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INTERVENTO DELLA SANTA SEDE ALLA CONFERENZA DEI MINISTRI RESPONSABILI DELLA RIABILITAZIONE DEI PORTATORI DI HANDICAPS

INTERVENTO DEL CARDINALE FIORENZO ANGELINI*

Parigi - Giovedì, 7 novembre 1991



Sono lieto di partecipare a questa Conferenza che riunisce, per un’analisi attenta e approfondita i massimi responsabili dell’azione politica a favore di una categoria che rappresenta, anche nel mondo di oggi, un fenomeno sociale di vastissime dimensioni.

I dati attinenti alle forme di invalidità permanente e temporanea disegnano un quadro che, pur differendo, da Paese a Paese, presenta percentuali rilevanti in ogni parte del mondo. Ai minorati fisici e psichici afflitti da tare e limitazioni di indole genetica si aggiunge il crescente numero di vittime delle guerre che insanguinano tante regioni della terra, dei traumi provocati da infortuni sul lavoro, dal traffico motorizzato, dalle malattie mentali. I portatori di handicaps sono un mondo nel mondo, dal momento che, in cifra globale, raggiungono il mezzo miliardo di individui.

Nello stesso tempo, tuttavia, strutture e strumenti, nonché personale specializzato al servizio della riabilitazione conoscono un continuo progresso. La società di oggi è in grado, e quindi in dovere, di affrontare in maniera nuova e sempre più adeguata sia il problema della riabilitazione sia quello della valorizzazione dei portatori di handicaps. La difesa e la promozione della vita trovano in questo campo uno spazio particolare, nel quale anche la Chiesa cattolica intende svolgere una sua azione. D’altra parte, nella sua bimillenaria attività assistenziale, la Chiesa ha sempre guardato ed operato con particolare sollecitudine verso quanti soffrono di forme di invalidità conseguenti la nascita o una sopravvenuta calamità, infermità o altra situazione.

Colgo anzi l’occasione dell’odierno incontro per annunciare che tema e problema degli handicappati nel mondo saranno l’argomento della Conferenza internazionale, che il Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, che ho l’onore di presiedere, terrà l’anno prossimo in Vaticano. Questa circostanza costituisce un particolare motivo di vivo interesse ai Vostri lavori.

Forse la storia, che è composta dalle tessere della cronaca, non dimenticherà un particolare significativo e suggestivo insieme. Il 1°maggio scorso, nell’Udienza generale del mercoledì, il Santo Padre Giovanni Paolo II presentava ai fedeli presenti la nuova enciclica Centesimus annus. In prima fila su carrozzelle, un folto numero di portatori di handicap. Certamente il Papa andava con il pensiero a questi nostri fratelli, quando affermava davanti a loro: «Esiste qualcosa che è dovuto all’uomo perché è uomo, a causa della sua dignità e somiglianza di Dio, indipendentemente dalla sua presenza o meno sul mercato, da ciò che possiede e, quindi, può vendere e dai mezzi di acquisto di cui dispone. Questo qualcosa non deve essere mai disatteso, ma esige piuttosto rispetto e solidarietà, espressione sociale dell’amore che è l’unico atteggiamento adeguato davanti alla persona» (L’Osservatore Romano, Supplemento, 10-11 maggio 1991, p. l).

Parole che fanno eco all’indirizzo rivolto, il 10 settembre 1984, da Giovanni Paolo II agli ospiti del Centro di riabilitazione «François Charon» di Québec, quando affermò che la qualità di una società e di una civilizzazione si misura dal rispetto che ha nei confronti dei suoi membri più deboli. «La persona handicappata – ribadiva il Santo Padre – è una di noi; partecipa della nostra stessa umanità. Riconoscere e promuovere la sua dignità e i suoi diritti significa riconoscere la nostra dignità e i nostri diritti» (L’Osservatore Romano, 12 settembre 1984).

I lavori della vostra Conferenza toccano i temi dell’approccio al mondo dei portatori di handicap, del sostegno da prestare loro, del coinvolgimento della società attraverso i mezzi di informazione di massa, dell’adozione di proposte che portino alla stesura ed all’approvazione di una carta sociale europea dei diritti dei portatori di handicap. Un programma molto vasto, ma che tocca l’intera problematica sollevata dalla presenza, nella società dei portatori di handicap.

Tuttavia, ogni politica sanitaria di ampio respiro a favore del sostegno della riabilitazione, della valorizzazione umana e sociale dei portatori di handicap presuppone l’accettazione ed il rispetto di alcuni principii irrinunciabili, che la Chiesa difende anche in nome della coscienza umana e della legge naturale.

Il primo principio fondamentale è quello del rifiuto di ogni discriminazione nei confronti della vita umana, dal suo concepimento fino al suo naturale tramonto. Ogni legittimazione e, cosa ancor più grave, ogni legalizzazione dell’aborto, dell’eutanasia e di una strumentale manipolazione genetica in nome di cosiddetti principii eugenici oltre che violare il divino comandamento di «Non uccidere» aprirebbe la strada ad una tragica e discriminante discrezionalità trasformando l’uomo, e particolarmente l’operatore sanitario, da servitore della vita a suo abusivo arbitro. Anche chi non accetta o prescinde dalla fede religiosa, deve riconoscere i gravissimi rischi di una qualsiasi forma di discriminazione sulla vita.

Il secondo principio è il seguente: ogni forma di sostegno, dalla riabilitazione all’inserimento sociale del portatore di handicaps, applicata all’uomo, anche se immediatamente destinata ad una particolare parte del suo organismo, chiama in causa tutto l’uomo. E questo, non soltanto per l’efficacia della cooperazione del soggetto in ogni forma di terapia e di assistenza, ma perché ogni intervento sul fisico dell’uomo coinvolge la sua psiche e tocca il suo spirito. Operando, quindi, sull’uomo bisognoso di uno specifico sostegno, noi incontriamo la persona umana nella sua complessità, nei suoi problemi e, soprattutto, nell’atteggiamento di base da lui assunto nei confronti della limitazione di cui soffre.

La scienza registra molteplici casi di soggetti portatori di handicap che sembrano compensare le rispettive carenze fisiche con una eccezionale ricchezza di qualità umane e spirituali, obbedendo in tal modo a quella misteriosa legge della natura che spinge a sanare le ferite, a ricuperare ogni forza concentrandola in senso sanante verso la parte debole o ferita dell’organismo.

Quanti sono impegnati nell’assistenza ai portatori di handicap devono prestare la massima attenzione a queste non sempre manifeste qualità, sia per aiutarle ad esprimersi, sia per favorirne l’apporto costruttivo.

In terzo luogo, l’elevata percentuale del numero dei portatori di handicaps e la loro potenziale crescita devono spingere i responsabili della politica sanitaria, dell’informazione, della organizzazione del lavoro, della strutturazione del territorio a considerare questo particolare settore non già come una piaga da isolare o semplicemente da curare, bensì come parte integrante della nostra società. Va cancellata quella mentalità in forza della quale si qualifica come conquista encomiabile quella che, spesso soltanto parzialmente, è doveroso e tardivo riconoscimento di diritti umani fondamentali comuni a tutti. La crescente interdipendenza tra i popoli, la ormai vertiginosa mobilità umana rischiano di creare vaste sacche di emarginati che, a motivo delle loro incolpevoli minorazioni, non possono godere degli eventuali vantaggi di un nuovo assetto mondiale della popolazione.

Infine, soprattutto per quanto attiene ai Paesi in via di sviluppo ed alle sacche di emarginazione presenti, in maniera sempre più massiccia, anche nei Paesi di elevato benessere, è urgente una politica di prevenzione e di educazione sanitaria che potranno limitare il diffondersi di minorazioni fisiche e psichiche dovute, spesso, a denutrizione, a mancanza di strutture igienico-sanitarie, a carente educazione sanitaria, a insufficiente o mancante assistenza alle famiglie. Una carta dei diritti dei portatori di handicap deve muovere proprio da queste premesse e, particolarmente, dall’assistenza alle famiglie dei portatori di handicap, poiché il loro dramma prende avvio, in grande parte dei casi, da situazioni iniziali discriminatorie.

Nella difesa e nella promozione di questi principi la Chiesa, con le sue innumerevoli istituzioni sanitarie, intende essere presente e sostenere ogni iniziativa a favore dei portatori di handicap. Certamente si tratta di un arduo, lento e paziente cammino di speranza, lungo il quale, tuttavia, si incontrano nobili forze generosamente impegnate, sia in campo scientifico sia in campo assistenziale per il raggiungimento di un traguardo che è anche verifica del cammino della nostra civiltà.



 

 

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