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ORDINAZIONE EPISCOPALE DI MONSIGNOR ADRIANO BERNARDINI

OMELIA DEL CARDINALE ANGELO SODANO*

Pontificio Seminario Romano Maggiore - Domenica, 15 novembre 1992

 


Caro Don Adriano,
amati Confratelli nell'Episcopato e nel Presbiterato,
fratelli e sorelle nel Signore!

«Cantate al Signore un cantico nuovo, /cantate al Signore da tutta la terra... / in mezzo ai popoli narrate la sua gloria, /a tutte le nazioni dite i suoi prodigi».

Le parole del Salmo 95 sgorgano spontanee dal nostro cuore in quest'ora di grazia, mentre ci stringiamo intorno ad un sacerdote del clero romano, sul quale fra breve discenderanno i doni dello Spirito Santo, affinché possa continuare nel mondo d'oggi l'opera che Cristo aveva affidato agli Apostoli.

La dottrina cattolica circa la missione del Vescovo nella Chiesa è ben nota ed è stata ultimamente di nuovo illustrata, in modo mirabile, dal Concilio Ecumenico Vaticano II, nel capitolo terzo della Costituzione dogmatica «Lumen gentium».

Ivi il Concilio ci insegna che Gesù, Buon Pastore, volendo che la sua divina missione di salvezza continuasse fino al termine della storia, la affidò agli Apostoli ed ai loro successori. «Questo Sacrosanto Sinodo, seguendo le orme del Concilio Vaticano I, insegna e dichiara che Gesù Cristo, Pastore eterno, ha edificato la Santa Chiesa e ha mandato gli Apostoli come Egli stesso era mandato dal Padre, ed ha voluto che i loro Successori, cioè i Vescovi, fossero fino alla fine dei secoli Pastori della Chiesa». (Ibidem, n. 18).

Il Vangelo ci dice che Gesù dopo aver pregato il Padre, chiamò a sé quelli che egli volle e ne costituì dodici perché stessero sempre con lui e perché annunciassero il regno di Dio. Li mandò prima ai figli d'Israele e poi a tutte le genti, affinché, partecipi della sua potestà, le ammaestrassero, le santificassero e le governassero.

In questa missione gli Apostoli furono pienamente confermati nel giorno di Pentecoste (At 2, 1-36), secondo la promessa del Signore. «Riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni, sia in Gerusalemme, come in tutta la Giudea, e sia alla estremità della terra» (At 1, 8).

La missione affidata da Cristo agli Apostoli doveva durare fino alla fine dei secoli (Mt 28, 20). Gli Apostoli costituirono così dei continuatori della loro opera, dando disposizioni che, quando essi fossero morti, altri uomini provati prendessero la successione del loro ministero (San Clemente Romano, ad Cor. 44, 2). Per poter adempiere la loro missione, gli Apostoli furono arricchiti da Cristo con una speciale effusione dello Spirito Santo (Atti 1,8 - Gv 20,22) ed essi stessi con l'imposizione delle mani, hanno poi trasmesso questo dono dello Spirito ai loro successori.

È questo il rito bimillenario che oggi io mi accingo a compiere, imponendo le mani ad un nuovo Vescovo ed invocando su di lui i doni scesi un giorno sugli Apostoli nella solennità di Pentecoste.

Ogni Vescovo è posto dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa Santa di Dio. Questa chiamata divina si manifesta attraverso il Sommo Pontefice che lo designa ed il Vescovo che lo consacra. La grazia però viene dall'alto e solo con essa il Vescovo potrà insegnare, santificare e governare la Chiesa, qualsiasi sia l'ufficio particolare che dovrà svolgere, come Vescovo diocesano o Vescovo ausiliare, come Collaboratore del Papa nella Curia Romana o come Rappresentante Pontificio in un determinato Paese. Ovunque sia, un Vescovo è sempre il Successore degli Apostoli, e cioè Maestro di dottrina, Dispensatore dei misteri divini, Pastore del popolo di Dio.

Seguendo il Vescovo, il fedele sa che segue Cristo. A tale riguardo sono sempre attuali le celebri affermazioni di Sant'Ignazio di Antiochia: «Non fare nulla senza il Vescovo nelle cose che riguardano la Chiesa... Fate tutte le vostre azioni con lo spirito di concordia che piace a Dio, sotto la presidenza del Vescovo, che fa le veci di Dio» (Smir 1,2); «Mi congratulo con te, Chiesa di Efeso, perché sei unita al tuo Vescovo come la Chiesa è unita a Cristo, affinché sia una cosa sola nell'unità» (Ef 5).

L'eccelsa dignità del Vescovo va però strettamente unita ad una grande responsabilità davanti a Dio, davanti alla Chiesa ed anche all'intera società.

Infatti, come Gesù, il Vescovo non deve essere altro che un «Buon Pastore». E Gesù stesso ha spiegato che cosa significhi essere ed agire come Pastore delle anime: «Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me ed io conosco il Padre»; «Offro la vita per le pecore»; «Ho altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore» (Gv 10,11-16).

Con queste parole Gesù indicava l'ansia pastorale che deve continuamente stimolare e assillare ogni ministro di Dio. La preoccupazione del Vescovo deve essere sempre e soltanto unica, quella cioè di comportarsi come il «Buon Pastore», che prova la grande gioia di illuminare e convertire le anime e, nello stesso tempo, anche la pena di vedere che altri vivono sbandati nell'errore e nel peccato.

Apostolo ardente e intrepido Pastore, San Paolo, perfettamente conscio delle responsabilità del Vescovo, inviava al discepolo Timoteo delle istruzioni che sono sempre valide per la vita di un Vescovo: «Sii esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza... Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante» (1 Tm 4,12-16).

Certo le responsabilità pastorali del Vescovo sono assai grandi e le difficoltà che egli trova sul suo cammino sembrano talora enormi. Ma ogni cristiano sa che nel mondo sempre opera la Provvidenza Divina e che mai ci può mancare la grazia di Dio, se la chiediamo con fede.

In particolare, il ministro di Dio non può mai dimenticare che se Dio lo ha chiamato ad una missione, mai lo lascerà solo. Significative sono a tale riguardo le parole che abbiamo ascoltato nella prima lettura di questa Santa Messa. È Dio che dice al profeta Geremia; «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo... e ti ho stabilito profeta delle Nazioni... va da coloro a cui ti manderò ed annunzia ciò che io ti ordinerò. Io sono con te per proteggerti» (Ger 1,4-10).

Con questi sentimenti di fede, tu, caro Don Adriano, presto partirai per la missione che il Papa ti ha affidato in una nobile Nazione dell'Asia.

Certo la popolazione del Bangladesh è numerosa, con i suoi 115 milioni di abitanti, ed i cattolici sono ancor pochi. Ma tu potrai essere di grande aiuto ai benemeriti Vescovi del luogo, ai sacerdoti loro cooperatori, ai religiosi e religiose che lavorano colà con grande sacrificio per la diffusione del Regno di Dio. Ti sia di esempio lo spirito apostolico di San Francesco Saverio, che iniziò in quella regione dell'Asia l'intensa opera missionaria che dura fino ai nostri giorni. Con le autorità del Governo di Dhaka sarai portatore dello spirito di collaborazione che anima la Chiesa, nel suo impegno di servizio per il bene comune in quell'importante comunità nazionale. Del resto, è a tutti ben nota l'opera sociale altamente meritoria che svolgono in Bangladesh tante benemerite istituzioni cattoliche soprattutto nel campo dell'educazione scolastica e della promozione umana.

Il servizio episcopale del Rappresentante Pontificio contribuirà cosi a stringere vincoli sempre più stretti da parte dei cattolici del luogo con il Romano Pontefice ed a rinsaldare i legami di collaborazione con le autorità civili, per il progresso materiale e spirituale di quella grande nazione.

Caro Don Adriano, la tua ordinazione episcopale si svolge nella Cappella del Seminario Maggiore di Roma, ai piedi dell'immagine della Madonna della Fiducia, a te tanto cara.

Che la Madre di Cristo e della Chiesa ti accompagni nel tuo lavoro apostolico e sia sempre per le fonte di serena fiducia, in ogni momento della tua vita.

Con questa preghiera si stringono intorno a te in modo particolare, i superiori, alunni ed ex-alunni del Seminario Romano.

Con questa preghiera ti accompagnano i Vescovi che con me oggi ti imporranno le mani.

Che Maria sia la Stella luminosa che ti guidi nel tuo camminino sulle strade del mondo! Amen.


*L'Osservatore Romano 16-17.11.1992 p.10.



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