte e mezza le spese che tutti i Governi sostengono per la salute, e una volta e mezza le spese per l’educazione, e trenta volte il totale di tutti gli aiuti economici ufficiali allo sviluppo dei Paesi poveri.

Quanti, anche fra Paesi più ricchi e più industrializzati, possono affermare categoricamente che tutti i loro connazionali sono completamente affrancati dalla fame, dall’ignoranza e dalle malattie? Questo interrogativo assume il suo significato più tragico nei Paesi in via di sviluppo, le cui scarse risorse, a causa della reazione a catena della corsa agli armamenti, sono state usate sempre più per armi di guerra e non per strumenti di pace.

Nel giugno 1968, Papa Paolo VI salutò l’adozione da parte delle Nazioni Unite del Trattato di Ginevra di non proliferazione delle armi nucleari, come un «primo passo» in direzione di una “messa al bando totale delle armi nucleari e di un generale e completo disarmo”. La Santa Sede firmò il Trattato nel 1971.

Tuttavia, attualmente il Trattato ha deluso molto le aspettative. La conferenza tenuta al riguardo nel mese di maggio 1975 ha documentato che i primi due articoli del Trattato (nei quali è stabilito che i Paesi dotati di armamenti nucleari non li trasferiscano agli altri Paesi) sono stati osservati dai 96 Stati firmatari, ma resta la malinconica constatazione che il trattato, se non è sottoscritto proprio da tutti gli Stati, non può sperare di conseguire il suo scopo di non proliferazione a livello orizzontale. Inoltre l’articolo 6 richiede misure efficaci per la cessazione della corsa agli armamenti nucleari a breve termine e per il disarmo nucleare.

La Santa Sede è vivamente interessata al dialogo che si sta svolgendo in vista della conclusione del secondo Trattato per la limitazione delle armi strategiche, ed esprime la sua fervida speranza che un soddisfacente accordo riesca presto a dissipare la generale paura per la proliferazione verticale delle armi di morte.

In attesa di una felice conclusione di un Trattato complessivo per il bando degli esperimenti nucleari, e dai colloqui per la limitazione delle armi strategiche, la Santa Sede fa appello alle Potenze nucleari affinché dichiarino una moratoria in materia di ulteriori sviluppi e di produzione di armi nucleari. Questo pressante appello è lanciato nella ferma convinzione che una tale moratoria non influirebbe sulle legittime esigenze di difesa.

Signor Presidente, la Delegazione delle Santa Sede ha studiato il Documento A/31/146, Rapporto del Segretario Generale, relativo al punto 36 dell’ordine del giorno, “armi incendiarie e altre determinate armi convenzionali il cui impiego può essere oggetto di proibizione o di restrizione per motivi umanitari”.

Secondo il punto di vista della Delegazione della Santa Sede, i principi della legge internazionale relativa alle “armi dubbie”, che sono moralmente ripugnanti e contrarie ai principi tradizionali, incluse le norme umanitarie nonché le percezioni della coscienza dei popoli”, dovrebbero certamente considerarsi applicabili all’uso delle armi inumane e crudeli prese in considerazione in questo rapporto.

La necessità di studiare e di adottare metodi di immediato divieto, o almeno di severa limitazione delle armi che causano sproporzionate sofferenze sia ai combattenti che ai civili, o che non distinguono tra combattenti e civili, non può essere negata. Queste armi diaboliche, in ragione della loro natura indiscriminata e degli effetti perniciosi assomigliano per il loro potere distruttivo alla guerra nucleare. Ad esse si deve applicare la condanna del Concilio Vaticano: “Ogni atto di guerra finalizzato indiscriminatamente alla distruzione di intere città e dei loro abitanti è un crimine contro Dio e contro l'uomo stesso, che deve essere condannato fermamente e senza esitazione”.

Signor Presidente, nel concludere questi rilievi, la Delegazione della Santa Sede desidera assicurare questa illustre Assemblea che è ben consapevole della complessità tecnica dei problemi del disarmo tanto da rifiutare soluzioni semplicistiche. Cosi come lo è la conquista dello spazio da parte dell'uomo. Certamente il compito di rilevanza universale più urgente, che impegna le nostre risorse intellettuali ed economiche, è il conseguimento di una pace vera e duratura.


*L’Osservatore Romano, 26.11.1976 p.2.

 

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