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PRIMA SESSIONE DELLA SECONDA FASE DELLA CSCE
(SOTTO-COMMISSIONE A - LIBERTÀ RELIGIOSA)

INTERVENTO DI MONS. ACHILLE SILVESTRINI*

Ginevra - Martedì, 4 dicembre 1973





Qualche giorno fa, un membro della nostra Delegazione, il distinto professore René Dupuy, ha messo in evidenza la dimensione inter-relazionale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e l’importanza del loro rispetto come fattore che influisce sulla sicurezza e la cooperazione, e perciò sulla pace, nei rapporti tra i popoli.

Egli si è soffermato su quel fenomeno di solidarietà collettiva che si propaga, per motivi ideali e per circostanze di fatto, tra uomini di ogni Paese tutte le volte che è in giuoco il rispetto e l’applicazione dei diritti di altri uomini, anche lontani e sconosciuti, anche al di là delle proprie frontiere.

Questa solidarietà è tanto più pronta e più forte, a nostro avviso, a proposito di quei diritti fondamentali, come la libertà di pensiero, di coscienza, di religione o di convinzione che toccano l’uomo profondamente nell’intimo del proprio essere e della propria ragione di vita. Sotto questo aspetto vorrei esporre alcune considerazioni, anche in riferimento al documento (CSCE/II/A/l0 del 9 ottobre 1973) presentato dalla nostra Delegazione e al dibattito molto costruttivo che qui si svolge. A questo proposito, anzi, vorrei esprimere il nostro vivo apprezzamento per l’interesse che molte delegazioni hanno dimostrato al problema che forma oggetto dello stesso documento, e soprattutto per il rilievo positivo dato alla sostanza della nostra proposta.

La solidarietà collettiva è connaturale al problema della libertà religiosa a motivo di due fattori: uno è il sentimento della dignità della persona; l’altro è l’essenza stessa della fede religiosa.

Una fede o una convinzione religiosa coinvolge l’uomo nella parte più profonda e più gelosa di se stesso, cioè la coscienza, intesa come capacità umana di giudizio e di libera scelta. La fede religiosa implica un’interpretazione, un significato trascendente dell’esistenza e delle cose che ci circondano, e impegna le persone che vi aderiscono in alcune opzioni di fondo, ispirando loro determinati comportamenti morali ed orientando le loro attività e i loro rapporti con gli altri.

È naturale, quindi, che chiunque stima la propria fede come un valore senza prezzo, non solo rivendichi per sé il diritto di professarla liberamente e pienamente, ma si senta colpito nella sua dignità di uomo libero quando tale diritto non sia riconosciuto ad altri, anche se costoro professano fedi o convinzioni diverse dalla sua.

C’è, inoltre, un’altro aspetto di questa solidarietà, che è connessa con la natura stessa della fede. La fede religiosa, in quanto richiede un’adesione libera, è certamente un valore personale ma ciò non significa che sia un fatto meramente privato e individuale. C’è un’esigenza insopprimibile di atti e di manifestazioni, da soli e in comune, che fa sì che l’esercizio della libertà religiosa abbia un’estrinsecazione non solo individuale e privata, ma anche eminentemente pubblica e sociale.

I credenti sono naturalmente uniti tra loro da un rapporto fraterno, per pregare Dio e testimoniare insieme la loro fede, per scambiare riflessioni ed insegnamenti, per informare il loro agire ai principii in cui credono, per cooperare in attività religiose collettive.

Sarà un rapporto, un legame più o meno stretto, secondo che la comunità o il gruppo confessionale sia diversamente strutturato, in conformità con la natura di una determinata fede o convinzione; con organizzazioni, statuti propri, autorità interne, istituzioni peculiari più o meno articolate o sviluppate; e tale rapporto potrà estendersi a livello locale, regionale, nazionale, nonché, per le confessioni a carattere universale, anche a livello internazionale.

Ma, per varia e differenziata che sia tale realtà istituzionale, che raggruppa i credenti in comunità confessionali, essa è presente ovunque come espressione del carattere associativo del fatto religioso, ed è parte integrante del godimento del diritto alla libertà religiosa.

Queste considerazioni possono essere utili, a nostro avviso, per spiegare meglio il senso del documento presentato dalla nostra Delegazione e per mettere in luce le idee che vi sono contenute.

Esse sono le seguenti:

1) La libertà di pensiero, di coscienza, di religione o di convinzione, esercitata individualmente o in comune, tocca intimamente la vita spirituale di ogni uomo ed è legata strettamente alla dignità della sua persona.

2) Come tale, essa è un valore, una prerogativa alla quale non solo non possono rinunziare le persone e le comunità direttamente interessate in ogni luogo, tempo e circostanza, ma hanno un profondo interesse anche coloro che, in altri paesi, condividono le medesime credenze o convinzioni, e coloro che, sebbene abbiano altre fedi o convinzioni, considerano tale libertà come un elemento essenziale dei diritti fondamentali della persona umana.

E’ la solidarietà collettiva, naturale e spontanea, che investe uomini di ogni Paese a tutela di una libertà che tocca la dignità della coscienza; e la Santa Sede può attestare, per esperienza diretta e per echi che le giungano anche da molte voci, non solo cattoliche, non solo cristiane, non solo di persone religiose, che è una solidarietà molto viva e diffusa.

3) Un godimento effettivo e pieno di questa libertà, a livello di ogni Paese, ed a livello di relazioni e di scambi internazionali può rappresentare un fattore rilevante per rafforzare la sicurezza, la stabilità e la pace e per promuovere la comprensione, la buona intesa, l’amicizia e la cooperazione tra i popoli.

Ci si potrebbe chiedere se questi concetti non possano riferirsi anche ad altri diritti dell’uomo; è un’osservazione che, se non andiamo errati, è presente in dichiarazioni fatte da alcune Delegazioni.

A questo proposito, la nostra risposta è affermativa e vorremmo richiamare l’attenzione su quanto è scritto nel medesimo documento da noi presentato, e cioè: «La delegazione della Santa Sede riafferma il suo interesse più vivo a che il principio del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali trovi la consacrazione più piena, più netta e più chiara per ciò che riguarda sia la sua formulazione sia le misure che gli Stati partecipanti s’impegnino a mettere in atto per assicurarne l’efficacia».

Ciò significa che la Santa Sede appoggia una formulazione dei diritti dell’uomo in generale che sia la più completa e la più concreta possibile, soprattutto per quanto riguarda gli impegni per il loro esercizio. L’intervento, ampio e motivato, del prof. Dupuy può bastare del resto, per l’approccio globale con cui ha affrontato il problema, e per le ricche argomentazioni con cui lo ha approfondito, ad attestare l’interesse che la Santa Sede porta all’enunciazione soddisfacente di questo principio.

Ci sono progetti, a questo riguardo, che sono stati presentati e che noi apprezziamo in modo particolare; vorrei ricordare le proposte delle delegazioni della Iugoslavia, del Regno Unito e della Francia.

La proposta che noi abbiamo avanzato col nostro documento non ha l’intento di porsi in concorrenza con tale auspicata formulazione, ma anzi di divenire – come è detto nel documento medesimo - «parte integrante dell’enunciato dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».

Noi ci auguriamo – e siamo pronti a prendere contatti con le delegazioni più interessate – che si arrivi ad una formulazione bene equilibrata ed articolata nella quale si dia sviluppo «con quei chiarimenti e quelle integrazioni che possano ritenersi desiderabili» (com’è detto nel par. 19 delle Raccomandazioni finali) a ciascuno dei termini inclusi nell’enunciato di Helsinki, e cioè: «rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, di coscienza, di religione o di convinzione».

Questo riferimento specifico alla libertà religiosa – espresso con una formula che è presa dai documenti dell’ONU in aderenza al criterio, che è riportato nel par. 19 delle Raccomandazioni finali, e cioè che l’enunciazione dei principi che reggono le reciproche relazioni tra gli Stati partecipanti sia conforme «con la finalità e i principi delle Nazioni Unite» – continua ad avere per noi il preciso significato che fu spiegato dal Rappresentante del la Santa Sede, Mons. Zabkar, nel discorso di presentazione della proposta, il 6 marzo 1973:

«La Santa Sede vuole proporre alla riflessione attenta di coloro che hanno a cuore la pace e la cooperazione in Europa un aspetto particolare che riguarda le relazioni tra i popoli, e cioè i vantaggi e i benefici che una considerazione positiva del fattore religioso può fare scaturire a profitto della comprensione e dell' amicizia tra gli Stati».

Questa considerazione positiva del fattore religioso come di un elemento di speciale valore per la vita serena dei popoli non era richiesta in nome di un interesse particolare di una determinata confessione, ma di considerazioni più generali, tra le quali emergono le seguenti:

a) l’importanza che ha nella vita delle persone di ogni Paese il rispetto della libertà delle coscienze in ciò che l’uomo considera come più geloso e più sacro, e cioè le scelte fondamentali della propria vita: in questo senso è stato detto, e noi lo condividiamo, che questa libertà non è solo la prima delle libertà in ordine storico, ma è la radice, il fondamento ideale di tutte le libertà;

b) il contesto dei popoli d’Europa, i quali, dopo aver sperimentato nella loro storia lotte e divisioni anche per motivi di fede o di convinzioni religiose diverse, oggi si ritrovano concordi nel considerare come un valore comune, come un patrimonio ideale di tutti, da tutelare ed affermare, per un interesse che tutti sentono come proprio, il rispetto di questa fondamentale libertà.

E come ancora dichiarava Mons. Zakbar nel medesimo discorso, la Santa Sede fa la richiesta «per un interesse morale, e tuttavia concreto, delle persone e dei gruppi, dei popoli e degli Stati, con la convinzione di dare un contributo che essa (la Santa Sede) considera come particolarmente proprio alla sua natura e che forse si attende in modo speciale da Essa in questo incontro dei popoli di Europa».

E che la Santa Sede intenda questa affermazione anche come un possente fattore di riavvicinamento e di mutua amicizia tra i popoli è confermato dalle altre proposte che la nostra delegazione ha fatto:

- alla Sottocommissione 10 in favore dei contatti e degli incontri, anche fra Paesi distanti, per motivi religiosi;

- alla Sottocommissione 11 per una diffusione più libera e più ampia delle informazioni di carattere religioso.

Queste proposte, come risulta dai documenti presentati, non riguardano solo la vita e le attività di ogni singolo gruppo e confessione religiosa, ma anche gli incontri e gli scambi tra confessioni di diversa fede e convinzione «allo scopo di instaurare una migliore comprensione reciproca ed una cooperazione fraterna che si ispiri a valori religiosi e morali comuni».

In tale prospettiva di libertà per tutti e di favorevole occasione per un dialogo ecumenico noi crediamo che sia insito un fatto re particolarmente vigoroso della comprensione e della pace, che gli Stati hanno interesse a promuovere a vantaggio dei loro popoli e delle loro reciproche relazioni.

 

 

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