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RIUNIONE SUI SEGUITI PER LA VERIFICA
DELL'OSSERVANZA DEGLI IMPEGNI (BELGRADO 1977)

INTERVENTO DI MONS. ACHILLE SILVESTRINI*

Venerdì, 7 ottobre 1977  
 
 

Signor Presidente,

Nel prendere la parola, desidero anzitutto associarmi ai sentimenti di congratulazione e di gratitudine già manifestati da altri Delegati al Governo jugoslavo per la cordiale ospitalità e inviare un saluto deferente ed augurale ai popoli di Jugoslavia, le cui aspirazioni di pace sono state così nobilmente espresse dal loro Presidente nel messaggio che ci ha indirizzato.

Fin dal principio la Santa Sede ha visto sempre la CSCE come un nuovo, originale strumento di pace, atto a rafforzare la fiducia tra gli Stati e a dare una risposta via via sempre più adeguata ad alcune crescenti speranze dei popoli. La CSCE, alla sua nascita, sembrò infatti come una scommessa contro la sfiducia, perché senza un minimo di fiducia reciproca era impossibile che i Rappresentanti di tanti e così diversi Paesi si riunissero allo stesso tavolo, alla pari, per importanti deliberazioni comuni che toccano la loro sicurezza e la cooperazione tra loro. Le speranze sono andate crescendo nel cuore delle genti dell’Europa, quando hanno visto nei grandi principi proclamati dall’Atto finale l’uguaglianza sovrana, il non ricorso alla forza, la composizione pacifica delle controversie, il rispetto dei diritti umani, la collaborazione tra gli Stati, il possibile schiudersi per tutti di una futura condizione di vita più sicura e tranquilla, più ricca di rapporti, più rispettata e più libera.

Poiché la CSCE era uno strumento di pace, la Santa Sede decise di prendervi una responsabilità diretta, per dare un proprio contributo concreto al servizio della pace. Conformemente alla propria natura, essa dedicò il maggiore interesse ai grandi temi della sicurezza e della pace (i dieci principi che devono regolare i rapporti tra gli Stati, le misure per accrescere la fiducia, il progetto di un sistema per risolvere le controversie, la sicurezza e la cooperazione nel Mediterraneo) e ai problemi che più direttamente toccano le persone e i gruppi sociali (gli emigrati, le minoranze, la cooperazione nel settore umanitario, nella cultura e nell’educazione).

Oggi, dopo due anni, la Santa Sede riconferma tutto il suo interesse perché gli impegni previsti nell’atto finale, tutto intero, trovino applicazione sempre più piena e possibili, ulteriori sviluppi.

In particolare, la nostra Delegazione non mancherà di appoggiare tutto quello che può intensificare il rapporto di conoscenza, di dialogo, di comprensione e di intesa, sia unilaterale sia multilaterale, tra i Paesi partecipanti, inclusa la proposta che, dopo questa riunione di Belgrado, futuri incontri periodici diano modo di verificare e di sviluppare il processo dinamico e creativo, messo in moto dalla CSCE a vantaggio della pace e della cooperazione. In special modo ancora vorremmo che fossero incoraggiate nuove e più efficaci misure che accrescano la fiducia. A questo proposito, desidererei esprimere la viva preoccupazione della Santa Sede perché non si sia arrivati ancora ad intese per la riduzione degli armamenti, senza la quale non si può parlare di effettiva sicurezza. Benché questo settore trascenda gli impegni inclusi nell'atto finale, è necessario tuttavia che la nostra riunione manifesti la volontà dei popoli d'Europa a vedere realizzate, concrete ed incisive misure di riduzione, sia delle armi convenzionali sia di quelle strategiche. La nostra Delegazione desidera che sia portato avanti anche il progetto svizzero di un sistema per la soluzione pacifica delle controversie, e che sia dato più stabile ed ampio respiro alle soluzioni dei problemi umanitari.

Pur nella riaffermazione dell'importanza globale di tutto l'atto finale, risponde propriamente alla missione della Santa Sede di concentrare l'attenzione maggiore sul bene delle persone, sul soddisfacimento delle loro condizioni essenziali di esistenza (come la riunificazione delle famiglie) e delle esigenze fondamentali per la vita e lo sviluppo della personalità (diritti dell’uomo).

È naturale ancora che la Santa Sede rivolga una premura prioritaria alla tutela della libertà religiosa: essa, tuttavia, non nutre meno interesse per il rispetto delle altre libertà fondamentali e i diritti dell’uomo – civili, politici, economici, sociali e culturali – in quanto, com’è detto nel settimo principio, «derivano tutti dalla dignità inerente alla persona umana e sono essenziali al suo libero e pieno sviluppo». Tanto più perché la fede religiosa, coinvolgendo l’uomo tutto intero, non può manifestarsi pienamente che nel contesto delle altre libertà.

Mentre riafferma pertanto il proprio appoggio alla soluzione dei problemi che riguardano l’intero complesso dei diritti dell’uomo, la nostra Delegazione ritiene di dover dare, in questa sede, un proprio contributo specifico al tema della libertà religiosa per mettere in evidenza ciò che l’Atto finale di Helsinki ha permesso, in due anni, di realizzare e per prospettare ciò che esso potrebbe e dovrebbe ancora assicurare e promuovere.

Signor Presidente,

già durante le consultazioni preparatorie di Helsinki, nel marzo 1973, la Santa Sede sentì come suo dovere di prendere un'iniziativa per il rispetto della libertà religiosa. Le sue proposte furono accolte con favore da parecchie Delegazioni, con considerazione e rispetto da tutte, e fuori della Conferenza ebbero l'appoggio dei maggiori gruppi religiosi d'Europa, e in primo luogo della Conferenza delle Chiese cristiane europee.

Di queste proposte l’atto finale accolse una parte sostanziale con attente formulazioni, nel contesto sia del 7° principio sui diritti umani e le libertà fondamentali, sia della cooperazione nel settore umanitario: ed è a tali formulazioni che, quando furono divulgate, si è poi fatto e si fa riferimento costante, talora con appelli caldi e appassionati, da più parti in Europa e anche nel resto del mondo.

Il settimo principio che impegna ogni Paese al rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ha suscitato nell’opinione pubblica una risonanza che ha superato molte previsioni, perché vi è stato riconosciuto un «significato universale» dei diritti umani, e forma quindi l’aspirazione di tutti a vederlo affermato e praticato. Questo principio è inoltre riconosciuto come «un fattore essenziale della pace, della giustizia e del benessere necessari ad assicurare lo sviluppo di relazioni amichevoli e della cooperazione» fra gli Stati partecipanti; dunque, l’interesse che nasce spontaneo in un Paese in favore della tutela, in un altro Paese, dei medesimi diritti, non può essere considerato pregiudizialmente, come un atteggiamento pretestuoso od ostile, ma piuttosto come una testimonianza di comunione umana, che rafforza la pace perché fa sentire i popoli amici e fratelli fra loro.

«In questo contesto – dice il testo del 7° principio – gli Stati partecipanti riconoscono e rispettano la libertà dell’individuo di professare e praticare, solo o in comune con gli altri, una religione o un credo agendo secondo i dettami della propria coscienza». Formula semplice, scarna, quasi burocratica, la quale contiene tuttavia qualcosa di veramente importante ed essenziale. Ne abbiamo riprova nell’interesse che essa ha provocato, quando fu diffuso il testo dell’Atto finale, in milioni di credenti – cattolici, ortodossi, cristiani evangelici, ebrei, musulmani, ed appartenenti ad altre fedi o confessioni, sia individualmente sia in gruppi e comunità sparsi in ogni regione d’Europa – i quali si sono sentiti compresi, interpretati dalla dichiarazione di Helsinki, ritrovandosi così coinvolti in un grande atto storico a motivo di una comune aspirazione di libertà.

È naturale pertanto che la Santa Sede guardi con una speciale attenzione quali siano le conseguenze pratiche dell’Atto finale in questo particolare settore. Essa anzi è sollecitata da molte parti a dire una sua parola, a formulare un giudizio. Essa vuole farlo con senso di responsabilità, cioè con aderenza alla verità e con l’intento di offrire un apporto costruttivo».

Certamente, chi ha partecipato alla laboriosa formulazione dell’Atto finale non ha mai pensato che la firma di detto documento, benché gesto tanto solenne e impegnativo, avrebbe portato a modificazioni immediate e integrali, in certo senso quasi spettacolari.

Ma fu subito chiaro che lo «spirito di Helsinki» non poteva non porre l'esigenza, in primo luogo, che ogni spazio di libertà riconosciuto, anche se in misura circoscritta, dalle leggi dei diversi Paesi, ai diritti delle persone e dei gruppi sociali, fosse preservato e tutelato, e non più ridotto o compresso, dalle autorizzazioni e dagli adempimenti amministrativi.

Infatti l’aspetto veramente importante dell’atto finale, al di là delle stesse applicazioni immediate sinora registrate in ogni Paese, è proprio nell'impulso impresso ad un moto progressivo – sia pur faticoso e troppo lento, qua e là, per le attese dei popoli – verso uno sviluppo non reversibile di una sempre più ampia libertà.

In materia di libertà religiosa è un fatto innegabile che l’Atto finale ha dato il via a tale processo positivo, sia pure ancora iniziale. Ciò è abbastanza evidente per quanto riguarda i movimenti e gli incontri delle persone, e le comunicazioni tra Paese e Paese: sviluppi incoraggianti in questo settore sono confermati infatti, per quanto ci risulta, da vane Chiese e gruppi confessionali.

In particolare, per quanto attiene la Chiesa cattolica, è motivo di soddisfazione rilevare che un certo numero di fatti positivi si è, sotto questo aspetto, indubbiamente verificato. Anzitutto, si è registrato un flusso più largo, sufficientemente costante, di facilitazioni accordate a viaggi per motivi religiosi: per la venuta a Roma dei Vescovi nella visita ad limina (che ogni cinque anni i Vescovi devono compiere al Papa e che quest’anno include proprio i Paesi d’Europa), o parimenti per interventi di Vescovi e di altri ecclesiastici a importanti riunioni della Santa Sede: per la partecipazione di Vescovi, Sacerdoti, gruppi di fedeli a grandi manifestazioni a carattere religioso – come l’Anno Santo a Roma nel 1975 e il Congresso Eucaristico Internazionale di Filadelfia nel 1976 – o per pellegrinaggi a Santuari europei.

Inoltre, si segnalano più frequenti incontri e scambi di visite tra Rappresentanti di Episcopati di vari Paesi, più numerose concessioni a Sacerdoti emigrati di visitare i propri familiari in patria, e un certo numero di invii di giovani ecclesiastici a frequentare corsi di studi in istituti culturali e di formazione teologica a Roma o altrove.

Ugualmente nel settore dei mezzi di comunicazione e di informazione, sono da ricordare le concessioni a comunità religiose di stampare localmente un certo numero di libri di preghiere e catechismi, il consenso dato agli invii di alcune migliaia di pubblicazioni religiose (vangeli, bibbie, catechismi) o liturgiche (messali, rituali per sacramenti, breviari per sacerdoti e religiosi) o di preghiera a comunità cattoliche che non potevano finora né farle stampare né importarle; inoltre la ricezione non più ostacolata di determinati programmi religiosi radiofonici, come le trasmissioni della Radio Vaticana.

Queste misure corrispondono a impegni dell’Atto finale e hanno cominciato a modificare – anche se ancora parzialmente e non in uguale misura per ogni luogo – una situazione precedente che, sul piano delle comunicazioni e dei rapporti tra un Paese e l’altro, era di rigida e scoraggiante chiusura.

Signor Presidente,

più arduo, delicato e complesso è il discorso sulla libertà religiosa all’interno degli Stati. Qui gli appelli, le testimonianze, le richieste continuano a moltiplicarsi, talora pressanti e angosciose, perché la situazione in varie regioni è ancora lontana da una vita normale di sufficiente libertà.

Vengono lamentate, in particolare, difficoltà frapposte alla pratica religiosa di determinate categorie di persone e all’educazione religiosa della gioventù, limitazioni relative alla formazione degli aspiranti alla vita ecclesiastica, restrizioni alla libertà dell’azione pastorale dei Vescovi e dei Sacerdoti. C'è inoltre qualche grave ferita aperta che noi vorremmo, con una speranza che non possiamo abbandonare, vedere rimediata e sanata.

È il caso, per la Chiesa cattolica, di determinate comunità di fedeli di rito orientale che, già fiorenti per una vita religiosa di tradizioni plurisecolari, nei nuovi assetti giuridico-politici del dopoguerra hanno perduto la legittimità civile ad esistere. Ciò è tanto più doloroso perché tocca proprio un punto centrale della libertà religiosa, che è di professare una fede «secondo i dettami della propria coscienza».

Naturalmente, la Santa Sede giudica doveroso e conveniente continuare a riservare la trattazione dei problemi concreti che riguardano la Chiesa cattolica alla trattativa bilaterale, in questi anni ulteriormente intensificata grazie anche all'atmosfera favorevole a maggiori contatti e a più intesa cooperazione promossa dalla CSCE.

Ma, è lecito tuttavia auspicare che lo «spirito di Helsinki» porti progressivamente a maturazione l’esigenza di riconoscere nuovi spazi di libertà, specialmente per assicurare le condizioni essenziali di vita spirituale di qualche milione di credenti e delle loro comunità».

Lungi dal fare dell’Atto finale di Helsinki un argomento polemico per deprecabili ritorni a tensioni di guerra fredda, la nostra Delegazione vuole rinnovare qui un’espressione di fiducia che l’opera d’interpretazione e di mediazione che le autorità di Governo sono chiamate a svolgere in ogni Paese per tradurre in atti concreti i grandi principi proclamati e sottoscritti a Helsinki, possa pervenire, con lungimiranza illuminata, ad accogliere queste aspirazioni che sono di portata vitale e prioritaria.

Signor Presidente, noi non crediamo che un auspicio così formulato sia indebito e tanto meno utopistico. Esso nasce dalla fiducia in una verità che, in ogni tempo, sta dentro l’uomo e che si diffonde, prima quasi impercettibilmente, poi sempre più possente e muove il mondo e la storia.

Li muove verso il futuro, in una direzione che i popoli desiderano e presagiscono di libertà e di speranza.

Signor Presidente, proprio per la considerazione che noi abbiamo della CSCE come di un processo dinamico e creativo teso a consolidare, a costruire la pace, noi vorremmo che tutti qui, durante questi lavori a Belgrado, sapessimo cogliere e soddisfare, in qualche misura, con preveggente coraggio, alcune di queste aspettative di libertà e di speranza.

Grazie, Signor Presidente.


*L’Osservatore Romano, 8.10.1977 p.2.

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Mgr Achille SILVESTRINI

Intervention à la Réunion de suivi de Belgrade (CSCE)**

Vendredi 7 octobre 1977

 

 

Monsieur le Président,

En prenant la parole, je désire avant tout m’associer aux sentiments de satisfaction et de gratitude déjà manifestés par d’autres délégués au gouvernement yougoslave pour sa cordiale hospitalité, et saluer respectueusement les peuples de Yougoslavie, dont les aspirations à la paix ont été si noblement exprimées par leur président dans le message qu’il nous a adressé.

Dès le début, le Saint-Siège a toujours vu dans la Conférence sur la sécurité et la coopération en Europe (CSCE) comme un instrument de paix nouveau et original, propre à renforcer la confiance entre les États et à apporter une réponse toujours meilleure à certaines espérances croissantes des peuples. Dès sa naissance, en effet, la CSCE est apparue comme un défi à la méfiance, parce que sans un minimum de confiance réciproque il était impossible que les représentants de pays si nombreux et si divers se réunissent à la même table, sur un pied d’égalité, pour traiter ensemble de questions importantes relatives à leur sécurité et à leur coopération. Les espérances ont grandi dans le cœur des nations d’Europe lorsqu’elles ont discerné dans les grands principes proclamés par l’acte final - l’égalité souveraine, le non-recours à la force, le règlement pacifique des controverses, le respect des droits de l’homme, la collaboration entre les États – la possibilité pour tous de voir s’ouvrir devant eux des conditions de vie qui, à l’avenir, seront plus sûres et plus tranquilles, plus coopératives, plus respectées et plus libres.

Puisque la CSCE était un instrument de paix, le Saint-Siège a décidé d’y prendre des responsabilités directes pour apporter sa propre contribution concrète au service de la paix. Conformément à sa nature propre, son intérêt se porta surtout sur les grands thèmes de la sécurité et de la paix (les dix principes qui devaient réglementer les rapports entre les États, les mesures pour accroître la confiance, le projet d’un système pour résoudre les controverses, la sécurité et la coopération en Méditerranée), et sur les problèmes qui concernent plus directement les personnes et les groupes sociaux (les émigrés, les minorités, la coopération sur le plan humanitaire, culturel et éducatif).

Aujourd’hui, deux ans après, le Saint-Siège redit tout l’intérêt qu’il porte à ce que les engagements prévus dans l’acte final tout entier soient appliqués de la façon la plus complète possible et connaissent de nouveaux développements.

En particulier, notre délégation ne manquera pas d’appuyer tout ce qui peut intensifier les rapports de connaissance, de dialogue, de compréhension et d’entente entre les participants, d’une façon tant unilatérale que multilatérale, y compris la proposition qu’après cette réunion de Belgrade de futures rencontres périodiques permettent de vérifier et de développer le processus dynamique et créatif mis en mouvement par le CSCE au profit de la paix et de la coopération. Nous voudrions en particulier que soient encouragées de nouvelles mesures plus efficaces en vue d’accroître la confiance. A ce propos, je voudrais dire que le Saint-Siège est très préoccupé de voir que l’on n’est encore pas parvenu à des accords pour une réduction des armements sans laquelle on ne peut pas parler de sécurité effective. Bien que ce domaine dépasse les engagements inscrits dans l’acte final, il est nécessaire que notre réunion manifeste la volonté des peuples d’Europe de voir réalisées d’une façon concrète et incisive des mesures de réduction des armes, tant conventionnelles que stratégiques. Notre délégation désire également que progresse le projet suisse d’un système pour la solution pacifique des conflits et qu’une portée plus stable et plus grande soit donnée aux solutions des problèmes humanitaires.

Tout en réaffirmant l’importance globale de l’acte final tout entier, l’attention du Saint-Siège, conformément à sa mission propre, se porte plus particulièrement sur le bien dès personnes, la satisfaction de leurs conditions essentielles d’existence (comme la réunification des familles) et des exigences qui sont fondamentales pour la vie et le développement de la personne (droits de l’homme).

Il est également naturel que le Saint-Siège se préoccupe d’une façon prioritaire du respect de la liberté religieuse. Il porte cependant un intérêt non moindre au respect des autres libertés fondamentales et des autres droits de l’homme – sur le plan civil, politique, économique, social, culturel – car, comme il est dit au principe 7: «Ils découlent tous de la dignité inhérente à la personne humaine et sont essentiel à son épanouissement libre et intégral». Ceci, d’autant plus que la foi religieuse, qui embrasse l’homme tout entier, ne peut se manifester pleinement que dans le contexte des autres libertés.

Tout en réaffirmant donc son appui à la solution des problèmes concernant tout l’ensemble des droits de l’homme, notre délégation estime qu’elle doit ici apporter sa contribution spécifique au problème de la liberté religieuse, afin de mettre en évidence ce que l’acte final d’Helsinki a permis de réaliser en deux ans, et afin de voir ce que celui-ci pourrait et devrait encore assurer et promouvoir.

Monsieur le président, déjà pendant les consultations préparatoires d’Helsinki, en mars 1973, le Saint-Siège a estimé qu’il était de son devoir de prendre une initiative en vue du respect de la liberté religieuse. Ses propositions ont été accueillies avec faveur par plusieurs délégations, avec respect et considération par toutes. En dehors de la Conférence, elles ont reçu l’appui des plus importants groupes religieux d’Europe, et en premier lieu de la Conférence des Églises chrétiennes européennes.

L’acte final a accueilli une partie substantielle de ces propositions en leur donnant une formulation soignée, dans le contexte soit du principe 7 sur les droits de l’homme et les libertés fondamentales, soit de la coopération sur le plan humanitaire. Lorsque ces formulations ont été rendues publiques on s’y est référé et on s’y réfère encore constamment, parfois dans des appels vibrants provenant de plusieurs pays d’Europe et aussi du monde.

Le principe 7, qui engage chaque pays à respecter les droits de l’homme et les libertés fondamentales, a eu dans l’opinion publique un écho dépassant les prévisions. Cela tient, pensons-nous, au fait que ce principe reconnaît la signification universelle» des droits de l’homme, en prenant acte que leur respect suscite des sentiments de solidarité dans le cœur de tous les hommes, d’un pays à l’autre, parce que l’aspiration à voir ces droits affirmés et reconnus dans la pratique est commune à tous. Ce respect est même reconnu comme «un facteur essentiel de la paix, de la justice et du bien-être nécessaires pour assurer le développement de relations amicales et de la coopération» entre les États participants. Par conséquent, lorsque dans un pays on manifeste spontanément de l’intérêt pour le respect de ces droits dans un autre pays, cela ne peut pas être considéré a priori comme un prétexte ou une attitude hostile, mais bien comme un témoignage de communion humaine qui affermit la paix parce qu’il fait sentir aux peuples qu’ils sont amis et frères.

«Dans ce cadre, dit le texte du principe 7, les États participants reconnaissent et respectent la liberté de l’individu de professer et pratiquer, seul ou en commun, une religion ou une conviction en agissant selon les impératifs de sa propre conscience». Cette formule simple, dépouillée, presque bureaucratique, contient cependant quelque chose de vraiment important et essentiel. Nous en avons la preuve dans l’intérêt qu’elle a suscité lorsque fut connu le texte de l’acte final, chez des millions de croyants – catholiques, orthodoxes, protestants, juifs, musulmans, ou d’autres confessions – soit individuellement, soit collectivement, dans des groupes et communautés de toutes les régions d’Europe. Ils se sont sentis compris ils ont senti que leurs sentiments étaient exprimés par la déclaration d’Helsinki. Ils se sont ainsi trouvés engagés dans un grand acte historique occasionné par une commune aspiration à la liberté.

Il est donc naturel que le Saint-Siège se préoccupe spécialement de savoir quelles ont été les conséquences pratiques de l’acte final dans ce domaine particulier. De plus, beaucoup lui demandent de dire quelque chose, de formuler un jugement. Il veut le faire en esprit de responsabilité, c’est-à-dire en adhérant à la vérité et dans le but d’offrir un apport constructif.

Certainement, ceux qui ont participé à la laborieuse formulation de l’acte final n’ont jamais pensé que la signature de ce document, aussi solennelle et importante qu’elle ait été, aurait entraîné des modifications immédiates et complètes, presque spectaculaires en un certain sens.

Mais il devint tout de suite clair que «l’esprit d’Helsinki» ne pouvait pas ne pas poser l’exigence, en premier lieu, que tout espace de liberté reconnu, même d’une façon limitée, par les lois des différents pays aux droits des personnes et des groupes sociaux, devrait être préservé et protégé, et non plus réduit ou comprimé, par les autorisations et les mesures administratives.

En effet, l’aspect vraiment important de l’acte final, au-delà des applications immédiates qui en ont été faites jusqu’à maintenant dans chaque pays, c’est l’impulsion donnée à un mouvement progressif – même si çà et là il est laborieux et trop lent pour les populations qui l’attendent – vers le développement irréversible d’une liberté toujours plus grande.

En matière de liberté religieuse, c’est un fait indéniable que l’acte final a donné lieu à ce processus positif, même s’il n’en est encore qu’à ses débuts. Cela est, en effet, suffisamment évident pour tout ce qui a trait aux mouvements et aux rencontres des personnes, aux communications entre pays. Nous avons en effet confirmation de ces développements encourageants par ce qu’il nous a été donné d’apprendre de différentes Églises ou groupes confessionnels.

En particulier, pour ce qui est de l’Église catholique, c’est un motif de satisfaction de constater que, sous cet aspect, un certain nombre de faits positifs se sont indubitablement produits. Avant tout, on a constaté que le nombre des voyages autorisés pour des motifs religieux s’est accru d’une façon suffisamment constante pour la venue à Rome des évêques cri visite ad limina (visite que les évêques doivent faire au Pape tous les cinq ans, et cette année c’était précisément le tour des évêques d’Europe) pour la participation d’évêques et d’autres ecclésiastiques à d’importantes réunions du Saint-Siège; pour la participation de religieux et de religieuses à leurs chapitres généraux ou à des congrès, à Rome ou dans d’autres localités d’Europe et d’Amérique; pour la participation d’évêques, de prêtres, de groupes de fidèles à de grandes manifestations de caractère religieux – comme l’Année sainte de 1975, à Rome, et le Congrès eucharistique international de Philadelphie, en 1976 – ou a des pèlerinages à des sanctuaires européens.

En outre, on signale des rencontres et des échanges de visites plus fréquents entre représentants des épiscopats de différents pays ; de plus nombreuses autorisations données à des prêtres émigrés de rendre visite à leurs familles dans leur pays; un certain nombre de jeunes séminaristes sont autorisés à suivre des cours dans des instituts culturels et théologiques, à Rome ou ailleurs.

Également dans le domaine des moyens de communication et d’information, il faut mentionner les autorisations données à des communautés religieuses d’imprimer localement un certain nombre de livres de prières et de catéchisme; la permission d’envoyer des milliers de publications religieuses (évangiles, bibles, catéchismes), liturgiques (missels, rituels des sacrements, bréviaires pour les prêtres et les religieux) ou de prières à des communautés catholiques qui, jusqu’à maintenant, ne pouvaient ni les imprimer ni les importer. De plus, il n’est plus interdit de recevoir différents programmes religieux de radio, comme les transmissions de Radio Vatican.

Ces mesures correspondent aux engagements de l’acte final et, bien que d’une façon encore partielle et inégale selon les lieux, elles ont commencé à modifier la situation antérieure qui, en matière de communications et de rapports entre pays, était rigide et décourageante par sa fermeture.

Monsieur le Président, il est plus ardu, délicat et complexe de parler de la liberté religieuse à l’intérieur des États. Ici, les appels, les demandes, les témoignages, parfois pressants et angoissés, continuent à se multiplier parce que dans différents pays la situation est encore loin de permettre une vie normale avec suffisamment de liberté.

On déplore en particulier les difficultés opposées à la pratique religieuse de catégories de personnes déterminées et à l’éducation religieuse des jeunes; les limitations dans la forma­tion des aspirants à la vie ecclésiastique; les restrictions à la liberté de l’action pastorale des évêques et des prêtres. Il y a, de plus, de graves plaies ouvertes que, avec une espérance à laquelle nous ne pouvons renoncer, nous voudrions voir soignées et guéries.

Tel est le cas, pour l’Église catholique, des différentes communautés de fidèles de rite oriental, qui avaient autrefois une vie religieuse florissante, avec leurs traditions multiséculaires, et qui, dans les nouveaux systèmes juridico-politiques de l’après-guerre, n’ont civilement plus le droit d’exister. Cela est d’autant plus douloureux qu’il s’agit précisément d’un point central de la liberté religieuse pouvoir professer sa foi «selon les impératifs de sa propre conscience».

Naturellement, le Saint-Siège estime qu’il est nécessaire et convenable de continuer à réserver l’étude des problèmes concrets qui concernent l’Eglise catholique à un dialogue bilatéral, lequel s’est intensifié ces dernières années, grâce notamment à l’atmosphère créée par la CSCE qui permet des contacts plus grands et une coopération plus poussée.

Il est cependant permis de souhaiter que l’esprit d’Helsinki conduise progressivement à faire mûrir l’exigence de reconnaître de nouveaux espaces de liberté, spécialement pour assurer les conditions essentielles pour la vie spirituelle de plusieurs millions de croyants et de leurs communautés.

Loin de faire de l’acte final d’Helsinki un argument polémique pour un retour peu souhaitable aux tensions de la guerre froide, notre délégation veut ici renouveler sa confiance que le travail d’interprétation et de médiation que les gouvernants sont appelés à faire dans tous les pays pour traduire en actes concrets les grands principes proclamés et signés à Helsinki puisse parvenir, avec clairvoyance, à accueillir ces aspirations qui sont vitales et prioritaires.

Monsieur le Président, nous ne pensons pas qu’un vœu ainsi formulé soit déplacé, et encore moins utopique. Il naît de la confiance en une vérité qui, de tout temps, est dans l’homme; une vérité qui se répand, d’une façon d’abord quasi imperceptible, puis de plus en plus puissante; une vérité qui emporte le monde et l’histoire et qui les mène vers l’avenir, vers cette direction que les peuples désirent et pressentent, celle de la liberté et de l’espérance.

Monsieur le Président, c’est précisément la considération que nous avons pour la CSCE et son processus dynamique et créateur de consolidation et de construction de la paix qui nous pousse à désirer que tous ici, pendant ces travaux de Belgrade, sachent accueillir et satisfaire en quelque mesure, avec un courage prévoyant, certaines de ces aspirations à la liberté et à l’espérance.

Merci, monsieur le Président.


**L'Osservatore Romano. Edition hebdomadaire en langue française n.45 p.12.

La Documentation Catholique  n. 1729 p.935-937.

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RIUNIONE SUI SEGUITI PER LA VERIFICA
DELL'OSSERVANZA DEGLI IMPEGNI (BELGRADO 1977)

INTERVENTO DI MONS. ACHILLE SILVESTRINI*

Venerdì, 7 ottobre 1977 



Mr. President

Taking the floor I wish in the first place to join in the sentiments of congratulation and gratitude already shown by other delegates to the Yugoslav Government for its cordial hospitality. And I send a respectful greeting and good wishes to the peoples of Yugoslavia. whose aspirations towards peace have so nobly been expressed by their President in the message he addressed to us.

Right from the beginning, the Holy See has always seen the CSCE as a new, original instrument of peace, capable of strengthening confidence among States and of giving an increasingly adequate answer to some growing hopes of the peoples. At its birth, the CSCE seemed, in fact, a wager against mistrust, because without a minimum of mutual confidence it was impossible that representatives of so many and such different countries should meet at the same table, on an equal footing, for important common deliberations concerning their security and cooperation among them. Hopes grew in the hearts of the peoples of Europe, when they saw in the great principles proclaimed by the final document – sovereign equality, non-recourse to force, the peaceful settlement of controversies, respect for human rights, collaboration among the States – the possible opening up for everyone of a future condition of life more secure and tranquil, richer in relationships, more respected and more free.

Since the CSCE was an instrument of peace, the Holy See decided to take a direct responsibility in it, to make a concrete contribution of its own to the service of peace .In conformity with its own nature, it dedicated its main interest to the great subjects of security and peace (the ten principles that must regulate relations among the States, the measures to increase confidence, the project of a system to solve controversies, security and cooperation in the Mediterranean) and to the problems that most directly concern persons and social groups (emigrants, minorities, cooperation in the humanitarian sector, in culture and education).

Today, two years later, the Holy See reconfirms its whole interest in order that the commitments laid down in the final document in its entirety, may find an increasingly full application and possible further developments.

In particular, our delegation will not fail to support everything that may intensify the relationship of knowledge, dialogue, comprehension and understanding, both unilateral and multilateral, between the participating countries; including the proposal that, after this Belgrade Conference, future periodical meetings will make it possible to verify and develop the dynamic and creative process set in motion by the CSCE, for sake of peace and cooperation. We would like particularly, furthermore, new and more effective measures to be encouraged in order to increase confidence. In this connection, I would like to express the deep concern of the Holy See that no agreement has yet been reached for reducing armaments, without which it is not possible to speak of real security. Although this sector goes beyond the commitments included in the final document, it is necessary, however, that our meeting should show the determination of the peoples of Europe to see to the implementation of concrete and incisive measures to reduce both conventional and strategic arms. Our delegation also wishes that the Swiss project for a system of peaceful solution of controversies be pursued further, and that the solution of humanitarian problems should be tackled in a more stable and broad perspective.

While reaffirming the global importance of the whole final document, the Holy See, responding specifically to its mission, concentrates its attention mainly on the good of persons, the satisfaction of their essential conditions of existence (such as the reunifications of families) and of fundamental requirements for the life and development of the personality (human rights).

It is natural, moreover, that the Holy See should give priority concern to the protection of religious freedom. It has no less interest, however, in respect of the other fundamental freedoms and rights of man – civil, political, economic, social and cultural – since, as is said in the seventh principles, «they all derive from the dignity inherent in the human person and are essential for his free and full development. All the more so, since religious faith, involving the whole man, cannot be fully manifested except in the context of other freedoms.

While it reaffirms therefore, its support for the solution of the problems that concern human rights as a whole, our delegation deems that it must make here a specific contribution of its own to the subject of religious freedom, in order to highlight what the final document of Helsinki has made it possible to achieve, in two years, and to point out what else it could and should ensure and promote.

Mr. President, already during the preparatory consultations of Helsinki, in March 1973, the Holy See felt it its duty to take an initiative for the respecting of religious freedom. Its proposals were received with favour by several delegations and with consideration and respect by all of them. Outside the conference they were supported by the major European religious groups, and in the first place by the Conference or European Christian Churches.

The final document accepted a substantial part of these proposals in careful formulations, in the context both of the seventh principle on human rights and fundamental freedoms and of cooperation in the humanitarian sector. It is to these formulations, since their publication, that constant reference was and is made, sometimes with warm and passionate appeals, from many quarters in Europe and also in the rest of the world

The seventh principle which commits every country to respect for human rights and fundamental freedoms, has aroused in public opinion an interest that has gone beyond many expectations. This is due, in our opinion, to the fact that the same principle recognizes the universal significance of human rights; recognizing that their respect arouses echoes of solidarity in the hearts of all men, from one country to another, because the aspiration to see it acknowledged and practiced is common to all. This respect is, in fact, recognized as an «essential factor of the peace, justice and welfare necessarily to ensure the development of friendly relations and cooperation» among the participating States. Therefore, the interest that arises spontaneously in one country in favor of the safeguarding of the same rights in another country, cannot be considered, prejudicially, as a pretext and hostile attitude, but rather as a testimony of human communion which strengthens peace because it makes peoples feel they are friends and brothers

«In this context», the text of the seventh principle states, «the participating States recognize and respect the freedom of the individual to profess and practice, alone or in common with others, a religion or a creed, acting according to the dictates of his own conscience». A simple, plain, almost bureaucratic formula, which contains, however, something really important and essential! This is confirmed by the interest it aroused, when the text of the final document was published, in millions of believers – Catholics, orthodox, evangelical Christians, Jews, Moslems and members of other faiths or confessions, both individually and in groups and communities spread throughout every region of Europe. These felt understood and interpreted by the Helsinki declaration, thus finding themselves involved in a great historic event owing to a common aspiration for freedom.

It is natural, therefore, that the Holy See should examine with special attention the practical consequences of the final document in this particular sector. It is, in fact, pressed from many sides to speak out, to formulate a judgment. It wishes to do so with a sense of responsibility, that is, adhering to the truth and with the intention of offering a constructive contribution.

Certainly those who took part in the laborious formulation of the final document never thought that the signature of this document, although such a solemn and binding act, would lead to immediate and complete changes, almost spectacular in a certain sense. But it was at once clear that the «spirit of Helsinki» could not but involve the requirement, in the first place, that every space of freedom which, even if to a limited extent, is recognized by the laws of the various countries in relation to the rights of persons and social groups, should be preserved and safeguarded, and no longer reduced or compressed by authorizations and administrative obligations

In fact, the really important aspect of the final document, beyond the immediate applications recorded so far in every country, lies just in the impetus given to a progressive movement – albeit laborious and too slow, here and there, for the expectations of peoples – towards on irreversible development of increasing freedom.

In the field of religious freedom it is an undeniable fact that the final document has started such a positive process, though still in its initial stage. This is quite clear as regards the movements and meetings of persons, and as regards communications between countries: encouraging developments in this sector are confirmed, in fact, as far as we know, by various Churches and denominational groups.

In particular, as regards the Catholic Church, it is a reason for satisfaction to note that a certain number of positive facts have certainly taken place from this standpoint. In the first place, there has been a wider flow, sufficiently constant, of facilitations granted for journeys for religious motives for the «ad limina» visit of the bishops to Rome (which they must pay to the Pope every five years; this year it is the turn specifically of the European countries), or likewise for the presence of bishops and other ecclesiastics at important Holy See meetings for the participation of religious men and women in their own general chapters, or other meetings, in Rome or in other localities of Europe and America: for the participation of bishops, priests and groups of faithful in important religious events – such as the Holy Year in Rome in 1975 and the international Eucharistic Congress in Philadelphia in 1976 – or for pilgrimages to European sanctuaries.

Furthermore, there are more frequent meetings and exchanges of visits between representatives of episcopates of various countries, more numerous permits for emigrant priests to visit their relatives in their homeland, and the sending of a certain number of young ecclesiastics to attend study courses in institutes of culture and theological formation in Rome or elsewhere.

In the same way, in the sector of the media of communication and information, mention should be made of permits given to religious communities to print locally a certain number of prayer books and catechisms, consent given to the sending of some thousands of religious publications (gospels, bibles, catechisms) or liturgical publications (Mass-books, rituals for sacraments, prayer books for priests and religious) or collections of prayers to Catholic communities which up to then were unable either to have them printed or to import them furthermore the reception, no longer disturbed, of certain radio religious programmes, such as the broadcasts of the Vatican Radio.

These measures correspond to commitments of the final document and have begun to change – even if still partially and not to the same extent for every place – a preceding situation which, on the plan of communications and relations between one country and another, was of rigid and discouraging closing.

Mr. President, it is more difficult, delicate and complex to speak of religious freedom within States. Here appeals, testimonies, and requests continue to multiply, some pressing and distressing because the situation in various regions is still far from a normal life of sufficient freedom.

Complaints are made, in particular, about difficulties with regard to the religious practice of given categories of persons and to the religious education of the young, limitations as regards the formation of aspirants to ecclesiastical life, restrictions on the freedom of pastoral action of bishops and priests. There are also some serious open wounds that we would like, with a hope that we cannot abandon, to see put right and healed.

It is the case, for the Catholic Church, of certain communities of faithful of the Eastern rite which in the past, had a flourishing religious life rich in centuries-old traditions and which, in the new juridico-political post-war regimes have lost the civil right to exist. This is all the more painful because it concerns specifically a central point of religious freedom, which is to profess a faith according to the dictates of one’s own conscience».

Of course, the Holy See considers it right and opportune to continue to reserve the treatment of the concrete problems that concern the Catholic Church to bilateral dialogue further intensified these years thanks to the atmosphere favourable to more numerous contacts and to more intense cooperation promoted by the CSCE.

But it can be hoped, however, that «the spirit of Helsinki» will gradually bring to light the necessity of recognizing new spaces or freedom, especially to ensure the essential conditions of spiritual life of some millions of believers and their communities.

Far from making the Helsinki final document a polemical subject for deplorable returns to cold war tensions, our delegation wishes to renew here an expression of confidence that the work of interpretation and mediation which Government authorities are called to carry out in every country in order to put into practice the great principles proclaimed and subscribed to at Helsinki, will come, with enlightened far-sightedness to accept these aspirations which are of vital significance and claim priority.

Mr. President, we do not believe that a wish formulated in this way is improper, far less utopian. It springs from confidence in a truth which is at all times within man and which then spreads at first almost imperceptible, and then more and more powerful and moves the world and history

It moves them towards the future, in a direction of freedom and hope, which the peoples desire and foresee.

Mr. President, just because of the esteem in which we hold the CSCE as a dynamic and creative process, aimed at consolidating at constructing peace, we would like everyone here, during this work in Belgrade, to succeed in grasping and satisfying, to some extent, with farsighted courage, some of these expectations of freedom and hope.

Thank you. Mr. President


*L'Osservatore Romano. Weekly Edition in English n.45 pp.4, 5.



 

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