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CONSULTAZIONI PRELIMINARI DI HELSINKI

INTERVENTO DI MONS. ACHILLE SILVESTRINI*

Lunedì, 2 aprile 1973




Signor Presidente,

Abbiamo seguito e seguiamo con molto interesse lo svolgersi del dibattito su questo capitolo, che consideriamo uno dei più importanti dell’ordine del giorno della Conferenza.

L’importanza di questo capitolo è rappresentata, a nostro parere, dal fatto che qui la sicurezza e la cooperazione vengono in esame nella loro dimensione più profonda e più viva, quella che tocca direttamente i rapporti tra le persone, i gruppi associati, i popoli interi.

Gli Stati non sono soltanto strutture giuridiche e politiche, sono realtà vive di uomini e di donne, di ogni età e condizione, che vivono e lavorano, entrano in contatto e comunicano, si incontrano, cooperano e si scambiano pensieri, sentimenti, valori ideali. I loro rapporti, la loro vita associata, si svolgono, naturalmente ed anzitutto nell’ambito degli Stati, ma non si esauriscono in questo, e per molte dimensioni si protendono e si sviluppano al di là delle frontiere. C’è una rete vastissima di rapporti transnazionali, a livello sia di individui sia di gruppi, che abbraccia tutto il campo delle relazioni umane – familiari, professionali, religiose, culturali, artistiche, sportive – e che, col moltiplicarsi dei mezzi di comunicazione, diviene ogni giorno più intensa ed a raggio sempre più vasto.

Favorire questi contatti e questi rapporti – soprattutto quando nascono da esigenze essenziali della vita (come il miglioramento delle condizioni per contrarre matrimonio, l'incontro e la riunificazione fra membri delle stesse famiglie, l'opportunità di disporre facilmente delle capacità e delle esperienze professionali massimamente nel campo medico ed assistenziale, il conseguimento comune di fini religiosi e culturali, ecc.) – equivale a promuovere nuove condizioni che alimentano la fiducia tra i popoli dei diversi Paesi.

Sulla fiducia abbiamo udito dichiarazioni interessanti, che condividiamo: la fiducia è «l’infrastruttura della sicurezza», «l’essenza della sicurezza», abbiamo sentito con piacere dall’illustre Ambasciatore della Svizzera, venerdì scorso, che la Conferenza dovrebbe avere il coraggio di «mostrare agli Europei che si cercano nuove vie perché possano scambiarsi nuovi e più ricchi valori». E' dunque una concezione positiva, costruttiva, dinamica, che a nostro avviso dovrebbe ispirare la trattazione di questo capitolo. Una concezione fiduciosa, che parta dalla fiducia per accrescere la fiducia; parta dalla fiducia che il miglioramento dei rapporti tra le persone, specialmente quando mira a soddisfare bisogni essenziali, produce più benefici e vantaggi che non turbamenti e inconvenienti (e, in ogni caso, gli inconvenienti sono sempre minori dei vantaggi) e faccia assegnamento sulla fiducia che questi vantaggi provocheranno nei rapporti tra gli Stati interessati.

Una parte importante del capitolo è dedicata alla cooperazione culturale e agli scambi di informazione.

Abbiamo sentito anche qui dichiarazioni interessanti, che consideriamo degne di attenta riflessione, e che riguardano la cultura. Vorrei citarne particolarmente una, che mi ha colpito: «l’uomo è principio, fine, ed autore dello sviluppo culturale».

È un principio di estrema importanza, perché pone la persona umana al centro di ogni cooperazione culturale.

È noto, a questo proposito, il pensiero della Chiesa Cattolica, enunciato in documenti dei Sommi Pontefici, e del recente Concilio Vaticano II (specialmente nella Costituzione sui rapporti tra la Chiesa e il mondo contemporaneo, e nella Dichiarazione sull'educazione cristiana).

Da questi documenti ci sembra che, per quanto riguarda il nostro argomento della cooperazione culturale, si possano utilmente trarre tre criteri generali (i quali, con formulazione e sostanza analoghe, sono rintracciabili anche in vari documenti con valore internazionale relativi alla cooperazione culturale). Essi sono:

1) Il fine dell’educazione: obiettivo dell’educazione è di promuovere il bene dell’uomo, che consiste nello sviluppo della persona umana nella sua integrità, cioè in tutte le sue esigenze spirituali e morali, intellettuali e fisiche, e nelle su dimensioni, sia individuale, sia comunitaria.
2) La responsabilità dei poteri pubblici, che non è di determinare le forme di cultura, ma di assicurare le condizioni e gli aiuti idonei a promuovere la vita culturale di tutti senza distinzioni;
3’) L’importanza della cooperazione tra gli Stati affinché gli uomini dei vari Paesi siano messi nell'opportunità di arricchirsi reciprocamente, con scambi di informazioni e di valori culturali, e stabiliscano più fraterne relazioni tra loro.

Viene spontaneo citare qui l’art.26, paragrafo 2, della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite: «L’educazione deve mirare alla piena espansione della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Essa deve favorire la comprensione, la tolleranza e l’amicizia tra tutte le nazioni e tutti i gruppi razziali o religiosi, nonché lo sviluppo delle attività delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace».

Alla luce di questi criteri, la nostra Rappresentanza intende studiare tutte le proposte che da varie parti sono state finora, o saranno in seguito, presentate, e lo farà con atteggiamento aperto e costruttivo. Tra queste proposte ci sembra che il documento della Danimarca presenti una struttura ampia ed articolata, largamente comprensiva di varie esigenze, e quindi meritevole di particolare considerazione.

Da parte sua, questa Delegazione vorrebbe richiamare l’attenzione delle altre Rappresentanze sulla proposta che la Santa Sede ha presentato, nella plenaria del 6 marzo, col documento HC/36, relativa allo sviluppo degli scambi di informazioni religiose e delle possibilità di contatti e di incontri tra le persone e le organizzazioni religiose per motivi religiosi.

Questa proposta vuol dare rilievo ad un aspetto della vita religiosa che tocca i rapporti tra le persone e i gruppi religiosi tra Paese e Paese, e quindi riguarda la cooperazione tra gli Stati.

Essa risponde ad un’esigenza profondamente sentita da chiunque ha una convinzione religiosa. Chi è credente in una determinata fede religiosa si pone in rapporto di appartenenza con il gruppo, la confessione o la chiesa di cui condivide le convinzioni. Per loro natura le confessioni religiose non si restringono ai confini nazionali, ma hanno aderenti ed organizzazioni che si estendono, o possono estendersi, ad ogni Paese. Esse hanno quindi esigenza di contatti e di scambi tra i loro membri, anche al di là delle frontiere politiche, per il conseguimento dei fini religiosi che sono loro comuni.

Questi contatti e scambi sono molteplici; ne enumero qui alcuni a titolo di esempio: le comunicazioni tra le autorità religiose e i propri gruppi confessionali; le relazioni religiose tra comunità ed istituzioni confessionali di diversi Paesi; la partecipazione a celebrazioni di culto ed i pellegrinaggi a luoghi sacri, la partecipazione a riunioni religiose a livello internazionale o plurinazionale (Concili, Conferenze episcopali, Sinodi interregionali, ecc.); lo scambio di informazioni, notizie stampa religiosa (libri liturgici di culto, di formazione teologica e religiosa, ecc.)

E’ quindi un settore ampio ed importante di rapporti che riguardano la vita religiosa, nel quale la cooperazione tra gli Stati può avere molta efficacia per soddisfare le esigenze delle persone e dei gruppi, e nello stesso tempo può costituire un fattore importante per accrescere la fiducia e l’amicizia nelle relazioni tra gli Stati stessi.

Confidiamo che questa proposta – la quale, come già dichiarato, riguarda non solo i cattolici, ma anche i cristiani di altre confessioni e in genere tutti i gruppi religiosi – sarà attentamente considerata e favorevolmente accolta dalle altre distinte Delegazioni.
Grazie, signor Presidente.

 

 

 

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