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  SANTA MESSA PRESIEDUTA DAL CARDINALE ANGELO SODANO 
IN ONORE DELLA MADONNA DI SAN LUCA 
NELLA CATTEDRALE DI SAN PIETRO A BOLOGNA

Solennità dell'Ascensione, 27 maggio 2001

 

"Ascende Dio tra le acclamazioni, il Signore al suono di tromba".

Il salmo responsoriale poc'anzi proclamato sintetizza molto bene il senso cristiano della solennità odierna, che presenta l'ascesa festosa di Gesù Cristo al cielo. In questo modo con Cristo vincitore sul peccato e sulla morte, inizia il Regno universale di Dio. Il salmo responsoriale stesso sottolinea che l'Ascensione è l'ingresso di Cristo nella gloria, la sua intronizzazione come re universale presso il Padre. È giusto perciò che la Chiesa gioisca oggi nella celebrazione di questo grande evento, che costituisce uno dei misteri più significativi della nostra fede:  Cristo è asceso nella gloria e dal cielo continua ad essere presente in mezzo a noi.

Oltre a questo, vi è un altro motivo di gioia; ed è il fatto che il Cristo risorto assiso alla destra del Padre ci ricorda il destino glorioso e ultimo della nostra vita. L'ascensione non è soltanto l'espressione piena e definitiva della pasqua di Cristo, ma anche di quella del cristiano. Con Lui è ascesa nella gloria quella umanità che egli ha preso in prestito da noi. È quanto esprimeva mirabilmente san Leone Magno:  "L'ascensione di Cristo significa anche elevazione per noi e là dove è giunta in anticipo la gloria del capo è come un invito alla speranza per il corpo. Oggi non solo abbiamo ricevuto la conferma di possedere il paradiso, ma siamo penetrati con il Cristo nell'altezza dei cieli" (Discorso sull'Ascensione). Salendo al cielo Cristo non solo non ci ha abbandonati, ma addirittura ci ha indicato la strada per raggiungerlo nella gloria.

In questo modo il futuro della nostra vita dopo la morte, non ci incute paura, perché  termina  con  un  incontro  con  il  Signore. Per questo, inondata di luce e spinta da una gioia profonda, la comunità cristiana nell'odierna celebrazione liturgica prega Dio perché susciti in tutti "il desiderio della patria eterna" (Orazione dopo la comunione).

1. Il valore transitorio della vita

La solennità dell'Ascensione dirige il nostro sguardo e il nostro pensiero oltre il confine. Guardiamo al di là del tempo, del quotidiano, verso le cose ultime, verso il Regno di Dio. Forse le verità meno predicate in questi ultimi tempi sono state le "verità eterne"; di conseguenza non fa meraviglia se oggi sono le meno credute. In particolare la fede nella vita eterna è una delle verità che oggi rimane più in ombra nella cultura e anche nella coscienza di non pochi cristiani.

Tornano alla mente le nostre antiche famiglie, che vivevano una fede semplice, ma supportata di una profonda spiritualità saldamente ancorata alle realtà ultime. Nei nostri anziani era radicato il senso della vita oltre la morte; e tale pensiero riempiva di speranza anche i momenti della prova e della sofferenza. La fede cristiana di oggi è identica a quella del passato:  essa si fondi sulla certezza che, finito il tempo del pellegrinaggio terreno, ci presenteremo davanti al Sommo Giudice. In quel momento cadranno le maschere; verrà alla luce, con il bene e il male compiuto, anche la più profonda identità di ogni persona. Una sorte incomparabile ci attende se avremo conformato la nostra vita a Cristo, se saremo stati uniti a Lui come il tralcio è unito alla vite. Perché  la  comunione  con  Cristo  è più forte della morte, si prolunga per l'eternità.

2. La visione della patria eterna

La Chiesa è chiamata anche oggi a vivere questa gioiosa certezza e ripetere con san Paolo:  "sia che viviamo, sia che moriamo apparteniamo al Signore e viviamo con Lui" (cfr 1 Ts 5, 10; Rm 14, 7-9). Solo nella comunione con Cristo la vita è autentica; su di Lui si misura ciò che vale e ciò che non vale. Le cose terrene, cercate in modo disordinato e con tanta fatica, riveleranno la loro inconsistenza, come pula portata dal vento, come una traccia lasciata da una nave sul mare. Ciascuno raccoglie quello che avrà seminato. Ammonisce l'Apostolo delle genti:  "Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna" (Gal 6, 7-8).

La comunione con Cristo deve essere impegno di ciascun cristiano; essa si consolida quando l'uomo testimonia la carità e orienta al bene tutte le sue energie. Non dimentichiamo che il tempo del pellegrinaggio terreno ci è dato affinché, attraverso i sacramenti, la preghiera, le opere buone, possiamo avvicinarci sempre più al divino Maestro e prepararci ad accogliere il dono di sé che Egli vuol farci nell'eternità. Si tratta della felicità eterna:  ecco la meta verso cui siamo incamminati. Là non ci sarà più "la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate" (Ap 21, 1-4). Vedremo chiaramente Dio così come Egli è, più o meno perfettamente a seconda dei nostri meriti. Sarà la festa, il giorno del Signore senza tramonto, come scrive Dante Alighieri:  "Oh gioia! Oh ineffabile allegrezza! Oh vita integra d'amore e di pace!" (Paradiso XXVII, 7-8).

3. L'impegno cristiano

Questa visione dell'altra vita non significa, però, aspettare passivamente qualcosa che verrà, escludendo un impegno generoso nelle realtà temporali.

Credere nella vita eterna ci porta a considerare seriamente che c'è qualcosa da fare qui, oggi, c'è un modo di essere quaggiù, c'è un orientamento preciso, un modo definito da assumere in rapporto a quella prospettiva futura. È questo anche l'invito che i Padri della Chiesa rivolgevano ai cristiani del loro tempo, spronandoli a guardare al loro destino come l'agricoltore che prepara il tempo della mietitura e come il marinaio che rema per giungere al porto del suo destino. In questa linea è pure il Concilio Vaticano II che ricorda:  "l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo all'ora presente" (Gaudium et spes, 39).

Del resto questo è l'insegnamento che ci hanno lasciato i Santi. Basti pensare al grande principio datoci da s. Ignazio di Lojola:  "Confidare in Dio, come se tutto dipendesse da Lui e poi lavorare come se tutto dipendesse da noi". In fondo è mettere in pratica l'insegnamento di Cristo nella parabola dei talenti:  in attesa della sua venuta il cristiano deve far fruttificare i doni ricevuti.

L'Ascensione è una celebrazione squisitamente pasquale con un intreccio di speranza e di realismo, proprio come deve essere l'esistenza cristiana. Ancorata al suo presente e al suo impegno nel mondo, la vita cristiana non deve svanire verso aridi spiritualismi; essa già adesso deve essere segno dell'uomo nuovo e trasmettere speranza e gioia. La contemplazione del Cristo che domina tutta la realtà, la fiducia nel senso della vita e della storia guidate e sorrette dallo Spirito, sono il messaggio centrale di una solennità non alienante, ma sostenitrice del nostro impegno quotidiano.

4. Maria è con noi

In questo pellegrinaggio terreno, Cristo ha voluto accanto a noi la Vergine Maria, quale presenza discreta e sollecita, che riversa sui credenti la sua materna protezione. Nel corso dei secoli, la pietà cristiana ha sempre riconosciuto in Maria una provvida presenza e l'ha venerata con vari titoli:  consolatrice, ausiliatrice, aiuto dei cristiani, dispensatrice di grazie. I numerosi santuari a Lei dedicati sono il segno della solida devozione del popolo cristiano verso la Madre di Dio. Anche oggi la Chiesa è chiamata a guardare a Lei, fulgida stella, per confrontarsi e modellarsi su questo specchio di ogni perfezione. E dovrà imitarla, specialmente in questo tempo in cui è in atto una profonda crisi di valori, particolarmente nella fede, nella carità, nel servizio verso i fratelli. Dalla Vergine in ascolto la Chiesa deve imparare ad aprirsi con più fede alla Parola di Dio; dalla Vergine orante la Chiesa deve imparare a presentare ogni giorno al Padre, nella preghiera, le necessità dei figli; dalla Vergine addolorata la Chiesa deve imparare a offrire se stessa insieme a Cristo in ogni Eucaristia.

Da tanti secoli voi bolognesi volgete la vostra filiale attenzione alla Madonna di san Luca, venerando l'antica immagine che rappresenta la Madre di Gesù nell'atteggiamento della "Odighitria", come dicono i bizantini, cioè di colei che mostra la giusta via, la via della salvezza. Dal colle della Guardia Ella veglia sulla città e benedice le famiglie, in particolare quelle provate dalla sofferenza. In quel suggestivo santuario, Maria, come ha detto il Santo Padre nel corso della Sua visita dell'anno 1982, "da secoli è presidio e decoro di Bologna e della Regione" (18 aprile 1982).

5. La Porta del Paradiso

Carissimi fedeli di Bologna, ho accettato volentieri l'invito del vostro benemerito Cardinale Giacomo Biffi e sono lieto di celebrare con voi oggi questa festa nel segno di una tradizione mariana molto radicata e sempre viva e sentita nel cuore di ciascuno. In gioventù ricordo di essere venuto anch'io in pellegrinaggio al Santuario della Madonna di san Luca; vi sono ritornato l'ultima volta in compagnia del compianto Cardinale Egano Righi-Lambertini vostro concittadino, che mi parlava sempre della devozione profonda e spontanea del popolo bolognese a Maria. Vi incoraggio a perseverare in tale consolidata devozione, espressione di una genuina fede. La fede dei semplici e degli umili è il terreno più adatto per accogliere le realtà di grazia, che il Padre ha tenuto "nascoste ai sapienti e agli intelligenti e le ha rivelate ai piccoli" (cfr Mt 11, 25). La consapevolezza della nostra pochezza e dei nostri limiti ci spinge costantemente a fissare lo sguardo sul volto di Maria:  è un volto che ispira la nostra preghiera e la rende fiduciosa e sicura.

Maria sarà così sempre accanto a noi, viandanti in questo mondo, e ci accompagnerà fino all'incontro con Cristo; anzi sarà Ella ad introdurci nel Paradiso. Mi è sempre piaciuto il titolo con cui i fedeli della mia diocesi d'origine, la diocesi di Asti, invocano la Madonna come Porta del Paradiso in un Santuario dedicato a Maria, invocata appunto con tale bel titolo di Maria, Porta del Paradiso.

A Lei chiediamo di guidarci tra le asperità del cammino, di sostenerci in ogni difficoltà affinché, al termine del nostro pellegrinaggio terreno, possiamo giungere alla meta gloriosa della nostra speranza per cantare con gioia l'eterna misericordia del Signore.

               

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